L’infografica presentata in occasione della XIII edizione del Workshop sull’impresa sociale – che troviamo anche riproposta
sulle pagine del numero di ottobre del magazine Vita – ha colpito nel segno. Ha suscitato un buon numero di commenti che si sono concentrati su diversi aspetti: sui singoli dati e sul modo in cui sono stati organizzati, sulle fonti utilizzate e addirittura sulla frase che la intitola. Ce ne sarebbe per farne una nuova versione che monitori una funzione chiave dell’impresa sociale (e non solo): la capacità di investimento. (Scopri di più su:
http://irisnetwork.it/2015/10/impresa-sociale-nuovo-modello/)
Per farlo abbiamo individuato quattro macro aree: i mercati in cui queste imprese producono e scambiano i loro “beni di utilità sociale”, le competenze su cui possono contare, le risorse economiche alle quali possono accedere per finanziare i loro investimenti e il patrimonio di risorse (di varia natura) che hanno accumulato nel corso del tempo. Market, Skills, Fund, Asset. Forse, a pensarci bene, avremmo dovuto inserire un’ulteriore importante dimensione, ovvero le reti (Network) all’interno delle quali queste imprese agiscono e che contribuiscono a costruire per incrementare l’efficacia e l’impatto delle loro attività.
In ogni caso il quadro è ricco di stimoli, anche perché abbiamo combinato dati di performance (giro d’affari, patrimonio, utili d’esercizio) con informazioni di sentiment, legate cioè alle percezioni dei singoli imprenditori sociali rispetto alle evoluzioni e agli scenari futuri. Il tutto considerando sia le cooperative sociali che altre forme imprenditoriali che hanno assunto la qualifica di impresa sociale. Un mix di dati forniti da Euricse, Federsolidarietà e Isnet ai quali si potrebbero aggiungere le nuove statistiche dell’osservatorio UBI Banca sui fabbisogni finanziari dell’impresa sociale realizzato da Aiccon.
Quel che l’infografica restituisce è un quadro di fine ciclo con spiragli per l’apertura di un nuovo percorso di crescita. Ecco alcuni riscontri.
L’evoluzione dei mercati – sempre più determinati dalla risposta alla domanda di cittadini e non di terzi pagatori come la Pubblica Amministrazione – determina uno spostamento degli investimenti per curare una relazione diretta con soggetti che sono portatori di bisogni e, in alcuni casi, anche di risorse che possono essere ricombinate in processi di co-produzione. La valorizzazione del capitale umano è legata non solo alla creazione di posti di lavoro attraverso contratti stabili (sfida in gran parte vinta), ma soprattutto a incrementare il coinvolgimento e la produttività a fronte di costi di gestione che diventano sempre più pesanti e che rischiano di limitare gli ingressi di lavoratori giovani. Un dato, quest’ultimo, da tenere in grande considerazione perché l’occupazione giovanile è una sfida-paese e perché l’età giovanile fa spesso rima con innovazione e cambiamento. Le risorse economiche devono, letteralmente, “fare i conti” con un incrocio pericoloso segnato, da una parte, dalla riduzione ormai al lumicino dei margini di gestione e, dall’altra, dal primo segno meno dell’accesso al credito bancario dopo anni di crescita, a cui fa riscontro un decremento dei crediti verso gli enti pubblici. Segno di un utilizzo della leva finanziaria più in senso difensivo che di vero e proprio investimento. Infine emerge che, soprattutto le cooperative sociali, sono imprese che già investono: oltre 7 miliardi negli anni della crisi.
Perché quindi l’infografica si intitola tornare a investire? La risposta sta in una migliore e probabilmente diversa valorizzazione di tutte le risorse, non tanto perché esiste una finanza d’impatto a caccia di imprese sociali su cui investire, ma per un motivo più semplice e ben più di rilievo ovvero che sta mutando radicalmente il quadro della domanda di beni e di servizi che incorporano valore sociale. L’infografica non dice molto in tal senso, ma i riscontri non mancano, per cui sì, occorre proprio “tornare a investire”.
Flaviano Zandonai