Se l'anno che abbiamo alle spalle è stato caratterizzato, sul versante delle donazioni al non profit, dal consolidamento e, in taluni casi, dalla definitiva consacrazione delle campagne online e del crowdfunding, molti segnali indicano che il 2016 potrebbe invece rivelarsi come l'anno del fundraising professionale. (Scopri di più su:
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-01-25/il-fundraising-punta-diventare-piu-professionale-072248.shtml?uuid=ACJI9bGC)
Lo fanno presagire, in particolare, sia il forte aumento della domanda sul mercato del lavoro, che per la verità non è ancora in grado di rispondere con un'offerta adeguata di nuove professionalità, sia l'incremento di iniziative, tanto di dibattito quanto di formazione specifica, volte a rafforzare i processi di intermediazione degli atti di generosità.
È proprio questo, in fondo, il fattore decisivo: la platea dei donatori è sempre più matura e non si accontenta di far convergere le elargizioni verso una causa meritevole, ma vuole, anzi solitamente esige, di riscontrare anche l'impatto effettivo prodotto dalle proprie scelte.
«Il cambiamento fondamentale in corso è che il fundraiser non deve più servire solo l'organizzazione non profit per la quale opera, ma deve anche soddisfare le attese del donatore, che oggi è ben più preparato ed esigente di un tempo», sintetizza Luciano Zanin, presidente di Assif, la sigla di categoria dei fundraiser professionisti, che non a caso hanno in programma venerdì 29 a Roma un evento nazionale di studio e di confronto sul futuro della loro attività.
Ma se questa è la sfida, come si presentano all'appuntamento gli operatori specializzati? Secondo le stime più accreditate l'esercito dei professionisti conta non meno di 5mila unità, ma è diviso in formazioni molto differenziate per caratteristiche e tipologia di attività. Ci sono i fundraiser interni alle organizzazioni nazionali o internazionali, che si vanno sempre più specializzando nell'analisi dei dati, nel marketing e nei rapporti con i grandi donatori; accanto a loro un cluster ben più ampio di responsabili delle raccolte fondi in associazioni medio-piccole, a vocazione territoriale e con competenze molto trasversali; infine, i consulenti in fundraising, che operano da veri e propri intermediari, principalmente su strumenti specifici, o per determinate campagne, o ancora nelle fasi di start up.
Che cosa richiede, in realtà, il mercato? Secondo Zanin «la figura di fundraiser che sta crescendo maggiormente è legata al territorio e si identifica in un profilo professionale che sia in grado di adattare sia le competenze tecniche, sia lo stile di lavoro ai diversi contesti specifici. Non mi riferisco alle classiche soft skills che fanno funzionare gli ingranaggi e che sono state fino a poco tempo fa l'essenza del mestiere. Intendo, piuttosto, competenze umanistiche, economiche e di management, combinate con le tecniche del fundraising e declinate in maniera molto flessibile».
Facile concludere che, se questo è il trend, ci sarà ancora molto da fare sul terreno della formazione. E infatti si moltiplicano, a livello nazionale, i Master e i percorsi post lauream (se ne contano ormai una quarantina), mentre a Roma, lo scorso dicembre, è stato ufficialmente battezzato il primo “Manifesto del fundraising”, realizzato dalla Scuola Fund-raising.it per contribuire a trasformare la professione in una delle chiavi strategiche per la sostenibilità del nuovo welfare di comunità. Frutto del dibattito pubblico iniziato due anni fa con il progetto “Fundraising: un altro welfare è possibile”, il documento si propone come uno strumento per diffondere la cultura della donazione e si articola in nove princìpi ispiratori, dalla tutela dei diritti del benefattore alla trasparenza e all'efficacia della rendicontazione.
Le iniziative, dunque, non mancano e gli indicatori di crescita volgono tutti in positivo per la figura del fundraiser, ma anche i professionisti dovranno fare la loro parte per promuovere il salto di qualità. «Il riconoscimento del nostro ruolo non può essere preteso – chiosa Zanin –, ma va accordato. Occorre investire di più sul concetto e sulla cultura del dono, dopo di che anche le tecniche di raccolta troveranno la loro giusta valorizzazione».