Disaffezione, astensionismo e scomparsa dei partiti di massa. Perché la rappresentatività è in crisi -in Europa, in Italia- e com’è possibile invertire la rotta. Un saggio di David van Reybrouck, “contro le elezioni”. Scrive Lorenzo Guadagnucci: "non si esce da una crisi di fiducia così profonda concentrando il potere nell’esecutivo e con sistemi elettorali ultra maggioritari che allontanano ulteriormente dalle urne".
Su Altreconomia 181 l'approfondimento sulla riforma che cambia la Costituzione, in vista del referendum autunnale. (Scopri di più su:
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Le democrazie europee traballano. La sfiducia dei cittadini verso le istituzioni è in rapida ascesa, la partecipazione alla vita dei partiti in radicale flessione e ci sono Paesi -l’Italia fra questi- alle prese con la corruzione endemica nel ceto dei politici di professione. Fra i tanti sintomi della crisi, c’è la crescente rinuncia all’esercizio del diritto di voto. In molti Paesi il “partito dell’astensione” è al primo o al secondo posto. In Italia, alle politiche del 2013, ha votato solo il 72% degli elettori (fino al 2008 non si era mai scesi sotto l’80%), e alle regionali di Emilia-Romagna e Toscana -un tempo le regioni più rosse e più disciplinate, anche elettoralmente, del Paese- ci si è fermati, rispettivamente, sotto il 40 e sotto il 50% della partecipazione. Le democrazie in declino si piegano spesso verso forme neo autoritarie (si pensi a quel che accade nell’ambito del lavoro), ma in materia di voto non stiamo assistendo a una compressione dei diritti, bensì a una rinuncia volontaria all’esercizio della facoltà di scegliere i propri rappresentanti.
Una spiegazione semplice di questa rinuncia si può rintracciare nelle tendenze in atto da qualche decennio: il dominio della finanza, che si è appropriata di molte funzioni di governo reale; il ruolo invadente delle tecnocrazie; la crisi delle ideologie e la scomparsa dei partiti di massa. Il cittadino è apatico e/o sente di non contare niente.
C’è però anche una spiegazione più profonda e riguarda l’origine stessa del sistema rappresentativo, come illustra David van Reybrouck nel libro
“Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico” (Feltrinelli 2015). Abbiamo sviluppato un fondamentalismo elettorale, dice van Reybrouck, dimenticando che il sorteggio è sempre stato il metodo di selezione più democratico, fin dall’antichità, mentre l’elezione ha una natura aristocratica, poiché designa alcuni eletti, scelti di norma fra i cittadini illustri. In aggiunta, nella società contemporanea, il denaro e la visibilità mediatica sono diventati il motore della politica (il congresso statunitense, per fare un esempio, è composto in grande parte da multimilionari).
L’idea del sorteggio è spiazzante, educati come siamo a far coincidere il concetto di democrazia con le procedure elettorali, ma van Reybrouck fa notare come l’estrazione a sorte sia tuttora utilizzata per amministrare la giustizia nei casi penali più gravi (per la nomina dei giudici popolari nelle corti d’assise). È anche ricomparsa, in tempi recentissimi, in paesi come il Canada, l’Irlanda, l’Islanda, che hanno affidato compiti delicati -perfino la riscrittura della Costituzione- a organismi selezionati in questo modo, secondo la logica e con gli strumenti della “democrazia deliberativa”.
Il tema è affascinante e la discussione andrebbe approfondita, ad esempio per capire che posto avrebbe a quel punto la politica, intesa come confronto fra opzioni ideologiche diverse (ma van Reybrouck, citando le ipotesi di alcuni studiosi, immagina sistemi bicamerali, con un’assemblea eletta e una sorteggiata).
Dove conduce questo discorso? A due possibili conclusioni. La prima è che la rinuncia al diritto di voto ha una sua logica stringente e non va demonizzata, per quanto sia destinata ad affossare le democrazie che conosciamo. La seconda è che la via prescelta in Italia (e anche altrove, a dire il vero) è profondamente sbagliata: non si esce da una crisi di fiducia così profonda concentrando il potere nell’esecutivo e con sistemi elettorali ultra maggioritari che allontanano ulteriormente dalle urne. Lungo questa strada la democrazia muore (e forse è già morta).
Il dubbio è se sussistano vie d’uscita. Van Reybrouck è ottimista e indica la via del sorteggio, perché bisogna “democratizzare la democrazia”, un obiettivo che si può forse raggiungere anche con altri strumenti, dai bilanci partecipativi, finiti sotto i riflettori per una breve e dimenticata stagione, fino al sistematico decentramento del potere. Quel che sembra certo, è che non c’è tempo da perdere.