È la prima volta: più il tempo passa più i pericoli legati al clima aumentano, se non contrastati. (Scopri di più su:
http://www.greenreport.it/news/clima/world-economic-forum-nel-2016-il-cambiamento-climatico-e-il-rischio-globale-numero-uno/)
di
Luca AteriniPer la prima volta, il gotha dell’economia mondiale riconosce esplicitamente il cambiamento climatico come il rischio più grande per il mondo. Non le armi di distruzione di massa (che occupano il 2° posto della lugubre classifica), non le crisi idriche (3° posto), le migrazioni involontarie su larga scala (4°) o i forti shock dei prezzi delle fonti energetiche (5°) che anche in questi giorni stanno terremotando le borse mondiali. Secondo il Wolrd economic forum, che ha appena pubblicato l’
11esimo Global risk report, la «mancata mitigazione e il mancato adattamento al cambiamento climatico sono il rischio globale numero uno in termini di impatto, mentre il rischio più probabile è costituito dalle migrazioni involontarie su larga scala, che registrano quest’anno la più forte crescita in termini di impatto e di probabilità».
È la prima volta nella storia di questo rapporto che un rischio ambientale conquista il primo posto in classifica, anche se già
la passata edizione poneva la tematica in grandissimo rilievo. Una valutazione logica: più il tempo passa più i rischi legati al cambiamento climatico aumentano, se non contrastati. E il cambiamento climatico, è bene ricordarlo, nonostante tutti i proclami sta ancora avanzando:
che ha appena dichiarato la Nasa, nel dicembre del 2015 la concentrazione della CO2 in atmosfera ha superato la soglia delle 400 parti per milione, un limite che gli scienziati avevano individuato come da non valicare, per evitare con conseguenze imprevedibili.
Alla luce di una simile evoluzione, ecco che quest’anno poco meno di 750 esperti provenienti dal mondo imprenditoriale e accademico, dalla società civile e dalla pubblica amministrazione, hanno visto il cambiamento climatico – o meglio, nelle insufficienti risposte con le quali viene affrontato – come il rischio con il maggiore potenziale d’impatto negli anni a venire, mentre il rischio più probabile è costituito dalle migrazioni involontarie su larga scala.
Si tratta però, a ben vedere, di due rischi strettamente collegati, come riconosce lo stesso World economic forum. «Sappiamo che il cambiamento climatico sta inasprendo altri rischi – ha spiegato Margareta Drzeniek-Hanouz, responsabile di Global competitiveness and risks del Wef –, come quello delle migrazioni e della sicurezza, ma queste non sono affatto le sole interconnessioni che si stanno rapidamente evolvendo con un impatto spesso imprevedibile sulle società. Gli interventi per mitigare tali rischi sono importanti, ma l’adattamento è vitale».
Si tratta di due facce della stessa medaglia, e implicitamente si riconosce che ormai il cambiamento climatico procede ormai troppo speditamente per pensare di riuscire ad arginarne tutte le conseguenze; ad alcune non possiamo far altro che adattarci, applicando il principio di resilienza.
E la chiave per creare resilienza, riassume il World economic forum, «è la stabilità delle società». Raggiungere quest’obiettivo significa affrontare le problematiche (e le opportunità) poste dalla montante digitalizzazione della società, e promuovere buona occupazione. Le tecnologie, afferma il Wef, conferiscono ai cittadini il potere di informarsi, collegarsi con altri e organizzarsi; allo stesso tempo i cittadini si sentono deprivati dei loro diritti da parte di lontane élite, che a loro volta si sentono minacciate e imprimono interventi repressivi sui cittadini, in una spirale assai rischiosa, anche – aggiungiamo noi – per l’inadeguatezza dei filtri cognitivi e mediatici che mediano una realtà sempre più complessa, digitalizzata ma non decifrata.
Da questo punto di vista, sottolinea il Wef, altri rischi globali rimangono problematici a causa della loro combinazione di impatto e probabilità, come ad esempio quelli di carattere economico, comprendenti le crisi finanziarie nelle economie chiave e l’elevata disoccupazione strutturale o la sottoccupazione. Fattori che incidono profondamente – un esempio lampante è l’Italia – sulla mancanza di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, e di stabilità e prospettive nell’intera società. Ma dato che il mondo rimane sempre tutto attaccato, in questo caso la risposta più intelligente potrebbe (e dovrebbe) arrivare proprio dalla lotta al cambiamento climatico e al depauperamento delle risorse naturali. Contrastare queste tendenze significa incidentalmente creare occasioni di lavoro sostenibile e qualificato, per le quali occorrono investimenti – pubblici, se i privati non rispondono all’appello. C’è da chiedersi semmai perché dal World economic forum, che non è un’organizzazione come le altre –
afferma di annoverare tra i suoi membri 1.000 delle top corporation mondiali, imprese globali solitamente con più di 5 miliardi di dollari di fatturato –, non comincino ad arrivare risposte concrete e coordinate, oltre che ottime analisi.