Se il secolo XX è stato nel mondo il secolo della grande crescita demografica, il secolo XXI sarà quello del suo forte invecchiamento. (Scopri di più su: http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=2191&Itemid=1)
  • di Luca di Salvatore
Il fenomeno del progressivo e inarrestabile invecchiamento della popolazione si accompagna a una progressiva riduzione della popolazione giovane e di quella in età adulta, il che dovrebbe comportare una ristrutturazione progressiva della società e dell’economia che sposti strutture produttive, strutture di welfare e consumi dai giovani verso anziani e vecchi.

In Italia, l’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro è conseguenza di due principali fattori: da un lato, l’aumento della speranza di vita (nel 2012, la speranza di vita alla nascita è giunta a 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 anni per le donne - rispettivamente superiore di 2,1 e 1,3 anni alla media europea dello stesso anno -); dall’altro, la parallela diminuzione del tasso di natalità che ha fatto seguito al baby boom degli anni ’50 e ‘60 del secolo scorso.

Alcuni dati illustrano con impressionante evidenza le tendenze che ci si aspettano nel prossimo futuro. Se infatti la popolazione degli ultra 65enni supera già adesso di oltre mezzo milione quella con meno di venti anni, stime mostrano come tra quindici anni il divario potrebbe superare i 6 milioni; nel contempo sembra prospettarsi, poco prima del 2030, anche il sorpasso numerico della popolazione ultraottantenne su quella con meno di dieci anni. Si prevede che tra il 2015 e il 2030 in Europa i lavoratori tra 55 e 64 anni aumenteranno del 16,2%, pari a 9,9 milioni, mentre quelli tra 40 e 45 anni diminuiranno del 5,4% e quelli tra 25 e 39 anni caleranno del 14,9%. (V. G.C. Blangiardo, Riflessioni sul dato demografico in Italia, Programma Nazionale di lavoro per un invecchiamento attivo, vitale e dignitoso in una società solidale, Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni 2012, in ec.europa.eu).

I dati evidenziano una maturità demografica che porta a ripensare il ruolo dei lavoratori ultra 50enni come risorsa all’interno di un mercato del lavoro che vede aumentare la loro permanenza, anche a seguito dell’ultima riforma previdenziale che ha introdotto nuovi criteri per il pensionamento spostando in avanti l’età.

Un aspetto che ci rende poco solidi nel rispondere alla crescita della popolazione anziana sono i bassi livelli di occupazione femminile e in età matura. Sono meno della metà le donne in età attiva che lavorano, contro oltre il 60% raggiunto dalla gran parte dei paesi europei. Il tasso di occupazione in età 55-64 è, poi, circa di 20 punti percentuali più basso rispetto alla media Ocse.

«Attualmente la popolazione attiva nella fascia matura (55-64 anni) è composta da quasi due persone su tre che hanno al massimo la licenza media. Nei prossimi dieci anni il profilo per titolo di studio è destinato però a cambiare considerevolmente. In particolare, la classe 55-64 vedrà un crollo di persone con solo licenza elementare (-1,4, milioni). Aumenteranno circa della stessa entità (1,4 milioni circa) le persone con titolo di scuola media inferiore o superiore breve, da un lato, e persone con diploma superiore di 5 anni e laurea (1,35 milioni), dall’altro. Detto in altre parole, la riduzione di persone con licenza elementare sarà compensata da un aumento della stessa entità di persone arrivate alla fine della scuola media o ai primi anni delle superiori. In più si aggiungeranno 1,3 milioni di persone con titolo medio alto. Il mercato del lavoro deve quindi prepararsi a valorizzare questo capitale umano aggiuntivo in età matura. Un’opportunità per migliorare occupabilità e produttività degli over 50, che va quindi colta con particolare attenzione» (Così A. Rosina, E’ la demografia, bellezza!, in L’importanza di essere vecchi (a cura di T. Treu), Il Mulino, 2012, pp. 122-123)..

Sul fronte pensionistico, l’ultima riforma (L. n. 92/2012) ha modificato le soglie di età agganciando l’adeguamento dei requisiti di età e di anzianità contributiva all’evoluzione dell’aspettativa di vita calcolata dall’ISTAT. La riforma ha stabilito che dal 2012 ci si potrà ritirare per vecchiaia a 66 anni, se uomini (o donne nel pubblico impiego), a 62 se donne nel settore privato, ma con un percorso di omogeneizzazione graduale all’età maschile fino a pareggiarla nel 2018. Inoltre, a partire dal 1° gennaio 2012, le anzianità contributive maturate dopo il 31 dicembre 2011 sono calcolate per tutti i lavoratori con il sistema di calcolo contributivo. Pertanto chi è giovane oggi si troverà con una pensione calcolata interamente con il metodo contributivo e andrà in pensione più tardi. Ciò potrebbe comportare una pericolosa fuga di talenti dal nostro paese. E’ necessario pertanto adottare misure per attrarre e trattenere talenti (offerta di maggiori possibilità di formazione, miglioramento del clima aziendale, opportunità di formarsi anche all’estero indipendentemente dalla posizione ricoperta, dal background educativo o dal livello di anzianità).

In questo quadro, è necessario progettare politiche attive per promuovere il c.d. active ageing, ovvero forme di invecchiamento attivo della popolazione.

La gestione del lavoratore anziano richiede interventi molteplici coordinati tra loro e focalizzati in modo duplice: da un lato si deve rendere il posto di lavoro più adatto all’anziano e quindi si deve intervenire sull’organizzazione del lavoro innovandola profondamente, ma dall’altro bisogna operare in modo che il lavoratore anziano sia più motivato, più preparato, più coinvolto e nell’insieme più adatto al lavoro (c.d. comprehensive approach).

Un’impresa “ideale” che volesse avvicinarsi il più possibile al comprehensive approach dovrebbe perseguire i seguenti obiettivi (Cfr. tra i tanti L. Pero, Esperienze pilota di invecchiamento attivo in corso nelle aziende, in L’importanza di essere vecchi (a cura di T. Treu), Il Mulino, 2012, pp. 174 ss.):
  • Interventi a favore della salute e del benessere dei lavoratori anziani. Le imprese potrebbero offrire servizi di check up e di controllo periodico di tipo preventivo, sviluppare iniziative per incentivare nei dipendenti stili di vita più salutari (come ad esempio interventi contro fumo, alcool, obesità), predisporre piani dedicati di prevenzione e facilitazioni per fitness, corretta alimentazione e attività fisiche.
  • Trasferimento di conoscenze e di competenze critiche. L’utilizzo dei lavoratori anziani per l’accumulo e il trasferimento di know how si può attuare in diversi modi: utilizzo sistematico di anziani in attività di mentoring e tutoring per i nuovi assunti; formazione di knowledge groups con programmi definiti e valorizzazione delle attività di trasferimento di conoscenze dagli anziani ai giovani; scambi di esperienze e di competenze attraverso team di lavoro con composizione diversificata per età.
  • Riorganizzazione del posto di lavoro (Job-redesign). E’ necessario ripensare l’organizzazione creando un ambiente più favorevole ai lavoratori senior, ridisegnando i lavori che richiedono un alto livello di sforzo fisico o forte ripetitività. Si potrebbero immaginare cambiamenti ergonomici e organizzativi basati sulla job rotation: cambiamenti fisici del posto di lavoro e dell’assetto delle macchine finalizzati a ridurre la fatica e lo sforzo sopportato dal corpo dei lavoratori; una rotazione programmata sui posti di lavoro, classificati in base al tipo di sforzo e alla sua intensità, in modo da distribuire razionalmente la fatica tra diverse persone.
  • Interventi a favore di ruoli e carriere adeguati all’età. Ridefinizione dei percorsi di carriera con meno posizioni gerarchiche e più posizioni professionali, consulenziali o di integrazione. Poi si potrebbe ricollocare le persone con il supporto di una formazione mirata. La possibilità per i dipendenti in età pensionabile di mantenere il proprio posto all’interno dell’organizzazione aiuta le imprese a non disperdere il know how dei lavoratori anziani, impiegandoli come consulenti di alto livello.
  • Ambiente di lavoro flessibile. Si può introdurre flessibilità su tempi, luoghi e modalità di lavoro con l’obiettivo di migliorare bilanciamento tra vita privata e lavoro. In tema di orario di lavoro più flessibile e adatto agli anziani, l’idea è di favorire in primo luogo la modulazione dell’orario giornaliero e settimanale con scelte di flessibilità personalizzate, in secondo luogo di rendere possibili la riduzione del tempo di lavoro in varie forme, come ad esempio part time e banca ore su più anni, in periodi precedenti al pensionamento.
Le indicazioni in tema di invecchiamento attivo risultanti dalle best practices europee (i casi Bmw e Bosch su tutti) hanno avuto applicazioni diseguali nei vari paesi e poco più che iniziali nel contesto italiano (alcune azioni in tema di Active Ageing e Welfare aziendale sono state adottate, ad esempio, da Enel e Telecom Italia), che pure presenta particolari motivi per affrontare i vari aspetti del problema: crisi acuita della natalità, allungamento accelerato della speranza di vita, rapido spostamento in avanti delle età e condizioni di pensionamento. In Italia c’è ancora molta strada da fare; l’individuazione di politiche innovative al fine di migliorare l’invecchiamento attivo sarà la nuova sfida per il futuro.

L’impresa è il terreno principale di sperimentazione per la gran parte delle buone pratiche europee. La loro efficacia dipende innanzitutto dall’iniziativa del management, ma richiede anche un clima aziendale partecipativo.
  • * L’Autore, dottorando di ricerca presso l’Università del Molise, è vincitore del premio “Philip Morris Italia Campus - Empowering Research Award” con il progetto di ricerca “Politiche innovative per l’invecchiamento attivo”.

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