Direttiva 95/2014: uno strumento di rilancio della competitività. Responsabilità sociale d’impresa e Direttiva europea: a che punto è l’Italia? (Scopri di più su:
http://www.osservatoriosocialis.it/2015/07/24/direttiva-952014-unopportunita-per-il-paese/)
È questo il titolo dell’incontro pubblico che si è svolto il 21 luglio alla Sala del Refettorio della Camera dei Deputati a Roma, e che ha analizzato la direttiva 95/2014 sulla comunicazione delle informazioni non finanziarie in fase di recepimento e che entrerà definitivamente in vigore il 1 gennaio 2017 (il termine ultimo per il recepimento sarà il 6 dicembre 2016).
Organizzato in collaborazione con il Gruppo Parlamentare del PD e l’Osservatorio Socialis, l’incontro – guidato dall’On. Paolo Coppola e l’On. Chiara Scuvera – ha messo a confronto il mondo della politica e quello delle aziende, destinatarie della norma in recepimento.
Le imprese con più di 500 dipendenti, e quelle aziende che il legislatore riterrà di interesse pubblico, infatti, saranno chiamate a comunicare le informazioni relative a sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale, catena di fornitura, gestione delle «diversità», gestione dei rischi. Se non lo faranno dovranno spiegarne il motivo (secondo la regola del
comply or explain).
La Direttiva 95 fa parte di un’Europa moltiplicatore di opportunità, come la definisce Sandro Gozi, Sottosegretario della Presidenza del Consiglio con delega alle Politiche Comunitarie, che può essere ben sfruttata da chi ha dei punti di forza da far valere, come l’Italia.
Questa direttiva infatti è centrale per il rilancio della competitività, per valorizzare le buone prassi che molte imprese hanno già messo in campo (secondo i dati del VI Rapporto sull’impegno sociale delle aziende in Italia sono ben 73 su 100). E non si tratta di una Direttiva che mette nuovi vincoli: come anche sollecitato dal Giovanni Lombardo nel suo intervento tecnico, occorre non far passare l’idea che le aziende saranno tenute a nuovi oneri: è già tutto pronto, occorre solo sistematizzare quanto già a disposizione, come ad esempio il ricorso agli indicatori già elaborati attraverso una procedura partecipata ed in uso attraverso la piattaforma del MISE.
Ma quante sono le aziende su cui andrà ad impattare la norma? Secondo i dati riferiti da Tiziana Pompei – vicesegretario generale di Unioncamere- in Italia saranno circa 400 ed in Europa circa 6000. Questo numero, però, si evince dalle puntuale lettura della Direttiva che tuttavia rimanda ad ogni Stato la possibilità di ampliare i destinatari includendo anche quelle che sono considerate “aziende di interesse nazionale”. E qui si apre il dibattito: chi ci sarà dentro?
È Sandro Gozi che spiega il motivo di questa voluta mancanza di definizione: serve un’Europa unita sugli obiettivi, che tenga conto delle differenze – anche in termini civilistici- che esistono e che vanno valorizzate. Questo è stato l’atteggiamento che l’Italia ha sempre adottato durante il semestre di presidenza italiana dell’UE.
Altra caratteristica della direttiva è che si ispira ai grandi processi culturali già in corso, primo fra tutti il Global compact delle Nazioni Unite, ma soprattutto Europa 2020 che con il suo “the future you want” ha costretto tutti ad una riflessione: vogliamo un futuro responsabile ed inclusivo. Da qui l’attenzione alle diversità e ai diritti umani richiamati nella direttiva.
Siamo sicuri che su questi due temi l’Italia sia pronta? È Chiara Scuvera a richiamare l’attenzione su alcuni fenomeni che caratterizzano ad esempio, il settore dell’agricoltura – anch’esso destinatario della norma- in cui persiste il fenomeno del caporalato. Questa direttiva costringerà le grandi aziende a riflettere anche sulla qualità ed eticità della prioria filiera.
In sintonia con questo anche Paolo Coppola che richiama la necessità di ibridare i mondi affinché le grandi aziende possano fare da driver alla micro e piccole imprese che sono ancora ai margini della legalità. Ed è anche necessario che si trovi il modo di premiare quelle aziende che, pur non essendo direttamente interessate all’adempimento, accolgano però volontariamente la sfida della comunicazione delle informazioni non finanziarie. E certamente la grande leva di cambiamento culturale, negli auspici dell’On. Coppola, potrà essere la spesa pubblica, cercando di includere elementi premianti per le aziende che, pur non interessate, saranno compliant.
Riflettori puntati anche sul modo in cui le aziende sono nel mercato e nei territori: attraverso la trasparenza delle informazioni non finanziarie si porrà in maniera più forte il tema del rapporto tra le imprese e i territori, le comunità in cui si trovano. E questo è un tema che riguarda più le imprese di grandi dimensioni che non le piccole, per evidenti ragioni di diversa dimensione dell’impatto.
Starà poi a loro cogliere l’elemento di vantaggio competitivo insito nella norma che sarà recepita: il sistema Italia è competitivo sul tema della sostenibilità e della CSR e rendere questo aspetto più visibile consentirà un maggiore attrazione di investimenti, una maggiore forza a livello europeo.
La Direttiva 95 è un’opportunità che non si può perdere.