Come cambia il ruolo delle fondazioni all’interno di un sistema di welfare sempre più in mutamento? Cosa sono le fondazioni di comunità e che ruolo possono avere nello sviluppo di una società solidale e nella promozione della cultura del “dono”? Come rendono possibile l’incontro fra donatori e organizzazioni del Terzo settore? Quali risorse sono in grado di mobilitare grazie al loro ruolo di “lubrificante e catalizzatore” che svolgono generando fiducia e relazioni? Che ruolo possono avere anche nel settore culturale? (Scopri di più su:
http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/le-fondazioni-di-comunit%C3%A0-strumenti-e-strategie-un-nuovo-welfare)
Marianna Martinoni, ASSIF
A queste ed altre domande risponde nel volume “Le Fondazioni di comunità. Strumenti e strategie per un nuovo welfare” Bernardino Casadei[1], già presidente di Assifero e fra i primi promotori del progetto Cariplo sulle Fondazioni di Comunità: un testo agile e di taglio fortemente concreto e operativo, che nasce dall’esperienza ventennale di studio e sviluppo della filantropia di comunità dell’autore, raccogliendo i principali scritti, di cui alcuni inediti, che in questi due decenni ha dedicato a questo mondo.
Con un taglio molto operativo e concreto, Casadei guida anche il lettore meno esperto attraverso i fondamenti di un settore che non sempre ha una chiara consapevolezza della sua identità e delle sue potenzialità, cercando di fornire una visione panoramica di come è oggi strutturata la filantropia istituzionale e facendo luce su quelle che sono le principali sfide con cui è chiamata a confrontarsi.
Nella prima parte Casadei illustra la diffusione delle fondazioni di comunità nel mondo e ne descrive l’introduzione in Italia attraverso la spiegazione delle principali caratteristiche del progetto che lui stesso ebbe modo di gestire per conto di Fondazione Cariplo.
Nate nel 1914 a Cleveland in Ohio, le fondazioni di comunità per come le conosciamo oggi sono rimaste per lungo tempo confinate nell’America del Nord.
A partire dalla seconda metà degli anni ‘90 esse hanno iniziato a crescere in maniera esponenziale, diffondendosi in tutti i continenti e dimostrando di essere in grado di adattarsi ai diversi contesti culturali, divenendo il fenomeno in più rapida crescita della filantropia istituzionale. A fine 2009 – racconta Casadei – esistevano nel mondo 1.680 fondazioni di comunità, di cui circa la metà costituita dopo l’anno 2000, con uno sviluppo particolarmente rilevante in Europa.
In Italia le fondazioni di comunità sono state come è noto introdotte in Lombardia grazie ad un progetto promosso da Fondazione Cariplo del 1997 sul modello dei community trustee di stampo anglosassone. Oggi se ne contano una trentina, quasi tutte concentrate nell'Italia del nord, anche se, per volontà della Fondazione per il Sud che ha voluto promuoverne lo sviluppo anche nel Mezzogiorno, ne sono sorte un paio in Campania e diversi comitati promotori si stanno organizzando nel sud del nostro Paese.
Nella seconda parte del testo, strutturata in tre capitoli, l’autore ci racconta con dati ed esempi concreti come la diffusione di questa istituzione in Italia, guardata inizialmente con scetticismo anche dai suoi stessi promotori, ha raggiunto oggi importanti risultati: basti pensare che il patrimonio oggi gestito dalle fondazioni di comunità italiane è secondo solo a quello delle fondazioni statunitensi e canadesi (avendo superato quello delle fondazioni di comunità britanniche che, fino a pochi anni fa, erano saldamente al terzo posto). In particolare vengono illustrate le caratteristiche alla base del successo di questa particolare tipologia di fondazioni[2]. Conoscenza del territorio in cui nascono, rapporto quotidiano con le non profit che vi operano, presenza di reti di relazioni articolate e pluralità di donatori, buone relazioni con i media locali e con la pubblica amministrazione, possibilità di offrire ai donatori incentivi fiscali propri delle onlus: questi sono solo alcuni degli aspetti che rendono le fondazioni di comunità un modello di successo, permettendo così di dar vita a quella sussidiarietà orizzontale di cui tanto si parla, ma che secondo Casadei ha bisogno di strumenti specifici per poter concretizzarsi nella vita quotidiana.
Interessante la riflessione sulla natura primaria delle fondazioni di comunità, nate per essere al servizio dei donatori: esse infatti non raccolgono soldi per sé, ma si pongono come veri e propri intermediari fra i donatori e gli enti non profit. Per questo motivo le fondazioni di comunità sono oggi una delle più efficaci infrastrutture sociali esistenti, in grado di aiutare i donatori a individuare le modalità più efficaci per perseguire i propri fini filantropici e allo stesso tempo sostenere gli enti non profit con le risorse a loro disposizione.
Nella terza parte, Casadei approfondisce il concetto di “dono” e individua un ruolo per le Fondazioni di Comunità che vada oltre la semplice intermediazione filantropica, dimostrando come queste ultime possano sì offrire servizi tecnici in grado di permettere al donante di ridurre i costi di transazione, massimizzare i benefici fiscali e liberarsi da fastidiosi oneri burocratici e amministrativi, ma sottolineando soprattutto come queste siano chiamate a dare un valore che va “oltre l’aspetto puramente meccanico e gestionale della filantropia”. Rispetto alle strutture gestite dalle società finanziare infatti, attraverso la promozione del dono, le fondazioni di comunità possono e devono secondo Casadei – “contribuire in modo sostanziale a ricostruire quel patrimonio di fiducia di cui sia lo Stato che il mercato hanno un evidente bisogno per poter operare, ma che non sembrano in grado di generare autonomamente e, nel contempo, dare una risposta ad alcuni dei bisogni fondamentali della persona umana, bisogni che la nostra società, pur nella sua opulenza, non riesce a soddisfare.”
La quarta parte, la più recente, si concentra invece sui temi della valutazione del cosiddetto Collective Impact e dell’individuazione di nuovi indicatori di valutazione che permettano di affrontare in modo costruttivo i problemi sociali (e qui l’autore porta come esempio la prima sperimentazione fatta grazie all’impegno della Fondazione Provinciale della Comunità Comasca). Di fronte al sostanziale fallimento di decenni di programmazione e sperimentazioni, oggi sono sempre più numerosi gli studiosi, i politici, i centri di ricerca di fama internazionale, gli osservatori e gli operatori del settore che auspicano un nuovo approccio, che faccia leva sulle relazioni e l’identificazione di un impatto perseguito collettivamente, in grado di conseguire risultati positivi “riuscendo a migliorare sensibilmente gli indicatori di riferimento non solo per un gruppo limitato di soggetti, come di solito accade per i progetti finanziati dalle fondazioni o dalle pubbliche amministrazioni, ma per tutta la popolazione di riferimento”.
Chiude il testo in appendice un saggio di Casadei dedicato al tema del rapporto tra fondazioni di comunità e fondazioni d’origine bancaria, primo scritto in assoluto apparso in Italia sul tema.
Una pubblicazione agile e di facile lettura che si pone come fondamentale tassello di conoscenza per chi crede in un possibile ruolo delle fondazioni nel rilanciare il Terzo Settore, nella costruzione di nuovo welfare e nel rimettere in moto un’economia oggi alla ricerca di quella fiducia e quelle prospettive che proprio il dono, e solo il dono, è in grado di generare.
Note:
[1] (
http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/parola-bernardino-casadei)
[2] (
http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/le-fondazioni-di-comunit%C3%A0-le-case-della-filantropia-dove-la-cultura-pu%C3%B2-trovare-un)