A due anni dallo scoppio della guerra civile (15 dicembre 2013) il più giovane Paese al Mondo è in preda a scontri, inflazione e una pace promessa quotidianamente e quotidianamente messa a repentaglio da un allargamento del conflitto. Intanto diverse famiglie scappano in vista dell'arrivo nella capitale di Machar, ex vicepresidente e leader dell’opposizione nel conflitto. Tommy Simmons e Valentina Picco di Amref, rientrati da poco dal Sud Sudan, ci raccontano la situazione del Paese, tra passato e presente. (Scopri di più su: https://www.amref.it/2015_12_14_La_salute_del_Sud_Sudan_a_due_anni_dalla_guerra_civile)

Sud Sudan, una enorme Torre di Babele

  • Tommy Simmons, Fondatore Amref Health Africa- Italia
Da due anni il Sud Sudan sopravvive col fiato sospeso. Il 15 dicembre del 2013 l’entusiasmo nazionale che aveva accolto la nascita del più giovane paese del mondo si è trasformato in paura degenerando in un’escalation di violenza e nel tracollo di una economia già fragilissima.

In termini cronologici la crisi e il successivo conflitto civile che ha frantumato il paese sono originati prima da disaccordi interni al partito unico della nazione - il Sudan People’s Liberation Movement -, costituito per portare il paese all’indipendenza dall’odiato governo di Khartoum, e poi dai conseguenti disaccordi all’interno del governo e dal conflitto “politico” tra il presidente e il vice-presidente del paese. Una opposizione, questa, che è stata alimentata anche dalle violente ostilità tra le rispettive etnie dei due leader. Agli occhi del mondo il reale casus belli era il controllo e la successiva spartizione delle ingenti risorse petrolifere del Sud Sudan, che generavano qualcosa come il 98% del prodotto interno lordo del paese. Nei fatti però il tutto è molto più complicato.

Intanto, in Sud Sudan, che ha un’estensione pari a più del doppio di quella dell’Italia e una popolazione di poco più di 12 milioni di abitanti (compresi i rifugiati scappati nei paesi limitrofi), vengono parlate oltre 60 (sessanta!) lingue diverse, cosa che da sé aiuta a comprendere la varietà di etnie e culture locali che occupano ogni angolo del paese. Dato che i sei decenni di guerra praticamente ininterrotta che il paese ha vissuto fino ad oggi non hanno permesso lo sviluppo di infrastrutture, di scuole, di fabbriche, in questa enorme Torre di Babele la maggior parte della popolazione vive di un’agricoltura o una pastorizia di sussistenza, con regole ataviche e infiniti motivi di conflitto interno. E la leadership politica e militare di ogni comunità è una leadership tradizionale funzionale alla sopravvivenza locale nel quadro di uno stato di guerra perenne. La nascita di uno Stato indipendente con una propria costituzione non ha chiaramente potuto rimediare a questa radicata frammentazione che rappresenta la base sulla quale la politica nazionale doveva essere costruita. Come in tanti altri angoli del mondo, e dell’Africa in particolare, anche la democrazia sudsudanese è una democrazia tribale con maggioranze etniche.

Il Sud Sudan, inoltre, ha ricchezze che fanno gola a tanti dei suoi vicini e anche a Paesi lontani. Oltre al petrolio e ai contanti che può generare nel breve periodo, il Paese possiede soprattutto grandi spazi e quantità gigantesche di acqua. Secondo la FAO il Sud Sudan ha più terre agricole fertili e irrigabili ma incolte del resto dell’Africa messa insieme. In un pianeta che deve nutrire un’umanità crescente le terre sudsudanesi fanno gola a tanti, così come i suoi ampi spazi sono certamente di interesse ai tanti vicini che devono gestire le conseguenze di vere e proprie esplosioni demografiche. E se tutto ciò non bastasse, le copiose acque del Nilo Bianco, che attraversa il Paese da sud a nord, tagliandolo in due e perdendo forse la metà del suo volume in evaporazione, quando si disperde nell’enorme palude del Sud, sono una risorsa immediatamente ed assolutamente vitale sia per l’arido ed adiacente Sudan, sia per il lontano ma sempre assetato Egitto. Sono troppe le ricchezze e le fragilità del Sud Sudan per poter sperare che il neonato Paese abbia una vita facile.

Oggi quel poco che si era riuscito a costruire sulle ceneri della guerra contro Khartoum è fortemente a rischio. La produzione di petrolio è crollata parallelamente ai prezzi del greggio e nonostante il governo abbia venduto anche parte della produzione futura, le casse dello stato sono vuote. L’inflazione è alle stelle e sul mercato nero, che è quello dominante, i dollari si acquistano a sei volte il tasso di cambio ufficiale. A causa degli scontri anche la produzione agricola e la distribuzione di merci sono state minate e mentre nelle zone più calde del conflitto civile quasi due milioni di persone sono fortemente a rischio di morire di fame, anche nel resto del paese la sofferenza è marcata.

Il Sud Sudan continua quotidianamente a vivere col fiato sospeso, in bilico tra la speranza di una pace che viene promessa quotidianamente e la minaccia, anch’essa quotidiana, di un peggioramento ed allargamento della guerra.

Per chi, come Amref Health Africa, continua doverosamente a lavorare per migliorare in modo strutturato la vita dei più bisognosi di questa sciagurata nazione, l’unica cosa da fare è continuare a credere nella possibilità di una stabilità duratura e di contribuire a costruirla, giorno dopo giorno, educando i giovani, formando i meno giovani e mettendo loro in mano conoscenze che sono un vero strumento di pace e di coesione.

Principali date della guerra civile

  • 9 luglio 2011 il Sud Sudan diventa, grazie ad un referendum passato con il 98,81% dei si, una Nazione indipendente separandosi dopo anni di guerra dal confinante Sudan
  • 15 dicembre 2013 il Vice Presidente Riech Machar, di etnia Nuer, tenta un colpo di stato contro il Presidente Salva Kiir, di etnia Nuer, scoppio della guerra civile
  • 26 agosto 2015 dopo piu’ di un anno e mezzo di guerra e ripetuti tentativi di negoziazione, il Presidente Kiir e il capo dei ribelli Machar firmano un accordo di pace
  • 28 ottobre 2015 esce il rapporto della Commissione dell’Unione Africana, creata nel 2014 per indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani durante la guerra: si evidenziano prove di stupri, omicidi di massa, torture, rapimenti commessi da entrambe le parti
  • 15 dicembre 2015 attesa e tensione per l’anniversario della Guerra che potrebbe coincidere con il rientro di Machar a Juba, accompagnato da una parte del suo esercito, per riprendere il suo posto al fianco di Kiir in Parlamento, come stabilito dagli accordi di pace

 

Il rientro di Machar: quale futuro?

  • Valentina Picco, operatrice Amref Health Africa
Sarà un mese delicato quello di dicembre, sia da un punto di vista politico che sotto il proflo della sicurezza, a Juba, la capitale, come nel resto del paese.

Machar, ex Vice Presidente e leader dell’opposizione dallo scoppio della guerra ad oggi, dovrebbe fare a giorni il suo ufficiale rientro a Juba, per riprendere in seguito il suo posto in Parlamento.

La data del suo arrivo è stata posticipata di settimana in settimana fin dall’inizio del mese di novembre, ma sembra che ormai si tratti davvero di una questione di giorni.

Nonostante le grandi incertezze e preoccupazioni riguardo alla reazione della città al suo ritorno, quest’ultimo rappresenta una fase fondamentale dell’implementazione degli accordi di pace.

Secondo il trattato firmato ad agosto, infatti, Machaar tornerà ad essere Vice Presidente e parte del suo entourage occuperà dei seggi in Parlamento.

Parlando con le persone emergono differenti reazioni e ipotesi diverse sul futuro del Sud Sudan: c’è chi appare indifferente, chi pensa che sarà davvero una svolta per il Paese e chi, purtroppo la maggioranza, crede invece che la pace sia ancora lontana.

Ho sentito moltissime testimonianze di persone che già dall’inizio del mese hanno lasciato il Paese per rifugiarsi momentaneamente in Uganda o in altre aree limitrofe, in attesa di vedere che cosa succederà. Anche gran parte dello staff di Amref approfittando della pausa natalizia ha lasciato Juba.

Chi resta fa scorte alimentari per evitare di dover uscire nelle prossime settimane e si prepara a trascorrere le feste chiuso in casa, deciso a non trovarsi nelle strade se mai qualcosa dovesse ancora accadere.

Da gennaio ci sarà da rimboccarsi le maniche e riprendere dalle nostre scuole e dai nostri studenti, i veri agenti di cambiamento, nella speranza che qualunque cosa avvenga, non riporti indietro di anni i progressi fatti fino a qui da chi, nonostante tutto, crede che sia possibile un futuro per il proprio paese.

Uno sguardo alla situazione sanitaria
  • Il Paese presenta le peggiori statistiche sanitarie del mondo
  • La maggior parte delle strutture sanitarie sono state distrutte dalla guerra civile
  • Il tasso di mortalità infantile è di 150 bambini che muoiono su 1000 nascite
  • La carenza di personale qualificato, soprattutto nelle aree rurali ha raggiunto livelli altissimi
  • Le patologie prevenibili e curabili costituiscono la principale causa di morte

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