Dallo scorso marzo in Yemen si sta consumando un atroce conflitto ignorato da gran parte dei maggiori media italiani (con qualche rara eccezione come Famiglia Cristiana che vi ha dedicato diversi articoli). Dall’inizio dell’intervento militare della coalizione,
guidata dall'Arabia Saudita per contrastare l’avanzata del movimento
sciita zaidista Houthi che lo scorso gennaio con un colpo di Stato ha attaccato il palazzo del governo, sciolto il Parlamento ed esautorato il Presidente Rabbo Hadi, sono quasi 4000 i morti e 20mila feriti, di cui circa la metà tra i civili. Un intervento militare che sta conducendo – come riportano le Nazioni Unite - ad una catastrofe umanitaria con oltre un milioni di sfollati e 21 milioni di persone che necessitano di urgenti aiuti. Human Right Watch, che già a giugno ha diffuso un rapporto sugli attacchi aerei della colazione, ha definito i bombardamenti aerei sauditi, che hanno spesso avuto come obiettivo zone residenziali non militari, come “possibili crimini di guerra” e ha chiesto al Consiglio per i diritti umani dell’Onu di inviare una commissione d’inchiesta. Anche Amnesty International ha ripetutamente stigmatizzato i bombardamenti aerei sauditi sottolineando che e la coalizione non fatto nulla per prevenire i propri attacchi indiscriminati su aree popolate dai civili.
L’intervento militare a guida saudita non ha mai ricevuto il consenso da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che con la Risoluzione 2216 del 14 aprile 2015 (qui in .pdf) ha condannato l’azione del movimento Houthi ed ha imposto nei suoi confronti l’embargo di armi. “In questo modo – ha commentato Mego Terzian,
presidente della sezione italiana di Medici senza Frontiere – la
coalizione militare ha avuto carta bianca per bombardare tutte le
infrastrutture - come strade, aeroporti e pompe di benzina - che
potevano avvantaggiare i ribelli dal punto di vista militare e imporre
restrizioni sul commercio aereo e marittimo che hanno rapidamente
isolato l’intero paese dal mondo esterno. È del tutto evidente che la
Risoluzione ha scelto il target sbagliato perché, lungi dal ‘porre fine
alla violenza’, ha alimentato gli appetiti belligeranti delle varie
parti del conflitto e ha stretto la morsa sulla popolazione” – ha
aggiunto Terzian.
Un intervento militare che è stato sostenuto in sede Onu dagli Stati Uniti ed anche dal Regno Unito e dalla Francia, ma dal quale l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini ha preso chiaramente le distanze
fin dall’inizio affermando che “l’azione militare non è la soluzione”.
“La popolazione civile dello Yemen, già provata da condizioni di vita
terribili, è la prima vittima dell’attuale escalation militare” – ha
aggiunto Mogherini nella sua dichiarazione del 26 marzo scorso –
evidenziando che “la situazione già fragile nel paese e rischia di avere
gravi conseguenze regionali”.
Le bombe italiane e il conflitto in Yemen
Due
inchieste hanno portato alla luce il probabile utilizzo nei
bombardamenti in Yemen da parte dell’Arabia Saudita di bombe prodotte ed
esportate dall’Italia dalla RWM Italia. La prima è un’ampia inchiesta
del giornalista irlandese Malachy Browne per il sito di informazione Reported.ly tradotta in italiano da “Il Post”; la seconda, pubblicata alcuni giorni dopo sul sito di Famiglia Cristiana, è firmata da Luigi Grimaldi.
L’inchiesta di Reported.ly
L’inchiesta di Reported.ly
ha ricostruito diversi fatti, due in particolare. Innanzitutto, sulla
base di documenti sottratti da un gruppo di hacker che si fa chiamare “Yemen Cyber Army” ha ricostruito la spedizione
di componenti di bombe dall’Italia agli Emirato Arabi Uniti (paese che
fa parte della colazioni militare intervenuta in Yemen): si tratta di
componenti di bombe MK 82 e MK84 spediti negli Emirati dalla RWM Italia S.p.A. (azienda del gruppo tedesco Rheinmetall)
lo scorso 2 maggio da Genova con la nave Jolly Cobalto. I componenti
sarebbero poi stati assemblati dall’azienda Burkan Munitions Systems per
le forze armate degli Emirati Arabi Uniti. Della autorizzazione per
questa esportazione dall’Italia non risulta traccia nelle Relazioni ufficiali della Presidenza del Consiglio
rese note fino marzo scorso: per questo Reported.ly – su mia
indicazione – segnala che è possibile “che la licenza per l’esportazione
del carico spedito nel maggio del 2015 sia così recente da non essere
ancora stata pubblicata, o è possibile che le bombe siano state
esportate all’interno di un accordo militare bilaterale e non incluse
tra le informazioni rese disponibili al pubblico”. Non si tratta
comunque della prima spedizione dall’Italia di queste bombe: già nel
2011, ad esempio, il Ministero degli Esteri ha autorizzato alla RWM
Italia l’esportazione agli Emirati Arabi Uniti di 300 bombe 500LB MK82
vuote e di 200 bombe 2000LB MK84 vuote per un valore complessivo di
oltre 3 milioni di dollari.
Il secondo, realizzato col mio contributo per conto dell’Osservatorio OPAL di Brescia, documenta l’invio dall’Italia all’Arabia Saudita di bombe della RWM Italia: si tratta, nello specifico, di 1000 bombe 500LB MK82 inerte e 300 bombe 2000LB MK84 inerte per complessivi € 8.500.000 tutte prodotte dalla RWM Italia di Ghedi
(Rheinmetall Group) la cui esportazione è stata autorizzata nel 2012
dal governo Monti: di questa autorizzazione avevo già fornito
documentazione – in anteprima nazionale – sul sito di Unimondo
nel luglio del 2013. Ho inoltre segnalato a Malachy Browne la presenza
nelle Relazioni governative italiane di autorizzazioni all’esportazione
nel 2013 e nel 2014 a RWM Italia di bombe MK83 tra cui soprattutto una
rilasciata nel 2013 del valore di € 62.240.750 per 3.650 bombe
1000 LB MK83 attiva completa di anelli di sospensione (che Reported.ly
ha segnalato nell’inchiesta e riportato nella documentazione allegata
all’articolo, qui in .pdf): date le modifiche apportate alla Relazione ufficiale
(o meglio, le sottrazioni di informazioni), non è possibile
rintracciare il paese destinatario. Tutta questa documentazione è stata
in parte ripresa da un’interrogazione parlamentare presentata da Giulio Marcon
e altri del gruppo di SEL alla quale non mi risulta che il Ministero
degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI) abbia al
momento risposto.
L’inchiesta di Famiglia Cristiana
La seconda inchiesta, a firma di Luigi Grimaldi per Famiglia Cristiana
riporta alcune delle informazioni già rese note da Reported.ly ma ne
aggiunge di nuove, importanti, ma non tutte precise. Innanzitutto
Grimaldi segnala, riportando alcune fotografie diffuse tramite Twitter
da residenti nella capitale yemenita Sana’a (ed in particolare da Ammar Al-Aulaqi,
titolare dell’account twitter: @ammar82) il ritrovamento di “ordigni
inesplosi” come la bomba aerea Blu-109/B caricata con l'esplosivo
Pbxn-109 notando che si tratta dello stesso tipo di ordigno prodotto
dalla RWM Italia. A parte la questione dell’uranio impoverito (in cui
non entro nel merito, si veda al riguardo la documentazione fornita da
GlobalSecurity qui e qui) Grimaldi afferma che “La
RWM Italia dispone sin dal 2013 di un’autorizzazione di temporanea
importazione, (quindi finalizzata all'esportazione, risalente al tempo
del governo Letta) di 480 bombe Blu-109 da 870 chilogrammi all'uranio
impoverito, per un fatturato massimo di 60 milioni di euro”.
Questa informazione non è precisa, innanzitutto perché l’autorizzazione
alla “temporanea importazione” da parte del Ministeso degli Affari
Esteri (MAE) non è del 2013 ma è del 2011 (riportata nella Relazione
consegnata al Parlamento dal governo Monti nell’aprile 2012) e riguarda
non 480 ma 1.000 bombe da 2000 LB (libbre) Blu 109 vuote e 5.000 relativi ricambi per un valore complessivo - si noti la cifra - di 30 milioni di euro esatti.
Singolarmente però – e anche su questo andrebbe fatta una specifica
interrogazione parlamentare – nella documentazione fornita dall’Agenzia
delle Dogane sia relativamente all’anno 2011 sia per gli anni 2012 e
2013 quei 30 milioni di euro diventano 60 milioni di euro e
riguardano una prima “importazione temporanea” nel 2011 da parte di RWM
Italia di 144 Bombe da 2000 LB Blu 109 vuote e relativi ricambi per un
valore di € 4.430.901,62, una seconda per 480 bombe e ricambi per un
valore di € 7.213.115,41 nel 2012 ed una terza “importazione
temporanea” per 91 bombe e relativi ricambi per un valore di soli €
5.663,06 nel 2013. Non risultano, fino al 2014 (ultimo anno disponibile)
ulteriori importazioni temporanee relativamente a questa
autorizzazione: nell’insieme quindi si tratta di 635 bombe e/o relativi
ricambi. Stando all’autorizzazione rilasciata dal MAE per l’importazione
di queste 1000 bombe inerti e relativi ricambi (30 milioni di euro) il valore di un singolo ordigno è di 30mila euro. il sito bga-aeroweb.com riporta come prezzo poco più di 31mila dollari
Ma, a parte quello che è stato importato da RWM Italia, ciò che conta è quello che è stato effettivamente esportato
di questo tipo di bombe all’Arabia Saudita. L’unica documentazione
rintracciabile nelle ultime Relazioni governative italiane è una
autorizzazione rilasciata dal Ministero degli Esteri (MAE 24291) nel
2012, durante il governo Monti, per 600 bombe 2000LB Blu 109 attiva per un valore di € 15.600.000 e relativo set di manuali: un’autorizzazione che per primo ho reso nota nel mio articolo per Unimondo (*). Bombe che già a partire dal 2012 – e questo è un fatto nuovo che aggiungo adesso – cominciarono ad essere esportate verso l’Arabia Saudita:
la relazione dell’Agenzia delle Dogane riporta infatti esportazioni nel
2012 di 400 bombe per un valore di €10.400.000 e di altre 200 bombe per
un valore di € 5.200.000 nel 2013. Questi dati sono inequivocabili
e, in sintesi, certificano che il governo Monti ha autorizzato a RWM
Italia l’esportazione verso l’Arabia Saudita di almeno 600 bombe 2000LB
Blu 109 attiva per un valore di € 15.600.000: esportazioni che sono
avvenute nei due anni suddetti. Il valore di un singolo ordigno è quindi
di 26mila euro e risulta stranamente inferiore a quello rilasciato dal
MAE per l’importazione temporanea delle stesso tipo di bombe però
inattive (30mila euro): una discrepanza che il MAE (e l’azienda RWM
Italia) dovrebbe chiarire al Parlamento.
Quelle della RWM Italia sono, comunque, solo una parte delle rilevanti esportazioni di sistemi militari italiani verso l’Arabia Saudita: come mostra una infografica da me curata per OPAL (qui in .pdf) che ho illustrato in una conferenza stampa
promossa da Rete Disarmo alla Camera lo scorso 9 luglio, l’Arabia
Saudita insieme ad altri paesi del Medio Oriente è diventata negli
ultimi anni tra i maggiori acquirenti delle armi “made in Italy”.
Continuano i bombardamenti, scarseggiano gli aiuti
Intanto continuano i bombardamenti aerei della coalizione guidata dall’Arabia Saudita in Yemen: come riporta il sito di Onu Italia vi è un raid aereo ogni dieci minuti. Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha incontrato alla Farnesina il suo omologo saudita, Adel Al-Jubeir,
ma la crisi umanitaria dello Yemen e gli indiscriminati bombardamenti
aerei sauditi sulla popolazione civile non pare siano stati al centro
dei colloqui considerato che né la Farnesina né le agenzie di stampa
ne hanno fatto menzione. Di fronte alla gravissima emergenza umanitaria
e alimentare in Yemen la Cooperazione italiana ha destinato un
“contributo volontario” ridicolo: si tratta di 500mila euro
destinati al Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) per il
sostegno alle attività di protezione e prima assistenza. Nel frattempo
continua l’invio di bombe italiane ai paesi del Golfo: il business delle
armi prosegue indisturbato anche per la continua sottrazione di informazioni al Parlamento e alla società civile.
Giorgio Beretta
giorgio.beretta@unimondo.org
(*)
Anche su questo la comunicazione di Grimaldi è imprecisa perché
attribuisce ad “Archivio Disarmo” un dato di cui – come ho detto – sono
la fonte originaria nel mio articolo per Unimondo
riprodotto, per quanto riguarda le esportazioni di sistemi militari
italiani all’Arabia Saudita e altri passaggi, nella ricerca di Archivio
Disarmo, qui in .pdf: si veda p. 7).