Non parliamo di economia sommersa o criminale, che già trova posto nel conteggio del Pil da parte dell’Istat, vogliamo invece parlare di uno speciale tipo di economia ancora non osservata ma che va crescendo con un ritmo impressionante al di là della nostra immaginazione: l’economia della condivisione... (Scopri di più su:
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Piero Bargellini
Non parleremo di economia sommersa o di quella criminale, che già trovano posto nel conteggio del Pil da parte dell’Istat, vogliamo invece parlare di uno speciale tipo di economia ancora non osservata ma che va crescendo con un ritmo impressionante al di là della nostra immaginazione: l’economia della condivisione.
Già si sapeva che il volontariato italiano, fenomeno unico nel panorama europeo, rappresenta circa il 3-4% del Pil ma che non viene contabilizzato perché non ha una contropartita monetaria. Negli altri Paesi europei, l’assistente sociale, l’infermiere a domicilio, o il vigile antincendio boschivo sono pagati dallo Stato e quindi risultano dalla contabilità nazionale, mentre in Italia è tutto supportato da una rete capillare di volontari che, nei diversi campi, fornisce beni e servizi ai cittadini senza alcun passaggio di denaro.
Con la crisi economica che ormai perdura da otto anni, i cittadini italiani si sono organizzati, senza troppi clamori, e cambiando in parte i loro stili di vita riescono ad avere gli stessi beni e servizi senza l’uso della moneta, ma con l’autoproduzione o con l’economia della condivisione, scharing economy.
L’Italia ha il più basso indice di inurbamento di Europa e per giunta negli ultimi 40 anni, ben 10 milioni di persone hanno abbandonato le città per andare a vivere nei “borghi” vicini. Abbiamo anche un altro record assoluto: oltre l’80% delle case sono di proprietà, senza considerare quelle abitate da figli e parenti vari. Questi due punti sono essenziali perché hanno permesso al sig. Mario Rossi, il cittadino medio italiano, di mettere in atto quella economia della condivisione che non è possibile nel resto del continente.
Attenzione: non si tratta della “decrescita felice”, auspicata dai pauperisti di tutto il mondo. Il sig. Rossi ha messo i pannelli solari e quelli fotovoltaici sul proprio tetto, così ha ridotto l’esborso di denaro di almeno 1.500 euro l’anno. Ha cambiato il proprio sistema di riscaldamento e ha istallato sofisticate caldaie a legna risparmiando ulteriori 1.500 euro. Abitando nel “borgo” ha a disposizione un piccolo appezzamento di terreno da cui ricava la verdura per tutto l’anno che non compra al supermercato. La casa è di proprietà e la domenica rivernicia ringhiere e finestre senza ricorrere a ditte specializzate come invece sono costretti a fare i suoi amici rimasti nei condomini cittadini. I più intraprendenti rimbiancano la casa e fanno lavoretti un po’ più impegnativi. Il bar è lontano e non ha alcuna voglia di spogliarsi della comoda tuta da lavoro per andare a fare colazione in macchina.
Con ulteriori altri elementi di risparmio, come ad esempio la macchina condivisa, il trasporto con Uber, o lo scambio di abiti in cambio di farina e formaggi in Val d’Aosta, il sig. Rossi arriva a risparmiare una cifra che va dai 12 ai 20 mila euro ogni anno, ottenendo gli stessi beni di quando era in città, ma non spendendo un euro. A Ferrara e Lucca tutti vanno in bicicletta così che il segmento di Pil dovuto all’uso dell’auto è in contrazione, ma i benefici sono gli stessi, anzi sono superiori.
Se solo la metà delle 24 milioni di famiglie italiane non spende 12 mila euro l’anno a parità di benefici, si avrebbe una cifra pari a 144 miliardi di beni che non possono essere contabilizzati, quindi inseriti nel Pil ufficiale, ma di cui gli italiani godono; è quasi il 9% del Prodotto italiano, a cui vanno aggiunti i 4 punti del volontariato, arrivando al 13%, pari a 214 miliardi.
A tutto questo va aggiunto il moltiplicatore dell’imposizione fiscale: il sig. Bianchi, rimasto in città deve produrre un valore doppio dei 214 miliardi se vuole ottenere gli stessi benefici del suo collega Rossi che invece risiede nel “borgo”.
Nel ‘900 il consumo di carne pro-capite era considerato un indice di sviluppo, ma durante l’epidemia dell’aviaria negli anni ’90, il consumo di carne ebbe un tracollo e non è mai più tornato ai livelli precedenti. Oggi, dopo otto anni di crisi economica gli stili di vita sono profondamente mutati e non torneranno mai più come prima, anche se la nostra classe dirigente si ostina a crederci.
La sovrabbondanza di abitazioni fa sì che i nuclei familiari anagrafici siano rimasti pressoché inalterati numericamente, ma le relazioni parentali, quelle che fanno di una pluralità di singoli una famiglia unita, sono rafforzate e si sono estese, con suddivisione di compiti e incarichi, un miglior utilizzo dei beni familiari, una solidarietà inaspettata fino a pochi anni fa.
La fuga dalla città, dove si vive di diritti, si è trasformata in una ricerca del “bene comune” che nel “borgo” prevale sul concetto di diritto individuale. Il condominio è regolato da una infinità di presunti diritti, ognuno dei quali è in conflitto con quello del vicino, in città non esiste un bene comune collettivo, ma solo una pluralità di diritti codificati che sono l’altra faccia della medaglia di valori rivendicati da singoli. Non esiste quindi una scala valoriale comune, ma ognuno ha il suo specifico valore da ostentare e difendere in antagonismo con il valore (il diritto) dell’altro. Senza neppure che ce ne accorgessimo, siamo arrivati a codificare una pressoché uguale pena per chi lascia un coniglietto o un bambino in macchina al sole.
Anche nel “borgo” esistono i diritti che altrettanto sono espressione di valori, ma esiste anche un gruppo sociale che vive, si ritrova nella piazza di paese, discute e arriva a decisione condivise; i diritti sono coniugati con il bene della comunità. Declina Habermas e risorge Rawls, e la migrazione di 10 milioni di italiani è la migliore conferma perché ciascun essere umano si sposta dove pensa di avere le migliori prospettive di vita per sé e per i propri figli.
So bene che quanto fin qui scritto sono solo ipotesi, anche se sempre più numerosi indizi sono univoci in tal senso, tuttavia non c’è ancora la prova provata. La ricerca che nel mese di marzo parte a Pistoia vuole verificare la veridicità di queste affermazioni. In collaborazione con l’Università di Firenze, sono pronti 400 questionari per altrettante interviste con 47 domande, questo il campione statistico scelto; occorreranno quattro mesi per la rilevazione nei circoli Acli, Mcl, Arci, parrocchie, sedi sportive ecc.
A Settembre però sapremo se quanto ipotizzato corrisponderà a verità e non credo di precorrere i tempi se allora la domanda principale che ci porremo sarà: qual è il livello massimo che un sistema finanziario-capitalistico può sopportare nel non uso della moneta? Quale la soglia oltre la quale i finanzieri potrebbero giocare a monopoli con i loro biglietti di banca? Anche qui le prime avvisaglie si sono già viste e siamo della convinzione che il peggio non sia ancora passato, per loro.