Dopo mesi di preparazione e di dialogo costruttivo con le autorità interessate, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e la Comunità di Sant’Egidio annunciano l’apertura di corridoi umanitari verso l’Italia dal Libano, dal Marocco e dall’Etiopia. Ecco un modello da seguire. (Scopri di più su: http://www.arcsculturesolidali.org/2015/12/17/sant-egidio-e-le-chiese-evangeliche-aprono-il-corridoio-umanitario/)

Di fronte alle stragi del Mediterraneo, la Federazione delle Chiese evangeliche e la Comunità di Sant’Egidio lanciarono una proposta: aprire nei Paesi da cui partono i migranti un canale dedicato, per ottenere visti per motivi umanitari.

Come finanziare la proposta? Con l’8×1000 della Chiesa valdese e di Sant’Egidio. Dopo mesi di preparazione e di dialogo costruttivo con le autorità interessate, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e la Comunità di Sant’Egidio annunciano l’apertura di corridoi umanitari verso l’Italia dal Libano, dal Marocco e dall’Etiopia.

La base giuridica dell’iniziativa si fonda sull’art. 24 del Regolamento (CE) n.810 / 2009 del 13 luglio 2009 che istituisce il Codice comunitario dei visti, vale a dire la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata, in deroga alle condizioni di ingresso previste in via ordinaria dal codice frontiere Schengen, “per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazional”.

In attuazione di questa disposizione, su indicazione congiunta del Ministero dell’Interno e del Ministero degli Affari Esteri, una o più rappresentanze diplomatiche vengono autorizzate a rilasciare un numero predeterminato di visti per “motivi umanitari.

Dopo mesi di relazioni e dialogo diplomatico e dopo aver ottenuto le autorizzazioni previste, parte oggi il primo corridoio umanitario, che potrebbe essere seguita anche ad altri Paesi europei.

Che qualcosa si stia muovendo in tal senso lo abbiamo capito il 29 ottobre scorso. Quel giorno, 35 vescovi e leader religiosi provenienti da 20 Paesi si sono riuniti a Monaco di Baviera per ragionare e discutere sul dramma dei profughi e sul ruolo che le chiese nei “processi di gestione dell’emergenza e del rischio”, chiedendo con forza la creazione di passaggi di sicurezza, corridoi umanitari lungo i quali far transitare i migranti.

“Come cristiani”, si legge nel documento siglato dai presenti in rappresentanza del mondo protestante, anglicano, ortodosso e cattolico, oltreché da organizzazioni umanitarie ad esse legate, “come cristiani non possiamo che rifarci a Matteo 25 vedendo nel prossimo sempre l’immagine stessa di Dio, sapendo inoltre che ogni essere è creato a sua immagine e somiglianza”.

“L’esperienza della migrazione e dell’attraversamento dei confini è nota alla chiesa di Cristo. La santa famiglia era essa stessa rifugiata; l’incarnazione stessa del nostro Signore è un attraversamento del confine tra umano e divino”, si legge ancora nel documento, che nella seconda parte denuncia quella che viene definita la re-nazionalizzazione della politica, sempre più involuta. “Anche nelle chiese resistono tentazioni isolazioniste, a ‘fare da soli’. Dobbiamo resistere a ciò e lavorare anzi in un’ottica universale con il più ampio orizzonte ecumenico possibile”.

Il pastore Massimo Aquilante, presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche italiane (FCEI), racconta che presto il progetto potrebbe essere seguito da altri Stati. “Le chiese protestanti in Austria, che hanno un accordo con il loro governo, sarebbero pronte ad accogliere 200 persone”. Ovviamente, il progetto dei corridoi umanitari, spiega il pastore, “non ha come obiettivo la risoluzione dell’intera questione dell’immigrazione: è un progetto pilota, che ha a che fare con piccoli numeri, e che vuole essere segnale di buona pratica. Se gli altri governi europei la vorranno cogliere, allora questa buona pratica può preludere a una revisione del Regolamento di Dublino e della legislazione europea”.

Ci sono molti migranti, prosegue il pastore, “che scappano dalla guerra e che non hanno i documenti e non possono ottenerli nel loro paese di origine. Proprio questo è il centro del progetto. Il nostro lavoro è di accompagnamento. Risolte le questioni preliminari, si verificherà che cosa manca alla buona riuscita della richiesta. Il nostro desk a quel punto accompagnerà il percorso della persona, l’aiuterà a reperire i documenti mancanti, mediando la pratica con l’ambasciata italiana”.

Non sarà quindi “solo un lavoro burocratico e notarile, bensì un lavoro di accompagnamento dal Marocco all’Italia, anzi dal Marocco verso il paese che il migrante indicherà come propria meta. Se riuscirà questa buona pratica in Marocco, si può pensare che negli anni venturi le grandi chiese potranno organizzarsi meglio di quanto possiamo fare noi, e convincere i rispettivi governi a seguirle in questa buona pratica”.

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