Arte & innovazione. L’editoriale di Maurizio Busacca. Innovazione sociale e innovazione culturale. Qual è la relazione tra le due? Lo spiega Maurizio Busacca, per il secondo intervento del ciclo di saggi curato da Michele Dantini. Il tema: arte & innovazione. (Scopri di più su: http://www.artribune.com/2016/02/arte-innovazione-leditoriale-di-maurizio-busacca/)

Scritto da Maurizio Busacca


SULL’OBSOLESCENZA DELLE PAROLE

Negli ultimi anni abbiamo assistito all’incremento bruciante della velocità con la quale nuove mode e retoriche consumano, magari senza renderle mai del tutto obsolete, parole che per brevi periodi diventano influenti e cool. Uno degli effetti che questo fenomeno produce è il depotenziamento degli elementi conflittuali e trasgressivi che quelle parole avrebbero potuto propagare.

Al momento di delineare le ricerche che mi avrebbero portato a scrivere Oltre la retorica della “social innovation” (2013), la scelta di campo d’indagine è stata fortemente determinata dalla costatazione che nel caso dell’“innovazione sociale” il fenomeno aveva prodotto un minore depotenziamento. Perché? Rispondere per esteso ci porterebbe lontani e sarebbe inopportuno in questa sede. Ritengo invece necessario interrogare le ragioni per le quali ogni discorso che includa il termine “innovazione sociale” benefici di un’illuminazione così potente da cancellare ogni difetto, ruga o crepa argomentativa e vada ad alimentare luoghi comuni che stratificano su quelli già esistenti.


L’INFLAZIONE DI “INNOVAZIONE”

La parola “innovazione” gode oggi di un consenso straordinario: consenso che potremmo ben valutare considerando le innumerevoli pubblicità televisive che ne fanno uso. Troviamo “innovazione” vicino a termini come “città”, “agricoltura”, “impresa sociale”, “welfare” e “impresa profit”, per fare solo alcuni esempi. Ma il processo di aggregazione cui “innovazione” va incontro diviene ogni giorno più intenso. Per di più, spesso a partire da documenti giuridici e di policy, “innovazione” trasla nel discorso tecnico mainstream (ne scrivono Barbara Czarniawska e Guje Sevon in Translating Organizational Change, 1996).

Non sempre, però, la proposta di nuove sottocategorie dell’”innovazione” va a buon segno. Quando alla parola “innovazione sociale” si è cercato di agganciare la parola “cultura” non sono mancate perplessità e resistenze. Ci si è chiesti: quando parliamo di “innovazione culturale” parliamo di “innovazione sociale in ambito culturale” o di innovazione culturale nel senso dell’“innovazione cognitiva”? È la domanda che per me fonda il lavoro che Michele Dantini ha sviluppato nel Momento Eureka (2015); e che investe il rapporto tra ricerca e movimenti.


RECUPERARE IL PRAGMATISMO AMERICANO

Una serie di elaborazioni teoriche che hanno fortemente influenzato il pensiero contemporaneo possono aiutare a avvicinarci a una risposta, anche se questa non potrà essere tanto precisa quanto vorremmo. Accomuno qui una famiglia teorie che pure divergono o confliggono tra di loro perché risultano legate da una comune critica ai modelli di razionalità correnti nella tradizione del pensiero occidentale da Aristotele in poi. I concetti di “spazio pubblico” in Arendt, “iterazione” in Derrida, “dispositivo” in Foucault, “campo” in Bourdieu, “performatività” in Butler, “traslazione” in Czarniawska, solo per citare quelli a me più cari e che frequento con maggiore assiduità, pur partendo da porti differenti e giungendo ad approdi spesso lontani, hanno in comune un’idea di realtà che è relazionale, operativa e plurale.

In questa direzione il recupero analitico del pragmatismo americano di inizio Novecento (Dewey e Peirce soprattutto) può aiutarci a formulare un’ipotesi che inquadra innovazione sociale e innovazione culturale o cognitiva. Queste appaiono come fenomeni separati e al tempo stesso intimamente connessi. La loro relazione è circolare. L’innovazione culturale è influenzata dall’evoluzione delle dinamiche sociali anche quando è frutto del genio individuale. L’innovazione sociale fonda a sua volta parte dei propri percorsi su nuovi saperi e nuovi attori. Abbiamo qui due concetti che hanno bisogno di essere mantenuti distinti e sono suscettibili di elaborazione autonoma. La migliore definizione dell’uno o dell’altro presuppone però un’analisi continua delle relazioni reciproche e un’indagine accurata, necessariamente condotta anche a ridosso delle pratiche, circa i modi indissolubili in cui l’una risulta legata all’altra.

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