Roma. Una due giorni di confronto e formazione per 106 operatori Caritas provenienti da 70 Diocesi che si sono ritrovati a Roma per muovere i primi passi di un ambizioso percorso riassumibile in due parole chiave: accoglienza diffusa e integrazione. (Scopri di più su:
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“Protetto. Rifugiato a casa mia” mette insieme rifugiati e famiglie: insieme avranno l’opportunità di sperimentarsi nell’accoglienza. Non si tratta, quindi, di offrire solo un tetto e pasti, ma di accompagnare le persone accolte in casa a diventare autonome e a inserirsi gradualmente nel contesto sociale.
Contemporaneamente, la casa che accoglie diventa segno tangibile di integrazioni possibili e a misura di ogni persona. Il progetto prevede infatti l’accoglienza di singoli o di nuclei familiari per sei mesi, attivando in famiglie, comunità e territori tutto quanto può fare integrazione. “L’obiettivo – spiega don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana – è duplice: si tratta di creare delle condizioni di accoglienza migliori, ma soprattutto di innescare un circolo virtuoso di solidarietà ed accoglienza”.
Al centro c’è la famiglia, stimolata a scommettere sul protagonismo dei rifugiati per consentire loro di raggiungere quel grado di autonomia e di emancipazione così difficile da realizzare in grandi strutture e centri, creati prioritariamente per contenere.
Caritas Italiana curerà la formazione e l’accompagnamento del progetto, anche attraverso Communitas Onlus, un consorzio di organismi promossi dalle Caritas diocesane che ha messo a disposizione esperti del settore.
Durante l’attuazione del progetto, monitorato da tutor nazionali ed operatori diocesani, ci saranno momenti di verifica per valutare l’andamento delle accoglienze attivate
Un progetto innovativo che può diventare stile e paradigma per le Diocesi, dopo la prima e positiva sperimentazione di tre anni fa con alcune realtà pilota e che ha registrato un successo di partecipazione, oltre ogni aspettativa.