Abbiamo bisogno di più Europa. Per garantire la sicurezza dei cittadini, per risarcire i morti delle stragi, per non dare argomenti a chi dice di rinchiudersi nei confini nazionali. E' necessario lavorare su un ideale di accoglienza inclusivo, mettere in atto politiche adeguate ai tempi, integrare gli immigrati, anche dal punto di vista economico. (Scopri di più su:
http://www.benecomune.net/articolo.php?notizia=2044)
La necessità di aumentare i controlli alle frontiere e l’esigenza di tenere aperto uno spazio comune europeo: su questi due bisogni si gioca il presente e il futuro dell’Unione Europea. Da una parte il diritto di sentirsi sicuri a casa propria, dall’altro il dovere di impegnarci per l’integrazione senza la quale la sicurezza, quella vera, diventerebbe una chimera.
Gli attentati di Parigi e i tragici fatti di Bruxelles hanno fatto ripiombare tutti noi nel caos. In principio siamo rimasti attoniti, poi a prevalere è stata la rabbia, infine la richiesta unanime di più sicurezza. Di quale sicurezza stiamo però parlando? Di quella di ciascuno Stato, che forte o meno potente che sia, troverà sempre soluzioni parziali del problema o di una sicurezza strutturata, capillare ed ugualmente efficace in ogni luogo dell’Unione? Questo è il punto della discussione e il centro nevralgico del problema.
Come sosteniamo in tanti, tuttavia, l’intelligence è una questione di politica estera e di difesa comune, non un fatto di coordinamento di sforzi. Sebbene l’Italia sia in prima linea su questo fronte, il Paese che si è speso e si sta spendendo di più per una maggiore integrazione politica, sociale ed economica, la risposta degli altri Stati membri appare meno convincente e, in alcuni casi, completamente estranea ai valori fondanti dell’Unione.
Eppure, come ci ricordano la presidente della Camera Laura Boldrini, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, e ministri attuali ma anche di altri Governi come Emma Bonino, dobbiamo tenere la barra dritta sugli Stati Uniti d'Europa e da questo concetto costruire una politica estera comune e un'intelligence tipo Fbi europea. Nell'integrazione dell'Ue la sicurezza è rimasta competenza nazionale: per rimediare bisognerebbe rivedere i trattati e invece i paesi si illudono che chiudere le frontiere risolva il problema. Non è così.
Il sociologo Zygmunt Bauman, all’indomani degli attentati di Parigi e Bruxelles,
continua a dichiarare fermamente che i muri contro i migranti sanciscono la vittoria del terrorismo, che la paura ostacola il giusto corso della democrazia, rinforzando la xenofobia dal basso. L’accoglienza ostile da una parte scoraggia i potenziali rifugiati che sono ancora nei loro paesi, dall’altra amplia le possibilità di reclutamento per le cellule terroristiche estendendo il contagio ai migranti residenti nei Paesi Europei.
La verità, che non ci stancheremo mai di ripetere, è che proprio in questo momento abbiamo bisogno di maggiore Europa per risarcire i morti delle stragi e non dare argomenti ai demagoghi che vogliono convincerci che saremo sicuri solo rinchiudendoci nei confini nazionali. Come ha scritto la presidente della Camera Boldrini bisogna “far lavorare insieme i servizi di intelligence, condividere informazioni tra gli apparati di sicurezza, far agire squadre investigative comuni, e questo richiede più Europa. Un'unione federale di Stati può fare la differenza ma, per raggiungerla, bisogna superare le egoistiche divisioni nazionali e iniziare a pensare con una mente sola. Ne saremo capaci?".
Ha ragione ancora Bauman quando dice che i governi che si presumono ancora sovrani del loro territorio soffrono in realtà di un doppio legame, con alcuni poteri globali e con i loro elettori, locali, e ritenuti anch’essi sovrani. Nessuna meraviglia che siano ondivaghi e precari nelle decisioni.
Ecco perché – e il nostro Paese lo sta facendo più di altri - è necessario lavorare su un ideale di accoglienza che sia inclusivo e mettere in atto politiche adeguate ai nostri tempi. Occorre integrare gli immigrati, dal punto di vista economico, per fare in modo che non ci siano ferite aperte. Mi piace citare, in conclusione, una riflessione di Julia Kristeva che rappresenta il mio stesso punto di vista: “La nostra società non dà importanza al linguaggio e non incoraggia i giovani di origine straniera ad approfondire sia la loro cultura di origine sia la nostra, europea. Era il lavoro degli insegnanti, degli ordini religiosi, gente convinta del proprio lavoro. La dimensione del contatto umano, dell’incontro, è andata perduta”. Da qui dobbiamo ripartire, dalla ricostruzione del contatto umano e culturale tra popoli, per ritrovare la nostra vera sicurezza.