«Il problema non è il capitalismo del 21esimo secolo, ma le politiche che si mettono in campo». L’eccezionale astensionismo che ha caratterizzato le elezioni regionali e amministrative appena concluse può essere letto anche attraverso a questa riflessione, con la quale il premio Nobel per l’economia Jospeh Stiglitz ha suggellato la propria partecipazione al Festival dell’Economia di Trento.
In anni di crisi ci preoccupiamo molto della qualità della nostra economia, comprensibilmente. A rimanere ancora più indietro però è la qualità della nostra democrazia. I tempi e gli spazi di quest’ultima paiono ormai troppo lenti e ristretti per poter star dietro alla dimensione della finanza globale, che difatti detta legge. Un arbitrio, è bene non dimenticarlo, che gli è comunque derivato da decisioni e deregulation politiche.
La lotta di classe non è un tema da Giurassico della politica, ma anzi neanche troppo sotto traccia è possibile ormai affermare che esiste ed ha dei vincitori, i più ricchi. «Oggi la ricchezza – ha ricordato dal palco trentino la rock star dell’economia Thomas Piketty – cresce assai più in fretta nelle mani di pochi rispetto alla moltitudine. In Italia, ad esempio, in questo periodo la ricchezza privata cresce più in fretta di quanto stia calando il debito pubblico. Ci sentiamo in colpa, nella nostra Europa, per la montagna di debito pubblico che lasciamo in eredità alle future generazioni, ma non va dimenticato che lasceremo anche un sacco di ricchezza privata.
I Paesi europei sono ricchi, sono i nostri governi che sono poveri. Anche se il governo italiano dovesse vendere tutti i beni pubblici, questo non basterebbe per rimborsare il debito pubblico; non consiglio di vendere i beni pubblici, ma dobbiamo sapere che in un certo senso lo stiamo già facendo, perché quando si pagano interessi che sono più alti del valore del bene significa che in pratica lo stiamo già facendo».
Per affrontare tale realtà dei fatti fare affidamento sulla politica monetaria, come si è decisa a fare anche la Bce, non basta. Il buco nero della disuguaglianza inghiotte pure il quantitative easing, accaparrandosene la maggior parte dei vantaggi.
Reddito minimo e interventi keynesiani per raggiungere la piena occupazione sono già idee consolidate, ma ancora di minoranza in Italia e (per quanto riguarda la seconda) in Europa. Gli sfiduciati della politica che hanno disertato le elezioni, coincidono per buona parte con i reietti dalla società dei consumi, coi poveri e i disoccupati. Una grande massa silenziosa che non ha più catalizzatori politici, ma che è già suo malgrado maggioranza: contro la disuguaglianza, ancora una volta il principale antidopo rimane la democrazia.
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