Aumenta il numero di imprese italiane impegnate nella responsabilità sociale (CSR). Si spende meno ma con interventi mirati e misurabili. Le nuove strategie aziendali sono incentrate sul coinvolgimento dei dipendenti: lotta agli sprechi, ottimizzazione dei consumi energetici e ciclo dei rifiuti. Dal 2011 a oggi, la consapevolezza dell’importanza della Corporate Social Responsibility si è fatta più diffusa tra le nostre aziende e ha permeato la loro stessa identità. (Scopri di più su:
http://www.osservatoriosocialis.it/2014/07/01/litalia-volta-pagina-con-la-csr-aziende-e-dipendenti-insieme-per-lambiente/)
A spingere al cambiamento i consumatori, mentre le istituzioni nazionali “latitano” e non danno seguito alla richiesta di incentivare fiscalmente le buone pratiche. Sono questi alcuni dei rilievi più salienti del VI rapporto di indagine sull’impegno sociale delle aziende in Italia, eseguito nell’aprile 2014 dall’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione in partnership con l’istituto IXE’, col patrocinio della Presidenza del Consiglio, dei ministeridello Sviluppo Economico, Lavoro e Politiche Sociali, Ambiente, e con la partecipazione di Lega del Filo d’Oro, Sanofi Pasteur MSD e Manager Italia.
“Questa rilevazione”, dichiara Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis “ci restituisce l’immagine di un tessuto imprenditoriale che dalla crisi ha assimilato soprattutto questo: le risorse sono preziose; i processi, determinanti; orientare l’impatto sociale di impresa richiede una strategia precisa”.
Più imprese socialmente responsabili– Nel 2011, anno di riferimento del precedente rapporto, le imprese che dichiaravano di impegnarsi nella responsabilità sociale d’impresa erano il 64% del campione. Nel VI rapporto questo dato cresce: ad attuare una strategia di CSR è il 73% delle imprese italiane con più di 80 dipendenti.
Risorse ridotte dalla crisi, ma budget 2014 è in crescita – Nel contempo, per effetto della crisi economica di questi anni, le risorse investite hanno subito una contrazione: la cifra media investita in CSR nel 2013 è infatti inferiore del 25% a quella del 2011. Si spende meno, però come detto il numero di imprese interessate è in aumento. E per il 2014 il budget medio torna a crescere, con un aumento del 7% rispetto al 2013: da 158 mila euro (media 2013) a 169mila euro (media 2014).
Anche nel 2013 l’importo totale delle risorse destinate in CSR a livello nazionale si è comunque attestato intorno al miliardo di euro (cifra di riferimento del precedente rapporto): 920 milioni di euro per l’esattezza. I settori più attivi nella CSR sono il finance, il commercio, il farmaceutico e il manifatturiero; alta sensibilità e attenzione anche nel settore tecnologico/informatico.
Quale CSR? Cresce quella per l’ambiente– E’ nella scelta delle strategie di CSR che si registra il cambiamento più rilevante rispetto all’ultimo rapporto. Se infatti prima era più diffusa la dimensione esterna della responsabilità sociale, quella collegata ad esempio a donazioni umanitarie, ora e per il futuro le imprese puntano sull’ambiente: il 54% del campione dichiara infatti di aver attivato misure cogenti di contenimento degli sprechi di carta, acqua, illuminazione ed avanzi nelle mense; seguono investimenti per migliorare sul risparmio energetico (36%), l’introduzione o il potenziamento della raccolta differenziata (33%), nuove tecnologie per limitare l’inquinamento e migliorare lo smaltimento dei rifiuti (33%). In netto calo le donazioni in denaro (solo il 26% dichiara di organizzarle all’interno della propria impresa) e attività filantropiche (24%).
La CSR ha priorità interne e “locali”– Per quanto concerne il terreno prescelto per le proprie attività di responsabilità sociale, a parte l’interno dell’azienda (scelto dalla gran parte delle aziende) le altre attività di CSR si concentrano in prima battuta sul territorio locale dell’azienda (42%). Dunque con la CSR le aziende cercano anche un miglioramento nei propri “rapporti di vicinato”.
“La prima parola sollevata dai dati di questo rapporto sull’impegno sociale delle aziende in Italia è ‘attenzione’: attenzione agli sprechi, ai dipendenti, all’ambiente in cui viviamo e che lasciamo ai figli e ai nipoti, al territorio nel quale operiamo. Sta emergendo, con chiarezza, un nuovo modo di fare ed essere impresa” dice Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis. “L’altra parola-chiave è ‘risparmio’, che in questi anni è diventato obbligatorio, ma che è anche uno dei principali vantaggi dell’agire responsabile, un volano per lo sviluppo della CSR e dell’impresa stessa. Ci riferiamo alla riduzione dei consumi di materie prime e risorse, al maggiore controllo della filiera, a una maggiore attenzione complessiva ai costi”.
L’obiettivo è la reputazione, la ricaduta reale sui dipendenti- La prima motivazione a fare responsabilità sociale è “reputazionale” segno che è stata colta la centralità della responsabilità sociale nella costruzione del posizionamento dell’immagine aziendale (47%). In seconda battuta viene segnalato l’effetto sul business (27%) e sul clima interno (27%). A un terzo livello si trovano poi le motivazioni di ordine morale (la CSR come contributo d’impresa allo sviluppo sostenibile) e il rapporto con amministrazioni e stakeholders. Coerentemente, il principale criterio di scelta delle iniziative da sostenere o attuare è la loro visibilità (40%); poi l’area geografica (31%), ovvero il legame con il territorio, a sottolineare l’obiettivo di influire nei rapporti con i soggetti sociali locali; seguono la possibilità di coinvolgere il personale (28%) e quella di misurare i risultati dell’iniziativa (23%).
Nonostante la spiccata motivazione verso il rafforzamento della corporate reputation, il primo vantaggio realmente riconosciuto dalle imprese che hanno fatto CSR è nel miglioramento del clima interno e nel coinvolgimento dei dipendenti: a pensarla così il 46% delle aziende; solo il 36% registra invece il verificarsi dell’effettivo ritorno reputazionale prospettato all’inizio.
La spinta al cambiamento arriva dalla società civile– Secondo le imprese intervistate, ad impegnarsi per diffondere la cultura di comportamenti “socialmente responsabili” è soprattutto il “privato cittadino”. Cittadino inteso come opinione pubblica (il 16% del campione vede in questo interlocutore il sostenitore più convinto della responsabilità sociale), azienda (18%), terzo settore (15%). Le pubbliche amministrazioni e le università vengono considerate “meno interessate”. Solo il 5% degli intervistati riconosce alle istituzioni accademiche del nostro Paese un contributo alla CSR. Maglia nera alle istituzioni nazionali: solo il 3% degli intervistati le considera impegnate a diffondere comportamenti responsabili. Ed è invece proprio a loro che il 75% delle aziende intervistate continua a chiedere a gran voce, anche in questo rapporto, norme istituzionali premianti per chi fa CSR: sgravi fiscali, riconoscimenti, certificazioni.
La crisi ha reso strategica la CSR– Il 40% delle imprese interpellate ritiene che la crisi abbia generato, o perlomeno sostenuto, uno sviluppo dell’attenzione verso la responsabilità sociale. In questo biennio le aziende hanno riformulato il vissuto del momento economico e la CSR viene quindi concepita come un potente strumento di riposizionamento strategico.
La filiera “etica”- Il 46% delle imprese sceglie e valuta i propri fornitori anche in considerazione del loro impegno nella CSR, aspetto cui sono più interessate le aziende del settore gomma e plastica, il metallurgico e l’informatica/elettronica/telecomunicazioni.
Il futuro della CSR è lotta a sprechi e inquinamento– Per il futuro la direzione d’investimento complessivamente più referenziata è quella della sostenibilità ambientale: riduzione degli sprechi in primis (64%), seguita dalla riduzione dell’inquinamento (51%). A seguire, ad una certa distanza percentuale, le pari opportunità (25%) e l’integrazione sociale (21%).