"Occorre promuovere i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza per eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile. Molti sono i soggetti e gli organismi internazionali che hanno preso posizione in tal senso". A dirlo è il ministro del Lavoro e della previdenza sociale Cesare Damiano, in un'intervista rilasciata ad Azzurro Child e contenuta nel numero di luglio della rivista, in distribuzione in questi giorni. Oltre all'intervista, la rivista di Telefono Azzurro propone questo mese gli interventi e i passaggi più importanti dei quattro convegni organizzati per celebrare i vent'anni dell'Associazione, nonché i nuovi dati del servizio Hot114 che ha recentemente stipulato un accordo con la Polizia Postale, che renderà ancora più incisiva la sua azione. Rispondendo ad Azzurro Child, il ministro Damiano ha inoltre sottolineato e ricordato l'importanza della collaborazione siglata il mese scorso tra Telefono Azzurro e l'Ordine dei Consulenti del lavoro che sancisce l'impegno congiunto contro lo sfruttamento del lavoro minorile "in una campagna di sensibilizzazione verso le imprese, i lavoratori e il mondo della scuola".
Un fenomeno complesso e in larga parte sommerso di cui il ministro del Lavoro e della previdenza sociale Cesare Damiano ha parlato in un'intervista rilasciata ad Azzurro Child. Apprezzato l'accordo stretto tra l'Associazione e l'Ordine dei Consulenti del lavoro.
Ministro Damiano, il lavoro minorile è in crescita, ovunque. Anche in Italia. E non riguarda, come si pensa comunemente, soprattutto bambini stranieri, bensì italiani. Si tratta forse di un problema che è stato sottovalutato?
L'attuale composizione del mercato del lavoro globalizzato è ricca di fenomeni e tendenze sovranazionali che comportano interventi coordinati e interdipendenti. I principali devono riguardare il riconoscimento e il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, a partire dalle bambine e dai bambini. Non sottovalutiamo la presenza anche in Italia del fenomeno dello sfruttamento dei minori al lavoro, sebbene la dimensione quantitativa sia incerta.

Secondo alcune stime, parliamo di almeno 500 mila minori. Che spesso non vanno a scuola. Possibile che non si riesca a rintracciarli e ad intervenire? Quelli citati sono dati di origine sindacale, da non sottovalutare. Una apposita indagine che l'Istat ha effettuato qualche anno addietro, riporta 144 mila bambini lavoratori. Le forme di vero sfruttamento sembrano legate alle comunità immigrate. In alcune aree del Mezzogiorno, ad esempio, pare frequente il ricorso al lavoro minorile, soprattutto clandestino ma anche italiano, nelle imprese tessili. Le politiche di intervento devono necessariamente essere coordinate con quelle relative all'immigrazione.

Un motivo è che la maggioranza collabora in famiglia. Questo non è considerato lavoro? La differenza di ricchezza tra nord e sud, non solo in Italia, esiste da decenni ma la globalizzazione l'ha accentuata. Così si esprimeva anche il rapporto 1999 dell'Agenzia delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano, manifestando un giudizio severo sulle disuguaglianze crescenti e gli effetti sul lavoro dei minori, tra i più esposti alle crescenti ingiustizie sociali legate ai fattori di produzione e distribuzione della ricchezza. La povertà, più che la competitività, porta le famiglie ad impiegare i bambini nel lavoro.

Cosa si può fare nell'immediato?
Sicuramente potrà manifestare efficacia l'aumento dei controlli sulle imprese, soprattutto nei momenti dell'anno in cui sorgono le esigenze stagionali, tuttavia ritengo che la strada principale sia quella di investire, con progetti specifici, nella scuola, nella famiglia e nel lavoro. Al riguardo, saluto molto favorevolmente iniziative come quella che vede la vostra associazione e l'Ordine Nazionale di Consulenti del Lavoro impegnati in una campagna di sensibilizzazione verso le imprese, i lavoratori e il mondo della scuola.

E una strategia di lungo periodo? Occorre promuovere i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza per eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile. Molti sono i soggetti e gli organismi internazionali che hanno preso posizione in tal senso. L'OIL ha approvato qualche anno fa un'apposita convenzione nella quale si prevedono concrete modalità per estirpare tale fenomeno, a partire dalla prostituzione e dai lavori pericolosi, attraverso una clausola sociale da introdurre negli accordi internazionali per certificare con un marchio di qualità i prodotti che rispettano parametri etici. Mi sembra Rilevante anche la discreta diffusione presso le aziende dei principi contenuti nella SA8000 di Responsabilità sociale, un sistema volontario di certificazione d'impresa che può incidere significativamente anche sui livelli di competitività.

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