Strategie globali. Il patrimonio dei "ricchi" è di 1.340 miliardi di euro. Nei 28 Paesi dell'Unione ci sono 342 miliardari, ma anche 123 milioni di indigenti, quasi un quarto della popolazione. (Scopri di più su: http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=5286)

In Italia dal 2005 al 2014 la percentuale di persone in stato di grave deprivazione materiale è aumentata di 5 punti percentuali. "La povertà e l'aumento della disuguaglianza non sono fenomeni inevitabili, ma sono l’effetto di scelte politiche" spiega il direttore di Oxfam Italia. Un report della Ong pone l'accento sull'iniquità dell’attuale modello di tassazione, non sufficientemente progressivo.

342 miliardari detengono un patrimonio totale di circa 1.340 miliardi di euro: sono i più ricchi d’Europa, che guardano -dall’alto in basso, seduti su una montagna di denaro- 123 milioni di persone -quasi un quarto della popolazione- a rischio povertà o esclusione sociale. “Un’Europa per tutti, non per pochi” è il titolo del nuovo rapporto sulla disuguaglianza diffuso da Oxfam: quello tra virgolette è un auspicio, perché la realtà -come dimostrato i numeri- è ben diversa. Anche in Italia: nel nostro Paese, il 20% dei più ricchi oggi detiene il 61,6% della ricchezza nazionale netta, mentre il 20% degli italiani più poveri ne detiene appena lo 0,4%.

Tra il 2009 ed il 2013 il numero di persone che viveva in una condizione di grave deprivazione materiale, vale a dire senza reddito sufficiente per pagarsi il riscaldamento o far fronte a spese impreviste è aumentato di 7.5 milioni in 19 Paesi dell'Unione Europea, inclusi Spagna, Irlanda, Italia e Grecia, arrivando a un totale di 50 milioni.
In Italia dal 2005 al 2014 la percentuale di persone in stato di grave deprivazione materiale è aumentata di 5 punti percentuali (dal 6,4% all’11,5%). Sono quasi 7 milioni di persone, e tra di loro ad essere più colpiti sono i bambini e i ragazzi sotto i diciotto anni.

La classifica presentata nel report ordina gli Stati membri dell’Unione europea secondo 7 parametri (tra questi disuguaglianza di reddito, deprivazione materiale, divario retributivo di genere) ed evidenzia che nessun paese è immune da elevati gradi di disuguaglianza, anche se sono Bulgaria e Grecia quelli che registrano il peggior risultato. Se la disuguaglianza nel reddito disponibile è maggiore in Bulgaria, Lettonia e Lituania, è importante rilevare che anche Paesi come Francia e Danimarca hanno visto un aumento di questa dimensione della disuguaglianza tra il 2005 e il 2013.

Anche chi ha un lavoro è a rischio di cadere nella trappola della povertà, come ricordava la professoressa Chiara Saraceno nell’intervista pubblicata sul numero 173 di Altreconomia: questa probabilità è particolarmente alta anche in Italia, dove l’11% delle persone tra i 15 e i 64 anni che lavorano è a rischio di povertà -un dato che ci posiziona al 24° posto tra i ventotto Paesi dell’Unione Europea-. Anche in Paesi traino della UE, come la Germania questo dato sta aumentando. Sempre in tema di reddito da lavoro, l’Europa non è immune al problema di un elevato divario salariale tra uomini e donne: sono Lettonia, Portogallo, Cipro e Germania, però, gli Stati nei quali le discriminazioni retributive sono più gravi.

La classifica mostra anche come le politiche di governo possano contribuire ad accrescere o diminuire le disuguaglianze: il sistema fiscale e previdenziale svedese, per esempio, è il più avanzato in Europa e favorisce una riduzione delle disuguaglianze di reddito del 53%; quello italiano, invece, occupa gli ultimi posti della classifica, ed ha permesso nel 2013 una riduzione della disparità di reddito solo del 34%.

“Un’Europa per tutti e non per pochi” rivela anche che il grande potere d’influenza dei super ricchi, delle multinazionali e di una parte del settore privato a livello nazionale ed europeo non fa che accrescere povertà e disuguaglianza in tutto il continente.
Sulle norme fiscali, per esempio, l’82% dei componenti del gruppo che elabora raccomandazioni per l’Unione europea sulla riforma del settore fiscale appartiene al settore privato e commerciale.

“In Europa -come del resto in tutto il mondo- la povertà e l’aumento della disuguaglianza non sono fenomeni inevitabili, ma sono l’effetto di scelte politiche troppo spesso effettuate tenendo in conto l'interesse di pochi e non quello di tutti i cittadini europei -dice Roberto Barbieri, direttore di Oxfam Italia-. Per questo chiediamo all’Unione Europea e ai Paesi membri una maggiore trasparenza sul modo in cui vengono definite le politiche economiche e sociali. Perché non sia sempre una minoranza -potente e ben organizzata, ma pur sempre minoranza- di gruppi ricchi e potenti a dettare leggi che hanno un impatto sulla vita di tutti noi e che colpiscono in particolare i gruppi più vulnerabili”.

Il rapporto mette in evidenza come i due fattori chiave che esasperano le disuguaglianze in Europa siano l'austerity e un sistema fiscale iniquo e non sufficientemente progressivo. Le misure di austerity introdotte dopo la crisi finanziaria del 2008 -tagli alla spesa pubblica, privatizzazione dei servizi, deregolamentazione del mercato del lavoro- hanno colpito duramente i più poveri. Allo stesso tempo, le multinazionali hanno potuto sfruttare la differenza tra i sistemi fiscali degli stati membri dell’Unione europea eludendo tasse per milioni di euro e privando quindi i governi di risorse significative per offrire servizi ai propri cittadini.

"La mancanza di cooperazione tra Stati membri dell’Unione europea in materia fiscale e la disarmonia tra i sistemi fiscali sta derubando i cittadini europei di risorse essenziali da impiegare in servizi sociali in Europa, per costruire un mondo più solidale e sicuro -spiega Elisa Bacciotti, direttrice Campagne di Oxfam Italia-. Per questo chiediamo all’Unione Europea di porre fine alle iniquità dell’attuale sistema fiscale, contrastando l’abuso fiscale perpetrato dalle grandi multinazionali. I governi europei devono inoltre riconsiderare l’efficacia delle misure di austerity e piuttosto reinvestire nei servizi pubblici, garantendo a tutti salari dignitosi. Solo così eviteremo che a pagare il prezzo della crisi finanziaria siano i più poveri".

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