Siamo portati a pensare che il comando e i risultati siano in correlazione tra loro e cioè, nei limiti in si cui ottengono risultati, si ottiene anche potere. Questa correlazione però non è così automatica. Nelle strutture ad alta intensità di conoscenza, spesso coloro che tendono a conseguire risultati, con ciò stesso, abdicano al loro potere e quanto più ottengono risultati, tanto più mettono in discussione la propria posizione.

di Angelo Pasquarella

I risultati, per l’azienda, si identificano infatti con lo sviluppo dell’organizzazione, delle persone e delle relazioni con clienti e fornitori. Ottenere risultati aziendali significa soprattutto trasferire ad altro e ad altri la propria iniziativa rendendo il più possibile autonome (in grado di generare valore) persone e strutture. Nei limiti in cui si mette in condizione l’organizzazione di operare e di svilupparsi, si spinge verso la crescita dell’impresa e la si rende vigorosa.

In qualche modo quindi si può dire che il manager ideale è colui che lavora intensamente per “rendersi inutile”. Più si rafforza l’azienda e più il manager può indebolire il proprio potere personale, facendo crescere e sviluppando sia capitale umano che capitale strutturale.

Al contrario puntare al potere significa rendere se stessi indispensabili, creare barriere e sistemi che impediscano l’autonomia delle persone e la crescita delle strutture, significa imbrigliarne l’azione in modo che nulla sia possibile senza il proprio personale apporto ingenerando la convinzione che, in caso contrario, nulla possa funzionare.

Potrebbe quindi sembrare che siano vincenti esattamente coloro che sono più centrati su se stessi che sui risultati da conseguire.

Il perseguimento dei risultati infatti comporta necessariamente assunzione di responsabilità e rischi, mentre l’attenzione a difendere la propria posizione sembra portarci più vantaggi. La prevalenza però di quest’ultimo modo di pensare, alla lunga, mette in crisi l’intera azienda e non la fa crescere.

Come si difendono le imprese dalle persone che non puntano ai risultai? E qual è il comportamento vincente per i collaboratori?

Innanzitutto esiste il controllo che deriva dagli azionisti e si esercita proprio nella scelta dei vertici. In secondo luogo, anche attraverso queste scelte, si determinano i valori e la cultura aziendale: se questa è orientata a premiare i risultati, in tal senso si orienteranno anche i suoi collaboratori.

In terzo luogo, se è vero che nelle aziende abbiamo sempre persone di potere (centrate su se stesse e le loro personali posizioni) e persone di sviluppo (centrate sui risultati), occorre tener presente i fattori di contesto. Le prime tendono a prosperare in momenti di tranquillità, quando esistono meccanismi funzionanti da gestire che da soli consentono la sopravvivenza dell’impresa, nei periodi di cambiamento però, in cui il problema fondamentale sta nell’innovazione, l’azienda tenderà a far emergere persone di sviluppo.

Orbene il momento in cui stiamo vivendo non è certamente dei più tranquilli. Anche se la logica del potere è opposta a quella del risultato, dovendo scegliere, conviene comunque adottare quest’ultima, perché il futuro sarà caratterizzato da maggiore turbolenza e perché … è sicuramente più divertente.

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