Nel Paese più giovane al mondo, martoriato da decenni di guerra, dove le infrastrutture sono ai minimi termini e migliaia di persone fuggono, anche quello che per noi era "un prato verde dove crescono speranze" - la Regione rigogliosa di Western Equatoria - è percorsa da violenze e instabilità. Valentina Picco - operatrice Amref - ci racconta il clima, tra coprifuoco, tentate rapine, impossibilità di andare a visitare i progetti Amref a Maridi, proprio nello Stato di Western Equatoria. Una situazione "che va di male in peggio". (Scopri di più su: https://www.amref.it/2015_10_29_Sud_Sudan_voci_dal_campo)


Sud Sudan: la guerra degli elefanti

Tommy Simmons- Fondatore di Amref Health Africa - Italia

“Quando gli elefanti combattono, l’erba soffre”, non c’è proverbio più azzeccato di questo per descrivere quanto sta accadendo in Sud Sudan: il suo popolo, la sua grande prateria, infatti, è oggi calpestata e martoriata dal conflitto in atto nel paese.

Quello che è nato come scontro politico tra il presidente e il vice-presidente, nel dicembre del 2013 ha portato a un iniziale conflitto armato nella capitale Juba, tra le forze fedeli ai due leader, che si è poi esteso a tutte le linee di confine tra le due etnie di appartenenza dei due capi, portando ai massacri reciproci e ripetuti da entrambe le parti. Inizialmente l’etnia numericamente dominante conquistava il territorio frammentato; successivamente gli scontri si sono fatti più organizzati, militarizzati, e quasi ogni località ha cambiato di mano svariate volte.

Nel febbraio del 2014 sono andato a Bor, grande città sul Nilo Bianco, momentaneamente in mano alle forze governative coadiuvate dall’esercito ugandese, e ho trovato le vie vuote, le case saccheggiate, i mercati bruciati, le fosse comuni con le salme allineate dentro a sacchi bianchi, e l’odore della morte che aleggiava in più parti. L’ospedale era stato svuotato durante la prima ondata di violenza e i pochi feriti erano stati collocati in un magazzino adibito ad ospedale da campo. Gran parte degli abitanti della città erano fuggiti con i pochi averi essenziali e trasportabili e si erano rifugiati in una zona paludosa sull’altra sponda del grande fiume; i sopravvissuti dell’etnia che aveva perso la città - erano 50.000 - avevano trovato rifugio in un campo protetto delle Nazioni Unite, dove i Caschi Blu vigilavano ben armati da dietro recinzioni di filo spinato e un’alta barriera di terra eretta tutt’attorno al campo. Per evitare che da fuori si potesse sparare ai civili chiusi dentro a questa fortezza, dietro ai terrapieni era stata creata una seconda muraglia, questa volta costituita da container di metallo, a protezione delle capanne di fortuna della popolazione civile lì disposta.
Lungo il Nilo e in tutte le zone contese questi campi protetti continuano a tutelare centinaia di migliaia di persone di entrambe le etnie che, nei fatti, sono prigioniere della situazione, in quanto, pur avendo la facoltà di uscire, possono farlo solo mettendo a repentaglio la propria vita.

Ma il dramma sud sudanese si estende oltre i campi. Su di una popolazione di circa 12 milioni di abitanti, oltre 500.000 persone si sono rifugiate nei paesi limitrofi, mentre 1.5 milioni di persone hanno lasciato le proprie case e sono formalmente “sfollate” all’interno del proprio paese. Oggi, secondo le Nazioni Unite quasi un milione di persone vive in una situazione “catastrofica”, al più alto grado di emergenza alimentare, secondo un’arida classificazione che va da uno a cinque. Nell’immediato, oggi, 30.000 persone stanno letteralmente per morire di fame. E nonostante tutta questa sofferenza “dell’erba Sud Sudanese”, gli “elefanti” del paese continuano a combattere.

Tutto ciò avviene perché il Sud Sudan, seppure sia stato internazionalmente riconosciuto come uno Stato autonomo, dopo una pluridecennale guerra di indipendenza contro il nord del paese, non ha mai avuto la possibilità di crescere come “nazione”.

Il paese ha tassi di analfabetismo tra i più alti del pianeta, ha una classe dirigente nata e cresciuta in guerra, ha una carenza di professionisti in ogni ambito della società, ha infrastrutture e reti stradali praticamente inesistenti, non ha industria o un commercio moderno consolidato; il Sud Sudan è ancora un paese e una nazione tutta da costruire e nonostante l’entusiasmo collettivo all’atto dell’indipendenza conquistata col sangue di tutti, e nonostante il forte e universale senso di appartenenza identitaria col nome e l’idea di Sud Sudan, i pochi anni di tempo che ha avuto per mettere le basi del proprio futuro sono stati insufficienti per riporre nel dimenticatoio le armi e gli "elefanti" non riescono a risolvere le proprie differenze senza che a pagare sia la pelle degli altri.

Le ultime notizie – e fatti ormai risaputi - ci vengono da un rapporto di una commissione dell’Unione Africana che narra le atrocità commesse nel paese durante gli ultimi anni di conflitto, quasi due ormai. È fondamentale rendere giustizia alle vittime di questa guerra, ma bisogna però anche, con grande urgenza, rendere giustizia ai sopravvissuti ed evitare che il numero delle caduti cresca in modo esponenziale. Nessuno vuole vedere ancora una volta le immagini di bambini scheletri che muoiono di fame; soprattutto non vogliono questa fine loro stessi.

Amref Health Africa negli ultimi vent’anni ha formato in Sud Sudan l’80% degli assistenti medici che oggi operano nel paese e continua a formare i professionisti essenziali per la costruzione di una vera nazione. Oggi, e lo diciamo con orgoglio, in ogni angolo del Sud Sudan opera personale sanitario qualificato formato da Amref Health Africa. Anche nel quadro di questa nuova e lunga emergenza sono e saranno questi esperti a rappresentare la leadership e a fornire le competenze necessarie per raggiungere i più bisognosi, di tutte le etnie. Per evitare i tanti drammi non bisogna mai perdere di vista, anche nelle emergenze, le soluzioni di lungo termine. Oggi non siamo in grado di far da pacieri tra i "litigiosi elefanti", ma siamo in grado di formare quei bravi giardinieri che sono e saranno in grado di aiutare "l’erba calpestata" a sopravvivere e a rimettersi in piedi.


"Di male in peggio": Valentina dal Sud Sudan

Valentina Picco- Operatrice Amref Health Africa. 24 ottobre 2015.

Il Sud Sudan ci ha abituato a improvvisi cambi di direzione e notizie inaspettate ed infatti, anche questa settimana, non sono mancate le novita’. Durante il week end il Presidente ha annunciato di voler cambiare completamente la classe dirigente del suo partito, l’SPLM, sgretolando l’attuale struttura in favore di un totale rinnovamento. La notizia ha naturalmente avuto la conseguenza di innalzare ulteriormente il livello di tensione all’interno del Governo dei suoi membri.

L’insicurezza politica crescente, accompagnata da una sempre piu’ acuta crisi economica che non accenna ad allentare la morsa, generano un malcontento difficilmente gestibile.

Nonostante si vedano sforzi per implementare gli accordi di pace, primo tra tutti la conferma che l’esercito ugandese, stanziato in Sud Sudan dalo scoppio della guerra in appoggio all’SPLA, lascera’ il paese nelle prossime settimane, la pace non appare piu’ vicina.

La vita in citta’ continua piu’ o meno tranquilla, anche se la notte scorsa sono stata svegliata da forti rumori che inizialmente sono sembrati tuoni, ma che poi si sono rivelati essere spari. La conferma l’ho avuta la mattina in ufficio, quando un collega mi ha accolta chiedendomi se avessi sentito anche io sparare durante la notte.

Non abbiamo ricevuto notizie o altre conferme rispetto a che cosa sia successo, rimaniamo quindi con il dubbio e uno strano sentimento di disagio.

Ogni settimana aspetto con impazienza di partecipare alla riunione sulla sicurezza per avere qualche notizia in piu’ e qualche rassicurazione, e’ un incontro che mi aiuta a mantenere aperta una finestra su un mondo in cui sono immersa,ma di cui non ho il controllo.

Questa settimana, nonostante tensioni crescenti nelle citta’ di Yambio e Moundri, e’ stata invece abbastanza tranquilla a Maridi dove le ragazze sono impegnate nel rush finale di studio prima degli esami di meta’ novembre. Se la sicurezza lo permettera’ infatti, il 26 e 27 novembre saranno le giornate di consegna dei diplomi e la speranza di poter partecipare, per complimentacii con le studentesse, e’ grande. Purtroppo al momento non e’ possibile fare programmi o previsioni, la possibilita’ o meno di viaggiare e’ una certezza che si puo’ avere solo pochi giorni prima della partenza... non ci resta quindi che aspettare e incrociare le dita.


21 ottobre 2015

Sono rientrata a Juba da ormai una decina di giorni, dopo il mio passaggio a Nairobi al Quartier Generale di Amref per una serie di incontri.

Non ho avuto ancora la possibilità di partire per raggiungere Maridi e le nostre scuole perché la situazione dello Stato di Western Equatoria è purtroppo ulteriormente peggiorata. Per ora quindi continuerò a dare il mio supporto ai progetti dall’ufficio di Juba, nella speranza che la situazione in capitale non precipiti a causa della crisi economica e dei recenti fatti politici.

Domenica sera 4 ottobre, il Presidente Kiir ha dato annuncio di aver aggiunto ai 10 Stati in cui è attualmente diviso il paese, altri 18 Stati, creati suddividendo in parti più piccole quelli già esistenti ed arrivando così ad un totale di 28. Pur trattandosi per ora soltanto di una proposta, il Presidente ha già ottenuto il via libera da parte del Gabinetto dei Ministri e si prepara ora a far approvare la disposizione anche al Parlamento.

Naturalmente questa notizia ha creato scompiglio e tensione nel paese per svariati motivi. Primo tra tutti il fatto che l’accordo di pace appena firmato riguardava la spartizione del potere tra le due parti in causa sulla base dell’attuale divisione in stati. Questa nuova configurazione mette quindi di nuovo tutto in discussione, rendendo vani gli sforzi di negoziazione fatti fino ad ora ad Addis Abeba dalla Comunità Internazionale.

Un altro motivo di grande preoccupazione deriva dal fatto che la spartizione è fatta in teoria sulla base di divisioni già esistenti tra le contee e le varie città, ma nella pratica da spunto a faide e combattimenti per la creazione dei confini dei nuovi stati. In tutti i territori si è alzata la tensione e scontri sono già avvenuti soprattutto in luoghi dove abitano contemporaneamente diversi gruppi etnici.

Il processo di pace avviato in seguito alla firma dell’accordo del 26 agosto subisce quindi una grave battuta d’arresto, rigettando il futuro del paese in vortice di instabilita’ ed incertezza politica.

A Juba non si avvertono ancora conseguenze dirette in seguito a tale dichiarazione, ma la vita delle persone, locali ed espatriate, non è mai stata così difficile. La grave crisi economica e la conseguente inflazione che ha colpito il paese ha alzato in modo spropositato il costo della vita.

Far la spesa al mercato costa oggi più del doppio rispetto a un paio di mesi fa e la microcriminialità legata all’assenza di risorse stringe la vita delle persone in una morsa di paura. Una moltitudine di incidenti più o meno gravi si susseguono senza sosta in tutta la città e, se prima bastava rispettare il coprifuoco per essere al sicuro, ora questa disposizione non è più sufficiente a garantire la sicurezza. Io stessa sabato sono stata coinvolta in un tentativo di borseggio in pieno giorno mentre facevo la spesa al mercato con un’amica, ed un paio di notti fa il compound con gli uffici di Amref è stato svaligiato da uomini armati che hanno portato via il carburante del generatore.

Non e più consigliato muoversi a piedi, neanche per piccoli spostamenti perché la possibilità di venire derubati è purtroppo molto alta. Questa mancanza di libertà rende la vita un po’ più dura e le giornate più tese a causa dell’assenza di momenti di svago oltre il lavoro. Ho però la fortuna di convivere con un’amica italiana, direttrice di una radio locale, ritrovata a Juba dopo tanti anni e grazie a lei, tornare a casa la sera e ritrovarsi per una chiacchierata, ridà un po’ di serenità a giornate altrimenti davvero difficili.

Da Maridi e dallo Stato di Western Equatoria purtroppo non arrivano notizie più confortanti. Questo verde e fertile angolo del paese è stato fino a poco tempo fa completamente risparmiato dala violenza della guerra, rimandendo per anni un luogo sicuro in cui studiare e pensare al futuro. Da luglio 2015 purtroppo le condizioni di sicurezza sono andate via via peggiorando, raggiungendo il culmine con gli scontri di agosto e settembre quando, per non mettere in pericolo la sicurezza delle ragazze, per due volte è stata preventivamente chiusa la scuola per permettere alle studentesse di raggiungere le famiglie.

Quando un paio di settimane fa il Presidente ha annunciato la creazione dei 18 nuovi Stati, dividendo idealmente quello di Wester Equatoria in 3 sotto-stati, gli scontri nelle città di Yambio e Moundri sono ripresi con un’escalation allarmante. Quello che preoccupa non sono solo gli scontri, ma anche le conseguenze che queste violenze portano con sé, come ci hanno raccontato i membri del nostro staff locale: i mercati sono chiusi e non c’è cibo e le strade non sono piu’ percorribili a causa di imboscate e furti dei convogli.

Il quadro che si crea è preoccupante quindi anche a livello logistico, perché impedisce di provvedere ai regolari rifornimenti di cibo, materiali scolastici e carburante per i generatori, tutte cose necessarie al il mantenimento delle strutture. Siamo naturalmente in costante contatto con i Presidi e gli insegnanti delle nostre scuole che oggi non riescono più a nascondere la forte preoccupazione per quanto accade. In una conversazione telefonica mi hanno riferito che le cose vanno di male in peggio e che vorrebbero anticipare gli esami di dicembre a inizio novembre, per permettere poi alle ragazze di tornare a casa prima che le strade diventino completamente impercorribili. La gravità di questa situazione è purtroppo testimoniata anche da quanto accaduto la notte scorsa ad uno dei camion che trasportava le scorte alimentari per la nostra scuola dei clinical officer.

Appena lasciata la città di Yambio il camion si è rotto e l’autista lo ha lasciato in custodia a guardie di sicurezza del posto, per andare in città a cercare i pezzi di ricambio per aggiustarlo. Durante la notte, un gruppo di persone armate ha assaltato il mezzo, sopraffacendo i guardiani e rubando la maggior parte del carico: olio, zucchero, sale farina e riso. Lo staff di Amref si è messo subito al lavoro per rimediare alla perdita e assicurare nuove scorte per le scuole, nella speranza che epidosi come questo non diventino all’ordine del giorno.

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