L’11 luglio ricorre il ventesimo anniversario del massacro di Srebrenica, una città nell’est della Bosnia Erzegovina dove, nel 1995, 8.000 tra uomini e bambini bosniaci musulmani vennero massacrati dalle truppe serbo-bosniache guidate dal Generale Ratko Mladic, attualmente sotto processo al Tribunale Penale Internazionale con l’accusa di genocidio e crimini di guerra e contro l’umanità.
Cesvi è presente in modo stabile nei Balcani dal 1994, da quando intervenne in Bosnia centrale a guerra in corso. Oggi Cesvi è presente a Srebrenica, dove ha creato una Casa del Sorriso per sostenere gli sforzi delle istituzioni locali nel superamento delle tensioni etniche promuovendo la tolleranza e la solidarietà.
La Casa del Sorriso di Srebrenica è riconosciuta a livello locale come un luogo confortevole dove organizzare attività di formazione, riunioni, laboratori e iniziative con i bambini. “I bambini di Srebrenica hanno bisogno di affrontare un percorso piscologico per superare i traumi della guerra. Anche se i più piccoli non hanno vissuto direttamente il conflitto, l'hanno fatto in modo indiretto attraverso i loro genitori e parenti. Certi traumi lasciano il segno, io l'ho provato sulla mia pelle” dichiara Azra Ibrahimovic, Responsabile della Casa del Sorriso.
A seguire il racconto di Cristina Francesconi, volontaria Cesvi, di ritorno dalla Casa del Sorriso di Srebrenica.
‘’Credevo di essere preparata. Quella guerra così vicina me la ricordavo, conoscevo i fatti dai giornali, dai TG, avevo visto foto. Non lo ero... non ero affatto preparata. L'ho capito appena sono entrata a Sarajevo, con quei muri “feriti” da migliaia di buchi. Cicatrici sui muri in ogni luogo visitato in Bosnia Erzegovina. Cicatrici e lapidi bianche. E mine, ancora troppe mine a distanza di 20 anni. Ovunque cartelli rossi con teschi bianchi e la scritta PAZI-MINE. Le ultime grandi alluvioni e i conseguenti smottamenti del terreno hanno mosso le mine dalle aree già segnalate. Così ancora oggi, al di fuori delle strade asfaltate, il pericolo è altissimo.
Lo sminamento in Bosnia Erzegovina doveva concludersi nel 2009, ma non sarà ultimato, in base alle ultime stime, nemmeno nel 2019, prossimo termine stabilito dalle autorità di Sarajevo. Il rischio di morire però resta. Ed è altissimo. Dalla fine della guerra a oggi sono morti 603 civili saltati sulle mine anti-uomo. Lo stipendio di uno sminatore in Bosnia è di 700 euro. 47 addetti sono morti durante lo sminamento.
Non puoi non vedere, non puoi non percepire quanto sia stata devastante e complessa la guerra in Bosnia. Tutto quello che sapevo era incompleto e approssimativo. Ero di fronte a infinite piccole sfumature, a una realtà impossibile da catalogare in ruoli definiti.
Tutto mi sembrava separato da diversità incompatibili, inavvicinabili, eppure indissolubilmente fuso da secoli di storia. Amici Nemici. Oriente, occidente, serbi, bosgnacchi, musulmani, cristiani, vittime, carnefici, colpevoli, innocenti... perfino le carte geografiche risultano complesse, amalgami di Stati divisi ma inglobati in una stessa nazione.
Solo le cicatrici di questa Bosnia accomunano tutto e tutti in modo chiaro.
Profonde cicatrici psicologiche che turbano le memorie e, inevitabilmente, ancora oggi, condizionano la vita delle persone coinvolte. Perché la guerra è un cancro, che uccide anche chi resta vivo. Non ci sono vinti né vincitori, solo metastasi di odio che sopravvivono per generazioni. La guerra finisce, l'odio rimane.”