Chissà che l’approvazione sempre più diffusa dei regolamenti sulla cura condivisa dei beni comuni non possa divenire l’occasione per un rilancio virtuoso anche di questo importante e a lungo sottovalutato strumento partecipativo che è la consultazione; ripartendo magari proprio dalle consultazioni via web, oggi di gran moda. (Scopri di più su: http://www.labsus.org/2015/10/ascoltare-i-bisogni-delle-comunita-consultazione-pubblica-via-web-come-rinnovata-pratica-partecipativa/)

Marina Pietrangelo

Nell’età della Rete torna alla ribalta la consultazione pubblica coma pratica partecipativa. Le amministrazioni pubbliche, infatti, ricorrono sempre più frequentemente a tale metodo per acquisire dati e informazioni direttamente dalle proprie comunità, aprendo così al contributo della cittadinanza le politiche in corso di definizione o i singoli atti in formazione. Insomma il web e le sue applicazioni potrebbero oggi risultare determinanti per rinverdire questa vecchia pratica sonnacchiosa; tanto che proprio sui siti web istituzionali, per legge oramai canale pressoché esclusivo di informazione e comunicazione, i soggetti pubblici cominciano ad attrezzarsi per aprire aree virtuali di ascolto dei bisogni collettivi, di condivisione di dati e informazioni, e di acquisizione di contributi informativi da parte della collettività.

Ne sono testimonianza anche le più recenti evoluzioni dei regolamenti comunali sull’amministrazione condivisa, che in vari casi prevedono forme di consultazione sulle proposte di patti di collaborazione presentate dai cittadini attivi. Questa pratica partecipativa può dunque ritrovare un proprio ruolo non soltanto nell’ambito dei processi decisionali tradizionali, ma anche per agevolare e potenziare gli strumenti della sussidiarietà orizzontale.

Ma a quali condizioni?


Non è tutto oro quel che luccica ovvero sulla distanza tra l’essere e l’apparire sul web

Se non v’è dubbio che anche in ambito pubblico le sempre più sofisticate applicazioni del web possono essere impiegate per dare nuovo vigore a buone pratiche non sufficientemente apprezzate o valorizzate in passato; è però altrettanto indubbio che la fluidità e la rapidità che connotano l’agire in Rete sin troppo spesso sono state invocate come facile soluzione all’inadeguatezza di metodi già noti e pratiche già sperimentate nel passato.

Come non ricordare infatti qui che esiste una dimensione dell’apparire sul web che sovente rischia di falsare la reale misura dell’agire umano, nel privato come nel pubblico: sappiamo bene che ciò che si vede sul web può non coincidere con ciò che realmente accade; e viceversa ciò che è nella realtà potrebbe non vedersi affatto sul web.

La dimensione del fenomeno è ancora troppo circoscritta per consentire analisi accurate, tuttavia i casi recenti di consultazioni pubbliche aperte sui siti web istituzionali mostrano proprio una sconfortante coincidenza con questa separatezza fra l’essere/l’agire delle amministrazioni pubbliche e la loro attività online. Se infatti l’obiettivo meritorio è quello di aprire spazi ulteriori, rispetto a quelli fisici e tradizionali, per la discussione collettiva su questioni di interesse per gli abitanti di un territorio o per la cittadinanza tutta, il risultato invece troppo spesso si risolve nella costruzione di un apparato di buone (o meno buone) intenzioni senza alcun effetto per l’ordinamento giuridico.

Così che la distanza tra amministratori e amministrati viene colmata solo apparentemente, senza ottenere realmente dal punto di vista dell’efficacia giuridica la costruzione condivisa di una certa politica pubblica. Al più il risultato potrà essere politico, cioè apprezzabile politicamente.

Cosa allora è possibile fare per “capovolgere” non solo in apparenza l’antica relazione tra amministrazione e amministrati?


Dentro un dedalo di norme sull’attività amministrativa pubblica in Rete

Strumento a parte, vecchio o nuovo che sia, la verità è che il nodo resta quello di sempre: quale effetto giuridico hanno queste pratiche? Quanto realmente esse riescono a vincolare nell’efficacia il decisore pubblico, scongiurando al tempo stesso quel rischio della cattura del regolatore, che anche nell’era della Rete resta minaccioso sullo sfondo? E ancora, quanto possono incidere nei tanti e nuovi percorsi di amministrazione condivisa?

Dopo Internet ma soprattutto all’indomani dell’approvazione nel tempo di tante e dettagliate norme sull’impiego dell’informatica e della telematica da parte delle amministrazioni pubbliche (d.lgs. n. 82 del 2005; d.lgs. n. 33 del 2014; numerose leggi regionali; e più ancora), molto dovrebbe essere cambiato nella relazione tra amministrazioni e cittadini, se è vero che i nuovi strumenti agevolano così tanto le comunicazioni tra gli individui. Ma così non è. Le norme sono in gran parte inattuate, per varie ragioni. Abbiamo costruito un apparato di regole che già oggi appare pesante, oscuro e soprattutto, come detto, disatteso. In questo quadro di sovrabbondanza di diritto positivo, non sono mancate da ultimo anche norme che hanno provato a disciplinare la consultazione via web, all’interno per esempio delle note leggi regionali sulla partecipazione (l.r. Toscana n. 69 del 2007 e n. 46 del 2013; l.r. Emilia-Romagna n. 3 del 2010; l. r. Umbria n. 14 del 2010); ma si pensi anche alla delega contenuta nell’ultima ennesima legge di riforma dell’amministrazione (destinata a garantire “la partecipazione con modalità telematiche ai processi decisionali delle istituzioni pubbliche”, art. 1, co.1, lett. c), l. n. 214 del 2015). Abbiamo dunque poche fonti disomogenee in alcuni ordinamenti regionali; una delega da riempire nell’ordinamento nazionale.


Qualche norma sulla rinnovata consultazione, ma nessuna efficacia giuridica

In definitiva allora la consultazione pubblica telematica nel nostro sistema giuridico è ancora una pratica partecipativa d’occasione. Essa si svolge sul sito web istituzionale del soggetto pubblico, che da più di un decennio è strumento d’elezione della comunicazione tra l’amministrazione e la sua comunità (strumento utile per esempio a “promuovere conoscenze allargate e approfondite su temi di rilevante interesse pubblico e sociale”, art. 1, c. 5, lett. d), l. n. 150 del 2000).

Insomma il diritto positivo (salvo i pochi casi recenti ricordati) non dedica a questo tipo di consultazione una disciplina piena ed esaustiva, tanto che essa resta confinata tra le buone pratiche. A meno di non considerare quali fonti della sua regolazione, con qualche forzatura, proprio l’intreccio tra le fonti normative sull’uso dei siti web istituzionali, da un lato; e le norme che trattano per l’appunto di partecipazione e consultazione popolare, dall’altro. Si avverte soprattutto la mancanza di una regola chiara sugli esiti delle consultazioni telematiche, perché si possa davvero affermare che questa vecchia e gloriosa pratica abbia trovato nuova linfa nel web.

Tutto è lasciato al caso; le consultazioni governative sul “Il portale per le consultazioni pubbliche” www.partecipa.gov.it, che vorrebbero corrispondere “ai tre assi portanti dell’Open Government: trasparenza della Pubblica Amministrazione; lotta alla corruzione; democrazia partecipativa”, sono del tutto episodiche. Tanto per fare un esempio di buone intenzioni, ma di scarsi risultati.

Ma a chi servono e a cosa servono queste consultazioni? Indubbiamente questa grande incertezza, specie sull’efficacia giuridica degli esiti, potrebbe essere arginata attraverso una leggera e buona regolazione, che per l’appunto si faccia carico di definirne uniformemente requisiti e limiti, facendo leva sul coordinamento tecnico dei dati che spetta al legislatore statale secondo l’art. 117, co. 2, lett. r), della Costituzione, ma anche sulla competenza in materia di livelli essenziali delle prestazioni prevista dalla lett. m) della stessa disposizione.

Senza contare poi, come già rilevato sopra, che tra le singole consultazioni telematiche pubbliche la disomogeneità è massima; e questo accresce ulteriormente l’incertezza derivante dalla già faticosa distinzione tra le consultazione riferibili a soggetti pubblici e le altre. Quanto poi questa pratica, supportata da uno strumentario fino a pochi anni addietro del tutto sconosciuto, potrà effettivamente “capovolgere l’amministrazione” è tutto ancora da vedere.

Alla prova dei fatti, essa certamente non pare proprio aver corrisposto alle aspettative. Priva di forza normativa, da un lato; strumento d’occasione, dall’altro, essa certamente di per sé sola non pare in nulla aver mutato i caratteri delle nostre amministrazioni. Tuttavia, poiché le “virtù” potenziali dello strumento restano, nulla impedisce di credere che prima o poi si possa davvero arrivare, col contributo del web, ad un girotondo amministrativo.

In fondo, fino a pochi anni fa anche il modello bipolare (a parti contrapposte) dell’amministrazione sembrava immodificabile: fino a quando il modello dell’amministrazione condivisa non ha cominciato a farsi strada. Chissà che l’approvazione sempre più diffusa dei regolamenti sulla cura condivisa dei beni comuni non possa divenire l’occasione per un rilancio virtuoso anche di questo importante e a lungo sottovalutato strumento partecipativo che è la consultazione; ripartendo magari proprio dalle consultazioni via web, oggi di gran moda.

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