Mai come quest’anno si è creata una straordinaria mobilitazione civica in favore di migranti e richiedenti asilo. Tante le iniziative spontanee partite dai cittadini, come al centro Baoabab di Roma, al binario1 di Bolzano fino alla piattaforma Refugees Welcome. Ancora emergenziale la risposta delle istituzioni. (Scopri di più su: http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/497239/Migranti-Da-Roma-a-Bolzano-il-2015-e-l-anno-dell-accoglienza-dal-basso)

Roma. L’ultimo progetto approdato in Italia è il sito Refugees Welcome, una piattaforma nata in Germania nel 2014, per mettere in contatto i rifugiati con i cittadini che vogliono ospitarli in casa propria. L’obiettivo, come spiegano i promotori, è quello di favorire l’integrazione tra i profughi che arrivano nel nostro paese e gli italiani, attraverso un modello di accoglienza diffusa. Il progetto, che si è rivelato già promettente in altri stati europei (solo in Germania nel primo anno sono stati messi in piedi 231 “abbinamenti”, in Austria, Polonia, Grecia e Spagna il totale è di altri 240 abbinamenti) è l’ultimo di una serie di iniziative dal basso che hanno visto sempre più persone comuni, da Nord a Sud, mobilitarsi in favore dei migranti e dei richiedenti asilo. Il 2015, infatti, è stato per l’Italia l’anno dell’accoglienza dal basso. Mai prima d’ora si era vista una straordinaria mobilitazione civica in favore dei migranti. In molti casi, come anche nel resto d’Europa, le iniziative lanciate quasi per caso dai cittadini hanno permesso di fronteggiare situazioni emergenziali nei territori. E di ovviare alle lacune delle istituzioni che ancora quest’anno, nonostante un calo degli arrivi, hanno messo in piedi un sistema di accoglienza per larga parte “emergenziale”.

Una delle esperienze più importanti di accoglienza dal basso è nata Roma, a pochi passi dalla stazione Tiburtina. Qui un gruppo di cittadini volontari per tutta l’estate ha fornito assistenza a circa 35mila migranti transitanti, con il solo supporto per la parte sanitaria e legale, delle associazioni. Al centro Baobab ( una struttura che prima di allora era salita agli onori della cronaca per la foto simbolo di Mafia capitale) si è sviluppato così un modello del tutto nuovo, che ha dimostrato in pochi mesi l’efficienza e il senso pratico delle persone comuni nell’affrontare i fenomeni complessi: come quello dei migranti transitanti, quei profughi cioè che vedono nell’Italia solo un paese di transito, perché vogliono raggiungere il Nord Europa. All’opposto è emersa, invece, l’inadeguatezza delle istituzioni, che negli stessi mesi hanno promesso, senza trovarne, soluzioni alternative. Oggi il centro Baobab è chiuso, ma i volontari sono riusciti ad aprire un tavolo con il Commissario straordinario di Roma, Francesco Paolo Tronca, per portare avanti l’esperienza dei cittadini anche in un’altra struttura, magari più grande e adeguata, per venire incontro alle esigenze di assistenza ai profughi che continuano ad arrivare a Roma. L’esempio potrebbe essere quello di Milano, dove già dallo scorso anno i cittadini si sono messi al lavoro spontaneamente per accogliere i tanti profughi che passano dalla stazione centrale. L’esperienza è continuata, rafforzandosi, anche nel 2015. Questa volta, però, con l’aiuto del Comune che ha coordinato il lavoro dei volontari insieme ad associazioni e cooperative sociali.

Anche a Bolzano, al binario 1, la solidarietà è sorta spontaneamente. Qui uomini e donne provenienti anche da Innsbruck o dalla Val Venosta, si sono uniti ai cittadini per rendere umani i binari della stazione alto-atesina. “I treni da Roma carichi di migranti arrivavano sul binario 3 – racconta Eliana, una delle volontarie -. Abbiamo fatto domanda per avere uno spazio a nostra disposizione: ce ne è stato dato uno sul primo binario, a fianco dell’associazione Volontarius che si occupa di questi temi”. Sempre su uno dei luoghi di frontiera si inserisce anche l’esperienza del collettivo “No borders Ventimiglia”. Un presidio permanente che ha preso il via l’11 giugno, quando un gruppo di migranti, per resistere allo sgombero da parte delle forze dell’ordine, che gli impedivano l’accesso in Francia, aveva trovato rifugio sugli scogli della città, dando vita a una protesta. Da allora reti di solidarietà si sono mosse dai territori limitrofi organizzandosi per costruire un laboratorio permanente di convivenza e integrazione.

Tra gli ultimi progetti, nato proprio in questi settimane, c’è il dormitorio autogestito del centro sociale occupato Labàs di via Orfeo, a Bologna. Qui sono circa un centinaio i volontari che hanno partecipato al progetto “Accoglienza degna”, con cui il collettivo Labàs e il Tpo (Teatro polivalente occupato) hanno deciso di affrontare l’emergenza abitativa nella città. Tramite donazioni e raccolta fondi in un mese hanno realizzato un dormitorio autogestito e il servizio di accoglienza “Refugees welcome point”, dove i migranti che transitano dalla città possono trovare ristoro, pernottare per qualche giorno, utilizzare i servizi sanitari e ricevere un pasto caldo.

Queste iniziative, insieme a molti altri piccoli progetti lanciati spontaneamente in questi mesi, tracciano la mappa di un nuovo approccio civico e solidaristico al fenomeno migratorio, diventato centrale nel 2015, dopo che con le immagini provenienti dai Balcani è stato chiaro a tutti che la crisi dei profughi era ormai arrivata nel cuore dell’Europa. Sembrano un lontano ricordo le rivolte davanti ai centri di accoglienza, come quella di Tor Sapienza, che alla fine dello scorso anno dominavano la scena politica nazionale. Ma se la disposizione dei cittadini appare mutata, non cambia l’approccio delle istituzioni. Come spiega l’ultimo Rapporto accoglienza del ministero dell’Interno nel 2015 il 70 per cento delle strutture deputate all’accoglienza di profughi e richiedenti asilo è un Cas (Centro di accoglienza straordinaria). A livello centrale dunque si continua a ricorrere a un sistema emergenziale per far fronte a un fenomeno ormai strutturale nel nostro paese. E così mentre lo Stato tampona, ricorrendo a strutture non sempre adeguate, i cittadini si rimboccano le maniche, mostrando che un altro modo di fare accoglienza è possibile. (ec)

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