La misurazione dell’impatto sociale è un tema sempre più attuale. Ma non è un’impresa facile, come dimostrano alcune esperienze internazionali. In Italia, a indicare un percorso di studio e condivisione potrebbero essere le fondazioni erogative, grazie alle loro particolari caratteristiche. (Scopri di più su: http://www.lavoce.info/archives/34852/impatto-sociale-per-misurarlo-serve-laiuto-delle-fondazioni/)

Francesca Calò e Elisa Ricciuti


Impatto sociale: tutti ne parlano

Due anni fa, in Gran Bretagna, si era provato a inserire la misurazione del valore sociale nella definizione dei contratti tra pubblico e privato, attraverso il cosiddetto Social Value Act. Ora, la sperimentazione su cui il provvedimento si basava non verrà rinnovata per ragioni che risiedono nella mancata risoluzione di questioni di fondo.

Anche nel nostro paese il tema della creazione di valore sociale è tutt’altro che nuovo, ma riceve ora particolare attenzione in virtù della riforma del terzo settore, che ha promosso la discussione sull’“impatto sociale misurabile” (senza definirlo) come criterio per la definizione di impresa sociale. Il vasto mondo del non profit è coinvolto in prima linea nel dibattito, per via dei progetti che finanzia o gestisce e anche perché “impatto sociale” sembra essere diventata una sorta di parola magica nel mondo della finanza sociale.


Quante sono le fondazioni italiane

Poco si parla, invece, del ruolo che la filantropia istituzionale può ricoprire in questo ambito. Il panorama filantropico italiano è dei più vari e frammentati: dai più recenti dati Istat si ricava che nel 2011 esistevano 6.220 fondazioni attive, delle quali però si sa poco o nulla. Molte sono “enti di erogazione” di cui non si conoscono attività, governance e destinazione dei finanziamenti. Sotto il cappello di “fondazioni” si raccolgono numerose organizzazioni che variano per dimensioni, natura (bancarie, di comunità, di impresa, familiari, individuali) e funzioni (erogative e operative).

Le fondazioni erogative hanno vantaggi comparativi specifici rispetto ad altre organizzazioni, sia pubbliche che private. Da un lato, libere da vincoli politico-elettorali, possono operare con una visione a lungo termine; dall’altro, libere da logiche di profitto, possono permettersi di utilizzare – e rischiare – il proprio capitale in ottica sperimentale, evocativa, anticipatoria. Ciò che in particolare distingue le fondazioni erogative è proprio la presenza di capitale accumulato, che tuttavia le porta a dover difendere sempre di più gli spazi di legittimità e autonomia legati alla propria attività, finanche la propria ragione di esistere, sotto la crescente pressione di accountability sull’impatto sociale dei progetti finanziati e sulle modalità con cui vengono selezionati e comunicati alla comunità.


La misurazione dell’impatto

Alcune tra le maggiori fondazioni nordamericane investono già da tempo nella misurazione dell’impatto dei progetti finanziati, come la fondazione Bill & Melinda Gates, che ne fa un elemento fondante della propria theory of change, o la Fondazione Rockefeller, che la include nel processo di identificazione dei propri tipping points. Il modello britannico del Wellcome Trust, la più grande fondazione europea e la seconda fondazione erogativa al mondo, si basa in larga misura sugli stessi beneficiari degli investimenti, considerati i primi interlocutori nella conoscenza e nella misurazione di ciò che si intende per impatto.

Per il nostro paese, una recente ricerca del Cergas Bocconi mostra come solo dodici delle novantasette fondazioni italiane – tra fondazioni d’impresa, familiari e di comunità – citino almeno una delle parole “bisogni”, “valutazione” o “impatto” nei loro documenti programmatici o nei regolamenti per l’erogazione dei finanziamenti. Sette affermano invece di avere una metodologia per la valutazione di impatto dei progetti finanziati, una propone un sofisticato modello di misurazione, mentre altre rimandano a principi come “sostenibilità” o “sussidiarietà” senza definirli ulteriormente. Dal campione della ricerca, tuttavia, sono escluse le fondazioni bancarie, che invece hanno avviato alcuni tentativi in tema di misurazione di impatto.

Misurare l’impatto sociale dei progetti finanziati è un esercizio oneroso, possibile solo con una visione a lungo termine, che ancora necessita di sperimentazione. Qui non si vuole sostenere che tutte le fondazioni erogative, senza distinzioni di sorta, debbano investire in questo percorso, i loro vantaggi comparativi fanno però sperare in un loro ruolo più attivo, che possa andare ben oltre quello di “banche filantropiche”. Poiché sono in grado di promuovere approcci sperimentali, basati su una visione forte della partecipazione e della condivisione con i territori del concetto stesso di impatto e delle metodologie di misurazione, perché non pensare alle fondazioni come principale partner del settore pubblico nella promozione di questo “lungo viaggio”?

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