Fundraising: la combinazione di due strategie, secondo la scuola americana, è sempre stata la chiave per una raccolta fondi veramente di successo: l’una è una sorta di proposta romantica e puramente emotiva (durante un ballo di fine anno, un evento famigliare, una riunione di club, ecc.) sempre per scopi umanitari e altamente meritevoli, l’altra sfaccettatura è di proporre a qualcuno un investimento di capitale sulla base di un ritorno tangibile di visibilità personale o di immagine aziendale, o addirittura per il conseguimento di vantaggi ancora più tangibili. (Scopri di più su: https://www.assodigitale.it/2016/01/18/159499/)

Paolo Brambilla 

Mentre entrambi gli approcci sono adatti a sollecitare i donatori, in realtà rappresentano modi completamente diversi di chiedere soldi. Non dovrebbero escludersi a vicenda, ma spesso il secondo approccio è considerato meno elegante nelle comunità senza scopo di lucro. E’ un errore, anche se il coinvolgimento emotivo resta fondamentale: ma per molti non deve essere considerata l’unica motivazione possibile.

Secondo una ricerca svolta qualche tempo fa negli USA, i donatori sopra i cinquant’anni di età tendono a rispondere bene agli appelli emotivi che dicevamo. I donatori anziani generalmente si sentono in dovere di continuare a contribuire alle organizzazioni che sostengono e alle cause che stanno loro a cuore, soprattutto nei confronti delle organizzazioni più conosciute.

Questo non vuol dire che il richiamo emotivo non sia efficace anche sulle generazioni più giovani, ma queste sono molto più interessate ai risultati che il loro intervento può creare: generalmente vedono la loro donazione anche come un investimento. Vogliono sapere che la loro donazione servirà a qualcosa di concreto. Se non sentono di ricevere un buon ritorno sul loro investimento, non riusciremo a coinvolgerli. Capire questo è la chiave del successo di molte operazioni di fundraising.
  • L’importanza dell’approccio emotivo sarà approfondita il prossimo 29 gennaio in un interessante seminario dal titolo “Emotional fundraising”, organizzato da ConfiniOnline al Centro Culturale S. Fedele a Milano.
"Siamo macchine emotive che pensano” e “non macchine pensanti che si emozionano” dichiara Vincenzo Russo, professore di Psicologia dei Consumi e di Psicologia della Comunicazione Audiovisiva presso la IULM di Milano. “Per questo motivo nel campo del marketing occorre sapere agire le leve dell’emotività, per questo a volte le nostre decisioni sembrano “irrazionali”. Di fatto oggi le neuroscienze hanno dimostrato che il processo decisionale risponde a regole e principi assai diversi dalla razionalizzazione a cui siamo sempre stati abituati nell’età moderna”.

In effetti le operazioni di marketing finora hanno sempre preferito una strategia razionale basata sui numeri. Nel caso del fundraising la logica dovrebbe essere molto stretta. La sensibilità cui si fa appello è sostanzialmente questa: “1) Caro potenziale donatore, ti preoccupi per la causa perseguita dalla nostra organizzazione? 2) Noi crediamo che potresti donare il tuo tempo / denaro / energia. 3) Questo contribuirà direttamente a che la nostra organizzazione senza fini di lucro possa raggiungere risultati tangibili e far così progredire la nostra causa”.

In parole povere, questo crea una semplice equazione: A + B = C. Molto razionale. Ma non esattamente quello che ci insegna il prof. Vincenzo Russo. Forse è il caso che i responsabili marketing si avvicinino con una nuova mentalità all’argomento.

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