Amnesty International, AIRE Centre, la Commissione internazionale dei giuristi, Interights e Redress hanno segnalato che, nell'udienza di oggi sul caso Saadi c. Italia, alla Grande camera della Corte europea dei diritti umani viene richiesto di mettere in discussione il divieto assoluto di tortura e altri maltrattamenti. L'indebolimento del divieto assoluto e universale di tortura e di altri maltrattamenti, non soltanto è sbagliato, esso ci mette tutti in pericolo, minando alla base uno dei valori fondamentali sui quali il sistema europeo è costruito. Nell'ambito del procedimento Saadi c. Italia, all'attenzione della Corte, Nassim Saadi sostiene, tra le altre cose, che il decreto di espulsione dall'Italia alla Tunisia da cui è stato colpito, emanato in base alla legge Pisanu, viola gli obblighi del governo italiano in base alla Convenzione europea dei diritti umani di divieto di tortura e di protezione dalla tortura e da altri maltrattamenti, in quanto il suo rinvio verso la Tunisia lo esporrebbe a un rischio reale. Il governo del Regno Unito, insieme a un gruppo ristretto di altri governi, è intervenuto nel procedimento davanti alla Corte, a sostegno dell'espulsione nonostante il rischio di tortura e altri maltrattamenti. Il governo di Londra ha chiesto alla Corte di modificare la propria giurisprudenza, che è attualmente coerente col divieto assoluto, universalmente riconosciuto, di tortura e altri maltrattamenti. Il Regno Unito sostiene che il divieto di tortura e di maltrattamenti non dovrebbe essere assoluto nei confronti di cittadini stranieri che uno Stato ritiene rappresentino una minaccia alla sicurezza nazionale e che per questo intende espellere. Al momento, le norme del diritto internazionale sui diritti umani sono chiare. Il divieto assoluto di tortura e di altri maltrattamenti implica che gli Stati siano obbligati ad assicurare che i loro rappresentanti non siano coinvolti nell'infliggere tortura o altri maltrattamenti, quali che siano le circostanze. Essi, inoltre, devono assicurare alla giustizia i responsabili di tali atti e risarcire le vittime. Il divieto di tortura implica inoltre che gli Stati non possano sottoporre una persona a rischio di tortura e altri maltrattamenti nel territorio di un altro Stato, inviandola - seppur legalmente - in un paese dove essa corre un rischio reale. Queste regole vanno tenute ferme in ogni circostanza, anche quando la persona in questione è sospettata di terrorismo. Esistono buone ragioni perché il divieto di tortura e di altri maltrattamenti sia assoluto: la tortura è una grave violazione della dignità e della integrità personali. La sua applicazione corrode i principi dello stato di diritto e l'autorità morale dello Stato. Per queste e altre ragioni, la pratica della tortura è stata ripetutamente condannata da tribunali nazionali e internazionali. Il suo divieto assoluto ha raggiunto il massimo grado di obbligatorietà nel diritto internazionale. Esso è fondamentale, perentorio e inderogabile. La comunità internazionale ha preso molteplici impegni legali e ha più volte ribadito pubblicamente che tutte le misure adottate dagli Stati per proteggere tutti noi dal terrorismo devono essere conformi al diritto internazionale, e quindi anche al divieto di tortura e altri maltrattamenti. Tuttavia gli organi di informazione, i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani e i rapporti delle Nazioni Unite e degli organismi del Consiglio d'Europa riferiscono regolarmente di misure adottate dagli Stati, che minano o cercano di aggirare questo divieto assoluto. Inviare una persona in un luogo in cui rischia la tortura o altri maltrattamenti, sulla base di "rassicurazioni diplomatiche", come l'Italia intende fare nel caso Saadi, è solo un esempio di questo preoccupante fenomeno europeo: si tratta di una sorta di "accordo tra gentiluomini", non vincolante, con lo Stato dove la persona viene rinviata, in base al quale quest'ultimo dovrebbe fare un'eccezione alla "pratica normale" di torturare i detenuti, proteggendo la persona in questione da tale maltrattamento. Ulteriori informazioni Il caso Saadi c. Italia è oggi all'esame della Grande camera della Corte europea dei diritti umani. Nell'ambito del procedimento, Nassim Saadi sostiene, tra l'altro, che l'ordine di espulsione dall'Italia alla Tunisia da cui è stato colpito, emanato in base alla legge Pisanu, viola gli obblighi del governo italiano in base alla Convenzione europea. Nassim Saadi, cittadino tunisino regolarmente residente in Italia fino all'arresto, è stato condannato nel maggio 2005 dalla Corte d'assise di Milano a quattro anni e sei mesi di reclusione per associazione a delinquere e contraffazione di documenti. È stato contestualmente assolto dall'accusa di associazione con finalità di terrorismo internazionale. Sia Nassim Saadi che il pubblico ministero hanno presentato appello contro questa decisione e il relativo procedimento è pendente. Tuttavia, nell'agosto 2006, ad appello pendente, il ministro dell'Interno ha ordinato l'espulsione di Nassim Saadi in Tunisia, in base alla legge Pisanu. Quest'ultima permette che una persona sospettata dalle autorità di coinvolgimento in attività connesse al terrorismo possa essere espulsa per ordine del ministro dell'Interno o, su sua delega, di un prefetto, anche in assenza di un'accusa o di un processo. L'appello contro l'ordine di espulsione emanato in base alla legge Pisanu non è sospensivo. Il caso Saadi è uno dei numerosi procedimenti pendenti davanti alla Corte nell'ambito dei quali viene contestata l'applicazione di questa legge, il cui giudizio di costituzionalità è peraltro attualmente pendente in Italia. Inoltre, nell'ambito del procedimento davanti alla Corte europea dei diritti umani, Nassim Saadi lamenta un rischio reale di torture, maltrattamenti e altre violazioni dei diritti umani cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio in Tunisia, affermando pertanto che il suo rimpatrio sarebbe illegittimo. Nel maggio 2005 Nassim Saadi è stato processato in contumacia da una corte militare in Tunisia e condannato a 20 anni di detenzione per partecipazione a un'organizzazione terroristica operante all'estero e incitamento al terrorismo. La condanna sarebbe stata emanata sulla base di presunte attività da lui svolte in Italia. Per quanto sia probabile che egli sarebbe nuovamente sottoposto a processo se rinviato in Tunisia, tale processo avrebbe tuttavia ancora luogo davanti a una corte militare. Le ricerche delle organizzazioni firmatarie di questo comunicato stampa mostrano che i processi celebrati dalle corti militari tunisine violano gli standard internazionali del giusto processo. Il presidente è l'unico membro civile della corte e viene limitata la pubblicità del procedimento che si tiene in strutture militari. La Corte europea dei diritti umani ha già ritenuto, in altre circostanze, che tali procedimenti violino il diritto al giusto processo. I civili processati da questi tribunali hanno denunciato molteplici violazioni del loro diritto alla difesa, tra cui la mancata informazione sul diritto a essere difesi da un avvocato, le restrizioni imposte ai loro avvocati circa l'accesso al fascicolo e la conoscenza delle date delle udienze. Sugli appelli giudica soltanto la Corte militare di cassazione e non c'è alcun riesame da parte di un tribunale non militare. Il caso Saadi c. Italia è uno dei tre procedimenti pendenti davanti alla Corte europea dei diritti umani nell'ambito dei quali il Regno Unito e un ristretto gruppo di altri governi europei stanno cercando di modificare il divieto assoluto di inviare una persona in un paese in cui è sottoposta a un reale rischio di tortura e altri maltrattamenti, proponendo invece un esame del bilanciamento tra i rischi per l'individuo e i rischi per la sicurezza nazionale. Un altro caso in cui il governo del Regno Unito ha utilizzato questo argomento davanti alla Corte europea dei diritti umani è il caso Ramzy c. Olanda, attualmente pendente. La Corte deve ancora tenere delle udienze sul caso Ramzy. Tuttavia essa ha accolto la richiesta del Regno Unito di rivolgersi alla Corte durante l'udienza del caso Saadi e di includere le proprie memorie precedentemente allegate al caso Ramzy anche nel fascicolo del caso Saadi c. Italia. La Corte non ha invece accettato di includere nel caso Saadi le controargomentazioni presentate da tre gruppi di Organizzazioni non governative, incluse quelle firmatarie di questo comunicato stampa, che già fanno parte del fascicolo del caso Ramzy. Ciò è motivo di rammarico per queste organizzazioni. FINE DEL COMUNICATO Roma, 11 luglio 2007 Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: Amnesty International Italia - Ufficio stampa Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

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