I media partecipano alla costruzione della realtà sociale e possono spesso trasformare tale realtà in un’opinione socialmente condivisa. (Leggi di più su:
http://www.acli.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=10442:ieri-e-oggi-gli-immigrati-nella-narrazione-mediatica&Itemid=770#ixzz3uwImeGsJ)
Scritto da Cristina Morga e Angela Schito
Ciò equivale a dire che l’opinione pubblica, ovvero “ciò che pensiamo pensi la gente di un determinato fenomeno”, è senza dubbio orientata dall’azione di TV e giornali: essi, infatti, presentando temi talvolta controversi, ci chiamano a prendere delle posizioni, a volte in modo esplicito, a volte in maniera più velata.
Possiamo affermare che quest’anno i fatti relativi al tema dell’immigrazione sono esplosi nel mondo dell’informazione, ridefinendone l’agenda nella frequenza e nella rappresentazione del fenomeno: gli attacchi alla capitale francese, l’aumento di bambini morti in mare (circa 700), l’incerto procedere della politica europea e non ultime, le lunghe file di esuli sui confini che rimandano a tristi immagini di un passato non molto lontano, sono stati quotidianamente riportati dai nostri media.
Infatti, secondo i dati del
Terzo Rapporto Carta di Roma 2015 “Notizie di confine” si è registrato un incremento dell’80% dei titoli di giornale e del 250% dei servizi dei telegiornali sul delicato tema dell’immigrazione. In questo senso, come affermano Ilvo Diamanti e gli studiosi dell’Osservatorio di Pavia che analizzano il dibattito pubblico quotidiano sui media (carta stampata e TV), il 2015 è stato un “anno di svolta”: 1.452 sono state le notizie dedicate al tema dell’immigrazione sulle prime pagine dei maggiori quotidiani (Avvenire, La Stampa, La Repubblica, il Giornale, Il Corriere della Sera e l’Unità) e 3.437 quelle dedicate nelle edizioni del prime time dei telegiornali (Rai, Mediaset e La7).
Ma al di là dell’aumento delle notizie, come si sono comportati i nostri media? E come, di riflesso, è cambiata la rappresentazione dei migranti nel nostro Paese?
Secondo il citato Rapporto, l’immigrazione è ormai un dato di fatto dirompente; ecco perché si è autoimposto e, per la prima volta, si presenta nei media non in modo esclusivamente stereotipato, ma attraverso una narrazione più complessa. Ne è testimone il fatto che, contrariamente al triennio 2006-2009, in cui l’immigrazione, raffigurata sempre con una sola faccia, rappresentava nell’opinione pubblica soprattutto una minaccia, oggi, tale tema, riportato nei media con una molteplicità di volti e termini (si parla di fuggitivi, di disperati, di esuli, di profughi ecc.) ha prodotto nell’opinione pubblica sentimenti diversificati.
Non è un caso che è proprio negli anni passati che si registra il massimo degli indici di ostilità verso gli stranieri, mentre alla crescita esponenziale di visibilità nei media del tema dell’immigrazione non ha corrisposto un aumento della paura e dell’insicurezza nei confronti di migranti e profughi. E’ l’accoglienza il tema attorno al quale è ruotata negli ultimi mesi la maggior parte della comunicazione sull’immigrazione: più della metà dei titoli analizzati ha un riferimento alla gestione e all’emergenza degli arrivi di migranti e profughi. Inoltre, il 7% dei servizi televisivi ha dato voce direttamente ai migranti e ai profughi (tale percentuale non è affatto irrisoria, se pensiamo che nel 2008 corrispondeva allo 0,5%), mentre i rappresentanti della società civile e delle forze dell’ordine sono stati presenti nel 5% di essi.
Che cosa ha determinato un tale cambio di passo? I numerosi interventi del Papa su questo tema non sono stati ininfluenti, così come la diffusione di alcune immagini che possono aver giocato un ruolo determinante nello scuotere le coscienze delle persone. Si pensi alla foto del bambino siriano sulla costa turca o quella del neonato di fronte al plotone di polizia di frontiera in assetto di guerra… Sappiamo bene come le immagini possano giocare un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà, soprattutto quando non sono accompagnate da una “retorica orientata”.
Eppure il mondo del giornalismo, di fronte a questi timidi segnali positivi, non deve abbassare la guardia. Infatti, nel corso di quest’anno, benché si segnali una diminuzione della visibilità degli immigrati associati alla criminalità, si assiste ad un incremento di visibilità del binomio terrorismo-immigrazione nei quotidiani. Inoltre, resta da sottolineare che nel 47% dei casi il tono nei titoli delle testate giornalistiche citate rimane ancora allarmistico, con evocazioni negative rispetto al pericolo dell’invasione e alla preoccupazione per la sofferenza di profughi e migranti.
In conclusione, si può affermare che, nonostante le notizie siano state spesso cariche di una certa ansia, non è prevalso né lo stigma, né la costruzione di un discorso orientato: non c’è stato un sentimento unico da “poter sfruttare”, ma un ventaglio di sentimenti che va dalla paura alla pietas. In questo senso, "l’imprenditoria politica" che tende a strumentalizzare le storie e le immagini degl’immigrati ha avuto meno successo dei precedenti anni.
La Carta di Roma (codice deontologico su migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta, firmato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa italiana, in vigore dal 2008) ha giocato un importante ruolo nel mondo dell’informazione. Eppure, non sempre le notizie veicolate contengono dati precisi e un lessico adeguato, svelando talvolta l’incapacità di alcuni giornalisti di restituire la verità sostanziale dei fatti sull’immigrazione (e non solo) che violano con dolo i principi del “buon giornalismo”.
Chi lavora nel campo dei media ha una grossa responsabilità nella costruzione della rappresentazione sociale dell’immigrazione: oggi non servono confini fisici (muri e fili spinati), ma confini cognitivi, non in un’ottica di chiusura, ma di apertura, per dialogare con le persone, riconoscendole nella loro alterità e complessità. Ma questo si può fare soltanto abbattendo la pigrizia che domina un certo modo di fare informazione, in cui si pensa di poter costruire una notizia dietro alla scrivania.
Il valore aggiunto di un racconto, invece, sta proprio nell’entrare in contatto con la realtà di riferimento per conoscerla a 360°. Il fenomeno dell’immigrazione non può essere schiacciato nelle categorie di spazio e tempo, riducendosi solo all’arrivo in massa dei migranti, ma deve essere allargato alle storie che precedono la loro partenza, alle responsabilità passate e presenti del “civile” Occidente e al lungo e tortuoso percorso che dal mondo di sotto li ha portati al mondo di sopra.
Diversamente, il giornalismo rischia di essere fagocitato dall’omologazione e dal mainstream, perdendo la sua connotazione critica. Infatti, solo il pensiero libero e critico, basato sulla conoscenza e sull’approfondimento può restituire ai cittadini una notizia multi-sfaccettata, una notizia capace di andare al di là delle cose così come appaiono, facendo riflettere le persone sulla complessità degli eventi e mettendoli in condizione di riappropriarsi di una certa capacità di analisi e valutazione dei fatti per scegliere da che parte vogliono stare. E su questo fronte la strada da fare è ancora lunga!