Andrès Ruggeri, antropologo presso la Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Buenos Aires (Argentina) e ricercatore dell’Observatorio de calificaciones laborales dell’Universidad Nacional Arturo Jauretche (UNAJ), in questi mesi è ospite di Euricse nell’ambito del progetto INT.RE.COOP – International Research Exchange on Cooperatives. Andrés da oltre dieci anni indaga l’esperienza delle “fabbriche recuperate” ovvero realtà abbandonate dagli imprenditori e poi occupate e rimesse in moto direttamente dai lavoratori. (Scopri di più su: http://www.euricse.eu/it/le-fabbriche-recuperate-stanno-scrivendo-una-pagina-della-storia-dellautogestione/)

Queste sono le esperienze più interessanti dell’Argentina uscita dalla grande crisi del 2001. Da allora più di 300 imprese fallite sono tornate in funzione, salvando oltre 15.000 posti di lavoro e dando vita ad un processo di autogestione inedito che continua e che, sull’onda della crisi globale degli ultimi anni, è divenuto esempio di resistenza anche in Europa.

Andrés Ruggeri, che oltre a studiare l’esperienza delle “fabbriche recuperate” è anche il promotore degli incontri internazionali “L’economia dei lavoratori” e l’ispiratore del programma “Facoltà aperta” presso l’Università di Buenos Aires, cerca di comprendere la complessità, i sacrifici, le difficoltà e le sconfitte nella costruzione di queste imprese, che non solo devono fornire lavoro e sostentamento per i dipendenti, ma anche contribuire a creare forme di gestione collettiva, democratica e, soprattutto, senza sfruttamento.

Abbiamo approfittato della sua presenza in Euricse per fargli alcune domande in merito al fenomeno che da anni è oggetto di studio di Euricse con il progetto Le nuove cooperative di produzione e lavoro e il fenomeno del workers buyout di Marcelo Vieta e Sara Depedri e le relative pubblicazioni: il working paper 78|15 The Italian Road to Creating Worker Cooperatives from Worker Buyouts: Italy’s Worker-­Recuperated Enterprises and the Legge Marcora Framework, che anticipa il rapporto di ricerca “The Italian Road to Recuperating Enterprises and the Legge Marcora Framework. Italy’s Worker Buyouts in Times of Crisis“, che verrà pubblicato nel 2016.

Inoltre, anche nel recente Rapporto sulla cooperazione in Italia, Euricse ha dedicato un capitolo a questo fenomeno all’interno della sezione sulle nuove frontiere della cooperazione.

Sei un antropologo che da più di 10 anni studia le “fabbriche recuperate”. Sappiamo che questo è un fenomeno economico, sociologico, politico ma anche l’antropologia potrebbe dare una chiave di lettura molto interessante. Quale?

Io studio le imprese e le fabbriche recuperate dal 2002, quando l’Argentina era in piena crisi economica. Dal mio punto di vista quello delle imprese recuperate è un fenomeno sociale, economico e politico che può essere affrontato attraverso diversi approcci disciplinari. L’antropologia economica si propone di studiare altre logiche economiche, diverse da quella capitalista e che includono forme di organizzazione subordinate al modello di produzione dominante. Proprio l’analisi di altri modelli economici è uno dei contributi che l’antropologia può fornire allo studio di questo fenomeno. Inoltre la metodologia di ricerca sul campo, che storicamente è stata sviluppata in ambito antropologico e che caratterizza questa disciplina, fornisce utili strumenti per seguire molto da vicino la realtà quotidiana delle imprese recuperate, seguendo il processo di nascita e sviluppo di queste imprese giorno dopo giorno. Questo è, in sintesi, il lavoro del gruppo di ricerca di cui faccio parte, all’interno del programma Facultad Abierta (UBA e UNAJ). In ogni caso, non credo che il mio metodo di lavoro sia determinato esclusivamente da una sola disciplina delle scienze sociali, ma che sia una combinazione di elementi di varie discipline, che, congiuntamente, favoriscono la comprensione di questo fenomeno.

Quali sono i paesi dove questo fenomeno è più diffuso e perché? Qual è la particolarità del modello argentino?

Gli studi sulle imprese recuperate, che possiamo definire come unità economiche che attraversano un processo di transizione dal modello di proprietà e gestione privata, alla gestione collettiva da parte dei lavoratori, non sono ancora sufficientemente sistematizzati a livello internazionale. Da quello che mi risulta, oltre al lavoro svolto dal nostro gruppo di ricerca in Argentina, ci sono studi ben strutturati in Uruguay, in Brasile e, al di fuori dell’America del Sud, in Italia, grazie al lavoro che sta realizzando Marcelo Vieta insieme a Sara Depedri di Euricse. In Francia vi sono stime più o meno elaborate del fenomeno, anche per la Spagna si trovano alcuni rapporti di ricerca e infine si trovano riferimenti solo parziali per quanto riguarda la Grecia, il Venezuela, il Messico, la Colombia, il Perù, gli Stati Uniti e anche alcuni paesi asiatici (Corea del Sud e Indonesia). Tra tutti questi paesi che ho citato, l’Argentina è quello in cui si conta il maggior numero di casi di imprese recuperate (ad oggi 350) ed è l’unico, insieme all’Uruguay, in cui queste trasformazioni hanno assunto un’ identità specifica come movimenti sociali. A caratterizzare l’esperienza argentina non è tanto la nascita di collettivi e cooperative di lavoratori, un fenomeno che possiamo ritrovare in diversi luoghi e in diversi periodi storici, quanto piuttosto il fatto che la crisi del 2001 ha generato un’enorme mobilitazione e un forte sentimento di solidarietà sociale, mettendo in relazione tra loro i diversi conflitti e facilitando la formazione di un movimento organizzato intorno all’identità dell’”impresa recuperata”. Questo ha dato vita ad un percorso comune, a una metodologia per il recupero di queste imprese e alla predisposizione di determinate risorse organizzative, anche con il supporto della politica. Tutto ciò ha conferito una precisa identità e forza al movimento delle imprese recuperate dai lavoratori. Questa è la particolarità argentina. In altri paesi non si è sviluppata un’identità così forte (generalmente il fenomeno delle imprese recuperate è inserito all’interno del movimento cooperativo) e non sono stati costruiti un’organizzazione e un programma di rivendicazione comune.

Quali sono le specificità e le sfide più importanti delle imprese recuperate?

Sempre riferendoci alla definizione citata prima e considerando il caso argentino, possiamo dire che si tratta di piccole e medie imprese, che nella maggioranza dei casi sono state abbandonate dai proprietari attraverso un processo di svuotamento di risorse, oppure per bancarotta fraudolenta. Sono imprese con, in media, 40 dipendenti, concentrate in aree urbane, che appartengono a vari settori produttivi e forniscono una gran varietà di servizi. A differenza dei casi europei, conosciuti come “workers buyout”, i processi di recupero delle imprese in Argentina sono stati caratterizzati da un alto livello di conflittualità, e sostenuti da una forte mobilitazione sociale. Questo ha portato ad una struttura organizzativa ancora precaria, che oggi deve affrontare delle sfide che potremmo classificare sinteticamente, in tre aree fondamentali: a) la relazione con lo Stato, poiché da questa dipende lo status legale delle imprese e la risoluzione delle dispute per la proprietà e regolarizzazione dei meccanismi di trasferimento di gestione, da privata a collettiva; b) la relazione con il mercato, che è l’area in cui si rileva una maggior carenza di conoscenze da parte dei lavoratori e nella quale si gioca anche la possibilità di andare avanti secondo una diversa logica economica; c) l’organizzazione dell’insieme dei lavoratori come collettivo democratico, in grado di affrontare le sfide e la gestione di queste imprese, sia a livello economico che politico.

Quanto è diffuso il fenomeno nel mondo? In Europa?

Oltre ai casi menzionati in America Latina, i dati più precisi si trovano in Europa. Oggi grazie alle ricerche di Marcelo Vieta abbiamo un’immagine più accurata del fenomeno in Italia. In generale si tratta di processi meno conflittuali rispetto a quelli dell’America Latina, grazie all’esistenza di regole e normative più chiare, come la legge Marcora; tuttavia, anche in Europa, con l’espansione della crisi internazionale sono nati dei conflitti a causa dei processi di occupazione di alcune imprese, come nel caso Ri-MAFLOW o Officine Zero in Italia, Fralib e la Fabrique du Sud in Francia, Vio.Me in Grecia, ecc. Esiste anche un caso simile a quelli sudamericani negli Stati Uniti, l’impresa New Era, che produce porte e finestre, a Chicago. Riguardo alle altre aree geografiche le informazioni sono ancora molto approssimative.

Quali potrebbero essere gli sviluppi futuri? Come si potrebbe diffondere ed evolvere il fenomeno?

Il fenomeno delle imprese recuperate ha delle possibilità di espansione perchè si situa in quell’area grigia tra lavoro formale e informale nella quale si trovano molti lavoratori a causa della perdita di posti di lavoro generata dalla crisi e dalle politiche neoliberiste diffuse in tutto il pianeta. È una conseguenza non voluta da queste politiche economiche, ma neanche dagli stessi lavoratori che ricorrono all’autogestione e alla creazione di cooperative solo in casi di estrema necessità. Siccome le tendenze dell’economia globale non stanno mutando, e a mio parere, non cambieranno neanche in un futuro prossimo, in prospettiva i casi di imprese recuperate continueranno a crescere, non solo come risposta, più o meno spontanea, ma come progetti promossi con l’obiettivo di favorire le condizioni per lo sviluppo di un modello di economia solidale, alternativo alla disoccupazione e alla precarizzazione del lavoro. Il governo di stampo neoliberista, recentemente eletto in Argentina, si è dimostrato in passato, nell’amministrazione della città di Buenos Aires, apertamente ostile alle imprese recuperate e ai lavoratori in generale. Le imprese recuperate dovranno affrontare quindi condizioni più difficili perché per la prima volta dal 2003 avranno di fronte uno Stato ostile; tuttavia, la mancanza di opportunità di lavoro provocata dalle politiche neoliberiste porterà all’espansione dei conflitti che possono generare nuove imprese recuperate.

Ci potresti citare una buona prassi in Argentina e una in Italia?

Una caratteristica da sottolineare per quanto riguarda i casi argentini (non tutti, ma secondo le nostre ricerche per il 50% del totale) è la volontà dei lavoratori di non limitarsi ad occuparsi esclusivamente della gestione economica delle imprese, attraverso diverse iniziative di carattere solidale organizzate all’interno dei luoghi di lavoro, oppure in collaborazione con la loro comunità e con i movimenti sociali. È la cosiddetta “fabbrica aperta” in cui gli spazi dello stabilimento vengono aperti per la realizzazione di attività culturali o sociali, la nascita di scuole popolari che utilizzano il modello pedagogico dell’ “Educazione popolare”, o altre attività che permettano di creare, mantenere e rafforzare un vincolo sociale e politico con le organizzazioni e associazioni del territorio, i movimenti sociali o le comunità che abitano il territorio circostante. In generale, sebbene questa forma di gestione dell’impresa parta da una strategia difensiva, di rafforzamento sociale dell’impresa recuperata a fronte di possibili ostilità da parte dello Stato, si tratta di una volontà esplicita dei lavoratori di attuare quella che chiamano “devoluzione” della solidarietà ottenuta nel momento del conflitto, durante il processo di autogestione dell’impresa. Nonostante questo tipo di pratiche non siano molto comuni negli altri paesi in cui si è sviluppato il fenomeno delle imprese recuperate, in Italia si rilevano iniziative simili nei due casi che si autodefiniscono “fabbriche recuperate”, Officine Zero e Ri-MAFLOW; stesso discorso per la Voi.Me in Grecia.

Nel suo libro recentemente pubblicato anche in Italia “Le fabbriche recuperate . Dalla Zanon alla Ri-MAFLOW. Un’esperienza concreta contro la crisi” Ruggeri approfondisce l’ipotesi dell’autogestione, sequestrata nel Novecento dalle burocrazie e dagli errori di un movimento comunista internazionale dominato dallo stalinismo e da tendenze socialdemocratiche, e che oggi può offrire un terreno prezioso per impostare un nuovo inizio per le sinistre in crisi.

“Questi lavoratori stanno operando veramente una trasformazione della realtà e, contro ogni previsione, stanno scrivendo una pagina della storia dell’autogestione che ci può insegnare molto sulle sue difficoltà ed i suoi limiti, ma anche sull’enorme potenziale di creazione di una nuova logica di gestione collettiva dell’economia”, dice Ruggeri.

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