Il 10 giugno il Parlamento europeo ha rinviato il voto sul TTIP, evidenziando una spaccatura tra Socialisti & Democratici e Popolari europei, alla quale non è estraneo il ruolo della società civile europea. Quello del TTIP è davvero un argomento importante, malgrado alcuni (molti in verità) ne ignorino l’esistenza, figuriamoci il significato dell’acronimo che lo sintetizza. (Scopri di più su:
http://www.labsus.org/2015/06/ttip-dalla-parte-delle-multinazionali-o-dei-cittadini/)
Antonio PutiniSi tratta di quel genere di accordi internazionali che normalmente orbitano sopra le nostre teste e che il sistema dei media – soprattutto in Italia – ha difficoltà a mettere nei propri palinsesti occupato com’è nella trasmissione dell’ennesima serie poliziesca, dell’ennesimo talent show enogastronomico o nella tradizionale carrellata di opinioni circa la scottante questione di turno, che al momento si può sintetizzare così: 6 immigrati per ciascun comune italiano…invasione o “gomblotto indernazionale”?
Invece questo accordo di cooperazione fra le sponde boreali dell’Oceano Atlantico malgrado la sua semi-invisibilità mediatica e istituzionale potrebbe incidere in modo profondo e permanente sul nostro futuro e su quello delle generazioni a venire.
Di cosa si tratta?
Il TTIP (Transatlantic Trade and Investiment Partnership) è un partenariato fra Stati Uniti d’America ed Unione Europea relativo al commercio, agli investimenti e alle modalità di risoluzione delle dispute, comprese quelle potenzialmente insorgenti fra aziende e stati.
Questi due immensi bacini di produzione, commercio e consumo, malgrado i legami economici che storicamente li contraddistinguono (e a causa dei quali gli Stati Uniti sono oggi un paese indipendente, e non più una colonia inglese…) hanno col tempo sviluppato ognuno i propri requisiti, le proprie direttive, i propri regolamenti, i propri standard per testare la qualità dei prodotti; in breve, i propri “sistemi di regolazione” del mercato locale.
L’accordo si propone di “armonizzare” tali fonti di regolamentazione per facilitare gli scambi. Si tratta, in estrema sintesi, di un ulteriore accordo di liberalizzazione.
Un accordo due interpretazioni contrapposte
Come sempre accade per gli argomenti politici, intorno a un processo decisionale, o a un’iniziativa, si sviluppano almeno due interpretazioni di senso opposto.
In questo caso i blocchi sono ben delineati: da un lato le istituzioni politiche europee e statunitensi, supportate dalle multinazionali. Dall’altro la società civile, con le associazioni ambientaliste come
GreenPeace, i sindacati, le accademie, e alcuni soggetti politici, appartenenti alla sinistra radicale e al movimentismo (
Syriza, Podemos, i Partiti Pirata).
Per i primi, l’accordo di liberalizzazione costituirebbe una vera e propria panacea per il rilancio dell’economia statunitense ed europea: secondo il parere della svedese
Cecilia Malmström, Commissario Europeo per il Commercio, il TTIP “rappresenta uno strumento di cooperazione internazionale per il benessere di tutti”.
Non proprio sulla stessa linea il parere delle centinaia di associazioni della società civile, secondo le quali il TTIP costituisce una seria minaccia per la qualità della vita, per l’ambiente, per i servizi pubblici e la salute, per i diritti dei lavoratori e dei consumatori, e per la stessa sovranità degli stati.
La voce della società civile organizzata
Sono
450 le associazioni di varia natura, livello e nazionalità impegnate nella
campagna di sensibilizzazione STOP-TTIP rivolta ai cittadini europei.
Malgrado il rifiuto della Commissione di registrare l’
ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) “Stop TTIP”, avvenuto nel 2014, la campagna europea prosegue, e finora ha raccolto oltre 2 milioni di sottoscrizioni. La società civile lamenta la pressoché totale assenza di trasparenza, dialogo e inclusione per ciò che ha riguardato e riguarda il processo di stesura dell’accordo da parte delle istituzioni politiche europee e statunitensi. Le trattative si svolgerebbero per lo più a porte chiuse, con la sola presenza di un board tecnico composto da rappresentanti dei cosiddetti “interessi forti”, ovvero le industrie multinazionali.
In effetti un osservatorio specializzato in studi e ricerche sui processi di lobbying europeo (Corporate Europe Observatory) conferma che al 93% degli incontri preparatori effettuati dalla Commissione hanno preso parte unicamente stakeholders appartenenti al mondo degli affari.
Armonizzazione e libero scambio o minaccia? Nuove possibilità commerciali o attacco alla democrazia e ai diritti? Questo articolo non può dirimere in via assoluta questioni così delicate. Il suo obiettivo, più modestamente, mira a sensibilizzare, informare e, al contempo, offrire ulteriori fonti e spunti per un approfondimento senza dubbio essenziale.