L’umanità si sta spingendo oltre gli stessi confini del pianeta: cibo, acqua ed energia. Il cibo non basta: per evitare il caos necessari cambiamenti politici, economici e sociali rivoluzionari. (Scopri di più su:
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La domanda che sta dietro Expo 2015 era “come si fa ad assicurarsi che i 9 miliardi di persone che popoleranno il mondo abbiano accesso al cibo?”, una domanda rimasta senza una vera risposta nella grande fiera milanese ed alla quale Paul Ehrlich, un biologo della Stanford University, e John Harte, dell’energy and resources Group, dell’università della California – Berkeley, invece rispondono: «Si avvia una rivoluzione».
Infatti nello studio “Food security requires a new revolution” pubblicato sull’International Journal of Environmental Studies, Ehrlich e Harte sottolineano che «Un compito centrale della società dovrebbe essere quello di fornire nutrimento adeguato a tutti. Oggi, questo obiettivo non è soddisfatto per circa un terzo della popolazione umana globale. La cosa ancora più minacciosa è che la popolazione dovrebbe aumentare di circa il 30% entro il 2050. I sistemi naturali e sociali intrecciati tra loro, che devon affrontare la sfida di produrre e distribuire equamente molto più cibo, senza distruggere i sistemi di supporto vitali per la vita umana, hanno di fronte a una vasta gamma di sfide e s di scoraggianti incertezze. Queste hanno radici nella rivoluzione agricola che ha trasformato la nostra specie e ha creato la civiltà. Se vogliamo evitare una carestia senza precedenti, saranno necessari profondi e molteplici cambiamenti, rivedendo le tradizioni culturali consolidate e penetrate nella maggior parte della civiltà».
Come sottolinea anche By Brian Bienkowski su Environmental Health News, alimentare un pianeta sempre più affollato richiederà più energia pulita, agricoltura intelligente e maggiori diritti per le donne, ma anche un «cambiamento culturale fondamentale». I due eminenti scienziati statunitensi scrivono: «Ciò che per noi è ovvio è … che se l’umanità vuole evitare un disastroso perdita calo della sicurezza alimentare, la fame, dovrà essere pervasa dal profondo cambiamento, drammatico come la prima rivoluzione agricola, che sarà richiesto».
L’ennesimo naufragio con centinaia di morti davanti alle coste libiche è un esempio di cosa può aspettarci, del nostro inevitabile destino se continueremo a credere che 8 miliardi di persone dei Paesi in via di sviluppo possano essere fermati con le frontiere e il razzismo avvelenante di qualche politico: miliardi di bocche affamate in più significano più degrado ambientale, più ingiustizia sociale e che l’umanità si sta spingendo oltre gli stessi confini del pianeta, che non sono quelli segnati sulle carte degli Stati, ma, secondo Ehrlich e Harte, quelli di risorse come il cibo, l’acqua e l’energia.
Per la stragrande maggioranza degli esseri umani dei Paesi in via di sviluppo, l’acquisto o la ricerca del cibo sono una lotta quotidiana. Secondo la Fao, più di 800 milioni di persone sono malnutrite, sono miliardi gli uomini, le donne ed i bambini a non avere un accesso al cibo stabile e sicuro.
In un’intervista Ehrlich ha sottolineato: «Alcuni dicono che il vero problema è che ci sono troppe persone e altri dicono che è la cattiva distribuzione delle colture che coltiviamo. Hanno entrambi ragione, ma questo non può essere risolto trattando una sola parte del problema. Gli scienziati per troppo tempo hanno guardato a come nutrire il mondo in “frammenti”. Alcuni mirano a risolvere i problemi alimentari con coltivazioni a temperature più alte; alcuni guardano alla riduzione dei rifiuti. E’ chiarissimo che nessuna delle cose che devono essere fatte svengono fatte ad una scala che sarebbe utile».
Lo studio evidenzia che non si tratta solo di coltivare di più e di ridurre la popolazione mondiale: «La pianificazione di un sistema di produzione alimentare sostenibile ed efficace richiederà certamente di tenere conto dei vincoli dalla natura».
Secondo Ehrlich e Harte uguaglianza economica, crescita della popolazione e la salute ambientale sono collegate e «I governi devono affrontare l’intero sistema per evitare future carestie». Questo significa ridurre ii gas serra che riscaldano il pianeta, impedire la perdita di biodiversità e la riduzione delle popolazioni di specie animali e vegetali. Significa ridurre drasticamente tutti i pesticidi e gli antibiotici usati per coltivare ed allevare cibo. Significa mettere i cambiamenti climatici in cima alle agende politiche e farla finita con gli incentivi per estrarre combustibili fossili.
«Dato che la popolazione del pianeta cresce, i problemi ambientali cresceranno ancora di più» ha detto Ehrlich e Harte aggiunge: «Dobbiamo bloccare la popolazione. Ma il cambiamento climatico sarà un “punto critico”. Per il futuro della sicurezza alimentare non c’è niente di peggio di un futuro climatico con più eventi estremi, come siccità e inondazioni».
Harte fa l’esempio della siccità in California: Un rapporto pubblicato a giugno dall’ Università della California – Davis stima che, nel solo 2015, la siccità costerà all’agricoltura e all’industria California 27 miliardi di dollari e la perdita di 18.000 posti di lavoro.
«Le soluzioni, come le sfide, si intrecciano – dicono Ehrlich e Harte – Ma esistono». Per Ehrlich un buon punto di partenza per affrontare la crescita della popolazione sarebbe quello dei pieni diritti delle donne, compreso l’accesso ai contraccettivi e il diritto all’aborto. Mentre il “grande cambiamento” per l’agricoltura è quello di andare un verso l’agricoltura biologica, per liberarsi di grandi fattorie industriali, che si basano sui pesticidi. Harte è convinto che per mettere un freno al cambiamento climatico ci siano due soluzioni naturali: «Il vento e il sole. L’espansione dell’eolico e dei parchi solari, insieme ad una maggiore efficienza nel consumo di energia elettrica è del tutto possibile. La Germania ha molto meno sole rispetto alla maggior parte degli Stati Uniti e si sta avvicinando quasi alla metà di tutta la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Non c’è motivo per non fare di più»
I due scienziati dicono che «Alla base di tutto ciò, c’è un cambiamento fondamentale nel valore delle persone, compresa la necessità di prendere le distanze da tutto ciò è spinto da interessi economici. Invece, l’attenzione della società dovrebbe essere posta sulla resilienza, sulla lotta per la virtù, la distribuzione equa, e su un’estrema vigilanza per assicurare che la governance lavori in parallelo, non in opposizione, per raggiungere questi obiettivi».
In altre parole, c’è bisogno di una rivoluzione.
Ma se Ehrlich e Harte sono ottimisti riguardo alle soluzioni lo sono meno se guardano alla situazione del più potente Paese del pianeta, quello dove vivono e lavorano: «Il Congresso Usa è governato da una maggioranza che non vuole ascoltare i fatti… La maggior parte di loro non crede nella scienza. Non capiscono la grandezza della minaccia che la civiltà si trova ad affrontare . conclude Harte – Se avessero ascoltato ingegneri e scienziati e fatto la cosa giusta, sarei ottimista. Le soluzioni sono fuori da li».