E’ stato da poco pubblicato il
programma completo della quinta conferenza internazionale di ricerca sull’impresa sociale organizzata dal
network europeo Emes. Un evento “monstre” (5 sessioni plenarie, 53 sessioni parallele, 7 panel, 28 poster) che promette di riallineare la ricerca rispetto ai temi caldi delle policy. Per conferma basta guardare al titolo: building a scientific field to foster the social enterprise eco-system. In parole povere: aumentare l’impatto della conoscenza scientifica rispetto alle politiche di sviluppo del comparto, in piena coerenza con le linee guida strategiche (e di finanziamento) della ricerca in Europa da qui al 2020. (Scopri di più su:
http://irisnetwork.it/2015/06/emes-conference-social-enterprise-ecosystem/)
La presenza di Iris Network sarà garantita da ricercatori e membri del board che avranno in modo di contribuire al dibattito e di cogliere “in presa diretta” l’effettiva capacità / volontà della comunità scientifica europea di processare le sollecitazioni provenienti dalla base e dai policy makers.
In attesa di rimandi circostanziati è possibile ricavare dalla lettura del programma (argomenti delle sessioni, titoli dei papers, ambiti disciplinari, provenienza geopolitica) alcune suggestioni rispetto ai temi forti della conferenza e a quelli che invece sembrano occupare una posizione marginale. Un elenco non definitivo che mischia questioni metodologiche e oggetti di ricerca.
1) Questione di metodo (comparativo). Non c’è ombra di dubbio che chi si occupa di impresa sociale è chiamato a sviluppare (o affinare) metodologie di natura comparativa. La conferenza infatti abbonda di sessioni che hanno l’obiettivo di cogliere peculiarità ed elementi costitutivi dell’impresa sociale attraverso comparazioni su uno spettro sempre più ampio e variegato rispetto a modelli, settori, territori, ecc.
2) Narrazioni comunitarie. Altra questione ricorrente nelle sessioni è il ruolo delle organizzazioni della società civile (più o meno strutturate) nel sostenere progetti di imprenditoria sociale. Il carattere “grassroot” dell’impresa sociale è soprattutto analizzato attraverso casi studio volti a cogliere le peculiarità più che a definire un quadro d’insieme. In altri termini se si è alla ricerca di nuovi modelli o approcci al fare comunità dentro queste imprese si rischia di rimanere delusi. Con una parziale, ma significativa eccezione: le comunità che si infrastrutturano lungo le reti di co-produzione di beni di interesse collettivo (come nel caso delle cooperative e imprese energetiche a cui sono dedicate un paio di sessioni).
3) Condizioni ambientali. L’enfasi sull’ecosistema induce a fissare l’attenzione della ricerca sulle variabili esogene che possono favorire o limitare lo sviluppo dell’impresa sociale. Si tratta di indicazioni importanti, anche rispetto alla regolazione normativa del settore che forse, in questi anni, è stata disegnata guardando troppo alle peculiarità organizzative e meno ad altri fattori di contesto abilitanti (ad esempio l’assetto dei servizi pubblici).
4) Il convitato tecnologico. Poco o quasi nulla sul rapporto tra nuove tecnologie e impresa sociale. Forse per qualcuno è una buona notizia considerata l’enfasi sull’impact technology, però è fuor di dubbio che esistono molte tecnologie mature (e accessibili) che potrebbero incrementare l’efficacia delle imprese sociali e, al tempo stesso, potrebbero favorire una più consapevole cultura d’uso di strumenti che, in vario modo, incorporano valore sociale. Parlarne alla prossima conferenza – tra due anni – potrebbe essere troppo tardi.