Paradosso dello sviluppo delle competenze. Ovvero: se sviluppi le competenze del tuo collaboratore rischi di perderlo, se non le sviluppi, il collaboratore non ti serve a niente.
Abbiamo avuto modo di osservare più volte come il valore aggiunto all’interno dei prodotti sia materiali che immateriali dipenda soprattutto dalla quantità di “intelligenza” in essi contenuta, circostanza che impedisce al prodotto stesso di trasformarsi in una “commodity” che ne erode la profittabilità e porta l’azienda a sopravvivere esclusivamente in condizioni del più basso costo del lavoro possibile. Si è peraltro spesso sostenuto che, nell’odierna società globalizzata ed ipercompetitiva, è aumentata la velocità con cui cambiano i gusti del consumatore (soggetto a continue sollecitazioni) e con cui le aziende sono costrette ad innovare.
Da queste premesse, da moltissimi condivise, consegue la necessità, attraverso o così detti knowledge worker, di mantenere molto alto sia il monitoraggio del mercato che il livello di innovazione.
Ne consegue che sempre di più le imprese, per avere successo nel lungo periodo, si orientano a migliorare costantemente e ad inserire competenza e sensibilità estetica (arte e tecnologia) nei prodotti, nei processi produttivi, nell’approccio al mercato e nelle modalità di comunicazione e diversificazione rispetto alla concorrenza.
E’ quel fenomeno che molti studiosi di management hanno definito in termini di trasformazione dell’impresa in una learning organization (Arie de Geus): un’azienda che è in grado di adattarsi, innovandosi, a situazioni sempre diverse e in cambiamento.
In questo contesto la preparazione dei collaboratori diviene il fattore critico di successo dell’azienda che deve quindi stimolare ogni occasione di crescita e di apprendimento delle proprie risorse offrendo loro grandissime occasioni di imparare e di crescere professionalmente.
Se il lavoro dell’azienda consiste in gran parte nel produrre innovazione, idee e soluzioni originali, chi gestisce l’impresa ha la necessità di sviluppare continuamente competenze per sostenere l’innovazione e la soluzione di problemi.
Indirettamente si ottiene però un altro risultato: migliorando sempre più i propri collaboratori se ne aumenta anche il valore sul mercato del lavoro.
Da qui il paradosso: se sviluppi il potenziale dei tuoi collaboratori rischi che se ne vadano, se non ne sviluppi continuamente il potenziale, non ti servono a nulla.
La soluzione?
Ipercompetizione e globalizzazione non ci danno alternative. Non potremo mai stancarci di procedere sulla strada dello sviluppo delle competenze ad ogni grado e ad ogni livello, accentuando le capacità di produrre continuamente due cose: risorse idonee a sostituire e rigenerare quelle esistenti e nuovi metodi e tecniche per rendere più complessa la riproducibilità del nostro modello di business.
Se peraltro la perdita di importanti knowledge worker può comportare un grave danno all’impresa vuol dire che le sue competenze sono facilmente riproducibili e che quindi deve paradossalmente impegnarsi maggiormente nello sviluppo e nella crescita professionale dei suoi collaboratori.
La scelta peggiore per l’azienda sarebbe quella di ripiegarsi su se stessa cercando di difendere i propri vantaggi competitivi che, in tempi sempre più rapidi, diventeranno meno significativi e finiranno presto con lo scomparire del tutto.