Che impatto ha avuto il terrorismo in Kenya, a un anno dall'attentato al campus universitario di Garissa? In un’atmosfera di festa, si è svolta la maratona di commemorazione della strage di garissa del 2 aprile 2015. (Scopri di più su: https://www.amref.it/2016_04_02_Terrorismo_Garissa_torna_a_correre)

  • Tommy Simmons, Fondatore Amref Italia 
Garissa, 2 aprile 2016, ore 08. L’atmosfera positiva, all’apparenza incongrua a fronte dell’evento che ricorda, è dovuta alla volontà della società civile di ricostruire la vita della città e dell’università e di rifiutare, senza compromessi, i ricatti e gli obiettivi del terrorismo.

Questo è il mio quarto giorno a Garissa. Sono dentro all’Università, da dove da poco è partita la maratona di commemorazione della strage dell’anno scorso, e ancora fervono i preparativi per le funzioni della giornata. Stanno apprestando il palco delle autorità, provando i microfoni, allestendo cavalletti e telecamere. L’armosfera è molto diversa da quella che ho trovato sul territorio circostante negli ultimi giorni.

Ho visitato il villaggio di Fafi, a 95 chilometri ad est della città, verso la frontiera somala e il lontano Oceano Indiano. Il terreno era brullo e sparsamente popolato da pastori con le loro greggi, mandrie, somari e tanti cammelli. Il loro quotidiano è fatto di ricerca di acqua e pascoli, ed è così dalla notte dei tempi, e a fronte delle necessità ed urgenze quotidiane della sopravvivenza gli eventi del mondo circostante vi paiono immediatamente distanti. Ma il villaggio di Fafi, seppure profondamente legato al territorio, non è rimasto immune al mondo circostante. Le sue poche centinaia di anime gravitano attorno alla fonte d’acqua salmastra che ha dato vita al villaggio, alla scuola per i giovani del territorio, al centro sanitario, e nel corso dell’ultimo anno hanno subito due volte le attenzioni dei miliziani di al-shabaab, la milizia fondamentalista istlamica di origine somala che combatte anche contro il governo keniota, e hanno perso gran parte della ragion d’essere dell’esistenza del villaggio. Nella prima incursione, i miliziani hanno ucciso uno dei poliziotti responsabili della sicurezza del villaggio, bruciando il posto di polizia, e poi tentato di bruciare la scuola, perché rifiutano l’educazione moderna, e anche il centro sanitario, perché espressione del governo nazionale. Non hanno ucciso altri “non locali” perché erano già fuggiti, tutti, da tutta la regione, a seguito del massacro dell’università. Ma i miliziani non sono riusciti nel loro intento di distruggere tutto perché i residenti, compreso lo sceicco della moschea, si sono fatti scudo dinanzi alle loro preziose infrastrutture, rifiutando di parderle. I miliziani sono tornati alcune settimane dopo, ma non hanno trovato altre prede da uccidere, perché nessuno è tornato, e si sono imbattutti nella medesima reazione dei residenti che hanno rifiutato di perdere, con la scuola e il centro sanitario, ogni speranza per il presente e il futuro.

Poi ho visitato il villaggio di Dujis, a 100 chilometri a nord-ovest dalla città di Garissa, e seppure si trovi lontano dalla frontiera somala, anche da l’ tutti gli insegnanti e il personale sanitario non locale sono scappati un anno fa, lasciando i 4.000 residenti della cittadini e gli abitanti del circondario con un’educazione raffazzonata e una sanità a dir poco parziale. E poi, a fronte dell’intensificarsi della stagione arida e dello scemare delle risorse idriche del territorio, la settimana scorsa sono scoppiati scontri tra clan che hanno portato alla sostanziale distruzione di tutta la cittadina e alla fuga di tutti i suoi abitanti. Le calamità si aggiungono alle calamità.

La città di Garissa in questi giorni sembra però immune da quanto avviene su tutto il territorio che la circonda. Le strade ed i mercati sono indaffarati, il traffico di auto e camion che viaggiano tra Nairobi e il vicino campo profughi di Dadab (pare che sia il più grande del mondo) è a volte quasi intenso, i giovani vanno a scuola nelle loro uniformi ordinate. L’Università è stata rimessa a nuovo ed oggi per la prima volta da un anno a questa parte sarà nuovamente affollatta. Più di 600 studenti che sono sopravvissuti al massacro hanno trovato posti in altre università del paese e a Garissa probabilmente non torneranno mai più, ma oggi tutta la società civile locale, i giovani, le donne, le massime autorità, ribadiranno la loro volontà di far rinascere in pace la città e l’università e ribadiranno come il loro Islam rifiuta categoricamente la violenza dei terroristi.

Amref Health Africa lavora in questa zona molto arida del Kenya da molti anni, lottando contro gli effetti di un ambiente ostile, la mancanza di strutture, la carenza di personale sanitario, e nell’ultimo anno abbiamo seguito con preoccupazione l’esodo dei professionisti non locali che hanno lasciato il territorio per fuggire dalla grave minaccia dei radicali islamici che contringono tutti a mantenere alta l’attenzione e portato all’abbandono di diversi centri sanitarie e di molte scuole, minando il presente e il futuro di tutta questa società.

I Flying Doctors di Amref Health Africa sono intervenuti il giorno della strage, portando in salvo molti dei feriti più gravi, e il nostro personale è rimasto sempre attivo sul territorio, ma Garissa e le sue genti sono spariti dai notiziari ed è giusto essere qui per capire e poi raccontare come i gravi attentati terroristici che regolarmente ci sconvolgono hanno effetti profondi e terribilmente lesivi anche quando le armi sono state messe a tacere.

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