Nascono comunità di pratica tra città distanti geograficamente ma accomunate dall’interesse per uno stesso tema, in territori che comprendono più enti locali legati dalla necessità di rigenerare e prendersi cura di uno stesso bene comune, tra comunità diverse che collaborano alla costruzione di patti di collaborazione. (Scopri di più su: http://www.labsus.org/2015/12/come-amministrazione-condivisa-cambia-gli-enti-locali/)

Pasquale Bonasora

L’applicazione del principio di sussidiarietà, attraverso il modello dell’amministrazione condivisa, favorisce la creazione di inedite alleanze e reti tra cittadini e istituzioni in quanto entrambi legittimati dalla Costituzione a perseguire l’interesse generale. Attraverso questa chiave di lettura la sussidiarietà orizzontale innesca, quasi naturalmente, innovativi processi relazionali tra tutti quei soggetti considerati non più utenti passivi ma portatori di risorse, secondo le loro possibilità.

E’ un’impostazione che rovescia il modello tradizionale del Diritto amministrativo basato sul paradigma bipolare affiancando ad esso il modello dell’amministrazione condivisa. Se caratteristiche del primo possono essere principi quali autorità, potere, gerarchia, elementi essenziali del secondo saranno al contrario, alleanza, autonomia, fiducia, responsabilità.
L’amministrazione locale, quale livello di governo più vicino al cittadino, è l’ideale luogo di applicazione di questo innovativo modello relazionale che, rispetto a problemi cui l’amministrazione non riesce a rispondere da sola, consente di moltiplicare le risorse alleandosi con i cittadini.


Amministrare oggi

Amministrare, oggi, un ente locale anche di piccole dimensioni è un’esperienza molto complessa. Le continue innovazioni normative e i crescenti limiti imposti dalla gestione delle finanze pubbliche mettono a dura prova le capacità di chiunque, politici o funzionari, spesso frustrati e impotenti di fronte alle crescenti aspettative e richieste di cittadini e attori chiave del territorio. Di fronte a questo scenario non regge l’impostazione bipolare che immagina il rapporto tra istituzioni e società solo in termini di contrapposizione, né tantomeno ci si può limitare all’attivazione dei classici istituti di partecipazione popolare introdotti nel nostro ordinamento dalla legge 142/90. Valorizzazione delle libere forme associative, promozione degli organismi di partecipazione possono risultare utili ma certamente insufficienti se paragonati alle potenzialità del modello di amministrazione condivisa. E’ necessario fare squadra favorendo, in modi diversi, l’autonoma iniziativa dei cittadini secondo quanto previsto dall’art.118 ultimo comma della Costituzione. La nuova frontiera della pubblica amministrazione sta, allora, nell’incrociare politiche partecipative e principio di sussidiarietà attraverso un lavoro di rete capace di favorire l’assunzione di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti in nome dell’interesse generale. Questa combinazione produce effetti innovativi sul modello amministrativo tali, non solo da moltiplicare le risorse disponibili, ma di generarne sempre nuove.


Un interlocutore unico nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione

Il Regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni prevede che la collaborazione con i cittadini attivi divenga funzione istituzionale dell’ente attraverso l’apertura di uno sportello, un’interfaccia amichevole che rappresenti l’interlocutore unico nel rapporto con la pubblica amministrazione. Anche in questo caso non si tratta del semplice capriccio di considerare, in virtù del dettato costituzionale, l’amministrazione condivisa finalmente pari ad ogni altra area o funzione, ma degli effetti che tale scelta comporta. Definire la struttura deputata alla gestione dei rapporti con i cittadini, infatti, produce di per sé effetti innovativi su tutta l’amministrazione locale, dall’organizzazione del personale alla gestione della comunicazione pubblica. Favorendo, innanzitutto, momenti di integrazione e coordinamento tra diverse aree e uffici comunali, per esempio, su uno stesso patto di collaborazione che preveda il riuso di un immobile abbandonato per l’avvio di una impresa a vocazione sociale o per progetti di valenza ambientale o ancora per una start-up tecnologica. In ognuno di questi casi quello che emerge è una nuova forma di collaborazione centrata non tanto sulla procedura amministrativa quanto sulla creatività generata dal rapporto tra un bene comune, una comunità che lo riconosce come tale e la pubblica amministrazione che favorisce l’autonoma iniziativa dei cittadini, innescando processi virtuosi di carattere sociale ma anche economico. Libera dai vincoli del paradigma bipolare che, in alcuni casi, alimenta separazione e conflittualità anche al proprio interno, la pubblica amministrazione può promuovere la nascita di un nuovo modello basato sull’interazione e la rete non solo con i cittadini ma anche tra le proprie strutture e articolazioni.


Alleanze tra cittadini di più comuni e tra diversi enti locali

L’applicazione del concetto di rete travalica anche i confini territoriali del singolo comune se pensiamo alla possibilità che più enti locali, individuando un bene comune che caratterizza un’area vasta, possano adottare lo stesso Regolamento consentendo la formazione di alleanze tra cittadini di più comuni e tra diversi enti locali. E’ quello che è accaduto nel Lazio dove i comuni di Trevigiano Romano, Anguillara Sabazia e Bracciano, i tre comuni che si affacciano sul Lago, stanno adottando lo stesso Regolamento accomunati dalla necessità di tutelare, insieme con i cittadini, l’enorme patrimonio paesaggistico, ambientale e culturale rappresentato dal lago e dai territori circostanti.

E’ quello che potrebbe accadere in Puglia, nel Salento. Presso il comune di Veglie è in discussione una proposta di Regolamento che estende la cura dei beni comuni a tutto il territorio comunale inteso come quel “contesto economico, ambientale, sociale e culturale in cui gli elementi identitari della comunità si esprimono attraverso la storia, i valori, le tradizioni” e introduce la definizione di agricoltura civica come quell’attività che, “oltre alla produzione di cibo, si pone al centro di una visione capace di suscitare interesse collettivo e innovazione sociale”. Intorno alla definizione di agricoltura civica come bene comune potrebbe nascere una ulteriore rete di comuni che adotti lo stesso Regolamento. Accanto alle tradizionali forme associative previste dal Testo Unico degli Enti Locali l’amministrazione condivisa promuove collaborazione, fa rete, costruita più che sulle forme, sui processi, sulla valorizzazione delle attività svolte da cittadini attivi e amministratori, insieme, sulla base del principio di sussidiarietà.

La costruzione di reti e alleanze nel modello di amministrazione condivisa non è un concetto astratto, frutto di analisi teoriche e di difficile applicazione ma una naturale conseguenza dell’innovazione prodotta dal principio di sussidiarietà. Lo abbiamo visto in occasione del primo incontro tra i funzionari delle città del Regolamento, organizzato da Labsus a Roma il giugno scorso, lo riscontriamo ogni giorno nel Paese. Nascono comunità di pratica tra città distanti geograficamente ma accomunate dall’interesse per uno stesso tema, in territori che comprendono più enti locali legati dalla necessità di rigenerare e prendersi cura di uno stesso bene comune, tra comunità diverse che collaborano alla costruzione di patti di collaborazione. E’ così, nel lavoro quotidiano di tanti, che si va sviluppando un nuovo rapporto tra politica, amministrazione e cittadini. Non più soggetti distinti e contrapposti ma alleati per la tutela dell’interesse generale.

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