Può un intervento rappresentare quanto di meglio sia mai stato realizzato in un determinato settore e, allo stesso tempo, risultare ancora lontano da ciò di cui ci sarebbe bisogno? Nella lotta alla povertà, la risposta è affermativa: si può sintetizzare così, infatti, il disegno di legge di stabilità presentato dall’Esecutivo Renzi. (Scopri di più su:
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-11-01/la-svolta-lotta-poverta-081437.shtml?uuid=ACPNtRRB)
Cristiano Gori*I passi in avanti compiuti
Sinora i Governi, di centro-destra come di centro-sinistra, avevano sempre dichiarato profonda preoccupazione per gli ultimi, espresso l’intenzione di sostenerli e poi – al momento delle scelte – volto lo sguardo altrove. Da quando, infatti, all’inizio degli anni 90, la necessità di migliori politiche contro la povertà è divenuta palese, gli Esecutivi susseguitisi hanno attivato perlopiù misure temporanee – sperimentazioni e una tantum – per loro natura incapaci di modificare durevolmente il nostro welfare. Peraltro, allorché è stata introdotta una prestazione stabile come la Social Card, si è trattato di un esiguo sostegno per pochi indigenti, che impegna solo 230 milioni di Euro annui.
Il risultato è che oggi in Europa solo l’Italia, insieme alla Grecia, è priva di una misura nazionale universalistica – destinata cioè a chiunque si trovi in tale condizione – contro la povertà assoluta, la mancanza risorse economiche necessarie per conseguire una standard di vita definito dall’Istat «minimamente accettabile».
La legge di stabilità segna una duplice discontinuità positiva rispetto al passato. Primo, i finanziamenti: viene compiuto uno sforzo senza precedenti, stanziando 600 nuovi milioni per il 2016 e 1 miliardo a partire dal 2017. Aggiungendo a questi fondi altri già disponibili per sperimentazioni e misure diverse, si raggiunge una cifra, variabile negli anni, intorno a 1,5 miliardi di Euro. Secondo, la progettualità: non si prevedono più provvedimenti temporanei bensì azioni strutturali poiché 1,5 miliardi sono assicurati per gli tutti gli anni a venire. Grazie a queste novità sarà introdotto un sostegno stabile rivolto ad una quota significativa (manca una stima numerica precisa) delle famiglie povere con figli minori. Il suo profilo è ancora indefinito: vi sarà certamente un contributo economico mentre è incerta la presenza di percorsi di inclusione sociale.
I passi ancora da compiere
Gli interventi previsti dall’Esecutivo sono significativi ma per affrontare in modo veramente incisivo la piaga dell’indigenza bisogna aggiungerne altri. L’Alleanza contro la Povertà in Italia, il più ampio soggetto di pressione esistente nel nostro paese – che raggruppa Associazioni, Sindacati e rappresentanze di Comuni e Regioni – propone di introdurre il Reddito di Inclusione Sociale (Reis), che colmerebbe l’assenza di una misura destinata a chiunque si trovi in povertà assoluta. Il Reis riceve notevole attenzione perché è disegnato come una “sintesi ragionata” delle numerose proposte presentate in passato, assumendone i punti di forza e agendo sulle criticità. Per incamminarsi verso il Reis, è necessario agire sui seguenti punti.
Universalismo: gli stanziamenti disponibili permettono di raggiungere non più di un milione di persone, appartenenti ad una specifica categoria (famiglie povere con figli). Si dovrebbe, invece, ampliare progressivamente l’utenza così da arrivare a coprire tutti i circa 4 milioni di individui in povertà assoluta, indipendentemente dal loro specifico profilo anagrafico e sociale (giovani e anziani, con figli o meno e così via).
Progressione dei finanziamenti: l’Alleanza propone di avviare il Reis attraverso un Piano nazionale in quattro anni, dal 2016 al 2019, che incrementi man mano le risorse sino a disporre, alla sua conclusione, della dotazione stabile necessaria, quei 7,1 miliardi annui che porterebbero la spesa del nostro paese al livello della media europea. Come mostra la tabella, nella prima annualità lo stanziamento del Governo è simile a quello per il Reis mentre a partire dalla seconda si registra una distanza crescente dovuta, per l’appunto, al mancato allargamento dell’utenza.
Inclusione sociale: il Reis è costituito da un mix di contributi economici – utili per rispondere al bisogno immediato – e percorsi di inserimento sociale, che offrono alle persone le competenze e gli strumenti per progettare una diversa traiettoria di vita. Li realizzano i servizi del welfare locale, a partire da quelli di Comuni e Terzo Settore, ma affinchè possano farlo debbono essere provvisti dei fondi necessari. Sebbene alcuni componenti del Governo si siano espressi in tal senso, la legge di stabilità non contiene indicazioni in merito. Si rischia così di incoraggiare una deriva assistenzialistica, nella quale ci si limita ad erogare aiuti economici senza promuovere l’autonomia dei poveri e il cambiamento delle loro condizioni.
Punto di partenza o di arrivo?
Per la nuova misura viene attivato il “Fondo nazionale per la lotta alla povertà”, che si aggiunge agli altri due principali fondi statali nel sociale: il Fondo Nazionale Politiche Sociali, introdotto a fine anni 90 quale strumento transitorio in attesa della definizione di un pacchetto di diritti sociali per tutta la popolazione (i livelli essenziali), e il Fondo non autosufficienze, nato nel 2007 come punto di partenza sul quale incardinare la successiva prevista riforma degli interventi per le persone non autosufficienti. Poiché né i livelli essenziali né la riforma della non autosufficienza sono stati poi realizzati, questi fondi - varati per essere i primi passi verso azioni di cambiamento strutturale – sono, invece, risultati punti di arrivo di percorsi incompiuti, diventando semplici “serbatoi” per la distribuzione di stanziamenti privi di un disegno progettuale.
Il timore è di assistere ad un esito analogo: in assenza di ulteriori azioni, infatti, quello che potrebbe costituire un buon punto di partenza nella direzione del Reis si ridurrebbe alla sola introduzione di una misura rivolta ad alcune famiglie povere con figli, sulla cui qualità, peraltro, non si può oggi scommettere. Al fine di evitarlo bisognerebbe rafforzare il testo governativo nella direzione del Reis, assumendo il respiro progettuale del Piano nazionale previsto dall’Alleanza: lo Stato si impegna ad un progressivo incremento di risorse, definendo con chiarezza i passaggi intermedi previsti anno per anno, che conducano ad avere nel 2019 il Reis a regime. Stabilito un quadro di riferimento pluriennale e preciso, Stato, Regioni, Comuni, Terzo Settore e gli altri soggetti coinvolti lavorano insieme per realizzare adeguate risposte contro la povertà.
La speranza è che il dibattito parlamentare sulla stabilità non si fermi alle risorse da stanziare tra due anni o tre anni, come se fosse questo il nocciolo della questione. Esse, infatti, rappresentano semplicemente la conseguenza di una scelta ben più rilevante, ancora da compiere: quella sul welfare che si vuole costruire per l’Italia del futuro.
* L’autore è oordinatore scientifico dell'Alleanza contro la povertà in Italia