«Paghiamo gli errori commessi: dobbiamo reintrodurre regole per la finanza». Il sociologo a greenreport: «La creazione continua di debito spinge alla crescita illimitata, una follia». (Scopri di più su:
http://www.greenreport.it/leditoriale/cina-nuova-crisi-finanziaria-luciano-gallino-dopo-quella-del-2008-non-e-stato-fatto-niente/)
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Luca AteriniIn un mese la Borsa di Shanghai ha perso il 40%, nonostante i 200 miliardi immessi dal governo della Cina a sostegno delle Borse, e quelle mondiali hanno visto ridurre la capitalizzazione di circa 5mila miliardi di dollari. Vede il rischio che possa ripetersi la crisi del 2007/2008?
«Non si è fatto nulla di significativo per rimediare alle debolezze e alle magagne del sistema bancario dopo la crisi del 2007/2008, e a forza di non far nulla i problemi si ripropongono, stavolta a partire dalla Cina. Con la differenza che oggi in Cina le bolle sono oggi addirittura tre, non una: quella immobiliare, quella legata alla sopravvalutazione – slegata dai fondamentali economici – dei titoli azionari e obbligazionari, e quella relativa agli eccessivi investimenti portati avanti senza criteri oggettivi. Investimenti miliardari per aprire intere fabbriche, senza sapere poi bene cosa produrre e per chi. Queste tre bolle si sono oggi incrociate, e i loro effetti si stanno ripercuotendo ovunque sul mondo globalizzato. Paghiamo dazio per gli errori che abbiamo commesso».
Alla radice della crisi nel 2007/2008 lei affermò che c’era un valore nominale dei derivati pari a 750 trilioni di dollari, 12 volte il Pil mondiale. Da allora è cambiato qualcosa nella finanza globale?
«No, non è cambiato proprio niente. Specie se si parla di derivati scambiati al banco, ossia al di fuori di registrazioni e controlli che normalmente avvengono in Borsa; è un meccanismo ancora oggi perfettamente lecito, ma che rende molto opaco il commercio dei derivati. Il risultato è un mercato immenso, in tutto e per tutto assimilabile a una lotteria. In origine un derivato era un contratto che obbligava a vendere o comprare una determinata quantità di merce a una certa data, ma dopo gli anni ’80 si sono affermati i “derivati vuoti”, e oggi il 96-97% dei derivati non ha in realtà nessun sottostante che non sia soltanto di facciata. Sono soltanto una scommessa sul fatto che il prezzo di una certa quantità di merce – barili di petrolio, quintali di grano, qualunque cosa – aumenterà o cadrà in un determinato lasso di tempo. È pura follia, ma non è stato fatto niente per limitarla, nonostante le molte e autorevoli raccomandazioni in tal senso».
Oggi quali sono le radici di questa nuova crisi finanziaria, e le possibilità di contagio per l’Italia?
«Sono molto forti, come l’interconnessione che oggi esiste tra le banche di tutto il mondo. Giorno per giorno queste si prestano l’un l’altra ingenti forme di denaro, e ulteriore forma di connessione è rappresentata dal cosiddetto sistema finanziario ombra – che vale all’incirca, anche in Cina, l’insieme delle banche che lavorano alla luce del sole. Si aggiunga che molte banche – e le europee più delle statunitensi – sono fortemente sottocapitalizzate (ossia hanno preso a prestito anche il 95% del capitale poi impiegato per investimenti), e hanno bisogno di un flusso incessante di prestiti. Un sistema fortemente fragile, ma lo sapevano tutti; data la situazione attuale, le possibilità di contagio rimangono dunque molto elevate».
In un solo anno i listini cinesi sono saliti anche del 100%, un trend insostenibile che adesso si sta sgonfiando. Anche la crescita del Pil cinese rallenta, in un mondo dalle risorse naturali finite. Sono notizie positive per la sostenibilità ambientale, eppure scatenano il panico: come si spiega il paradosso?
«La creazione continua di debito – perché a ogni credito dopotutto corrisponde un debito – forza alla crescita illimitata, perché chi si indebita si assume l’obbligo di restituire i fondi che ha preso in prestito, e di farlo a un tasso d’interesse abbastanza elevato, e al contempo continuare a guadagnare per sé stesso. Tutto ciò ha spinto verso una crescita senza limiti, che è ormai una vera follia».
Vede una via d’uscita?
«Non ci si può stupire se a un certo punto il tetto comincia a scricchiolare sopra le nostre teste: qualcosa prima o poi bisognerà fare per regolare il sistema bancario e ridurne le dimensioni, in modo che diventi più controllabile e visibile agli occhi degli enti regolatori. I difetti del sistema finanziario sono macroscopici, denunciati infinite volte: tutte le regole che hanno permesso il loro svilupparsi, come nel caso del dilagare dei derivati o l’eccesso di credito derivato dal nulla, provengono dall’attività di parlamenti. Leggi introdotte rimuovendone altre. Non ci sarebbe niente di strano, dunque, di reintrodurre almeno vecchie norme, come quelle che prevedevano la separazione tra banche d’investimento e banche commerciali. Limiti rimossi che hanno permesso alla finanza di impazzire».