Il “borgo” non rappresenta più una scelta individuale, “bucolica” per una vita migliore, ma potrebbe diventare un modello di vita per intere collettività con precise caratteristiche e finalità: una di queste è senza dubbio la diminuzione costante e sempre più estesa dell’utilizzo del denaro negli scambi economici. (Scopri di più su: http://www.benecomune.net/articolo.php?notizia=1873)

Piero Bargellini

Per parlare di “prezzo” e “utilità” occorre tenere presenti le mutazioni profonde che ha generato la finanziarizzazione dell’economia, e, come di solito accade, la sua crescita esponenziale, altrettanto velocemente, ha prodotto anche gli anticorpi in grado di aggredirla.

Noi che siamo nati a cavallo di due secoli continuiamo sempre a ritenere che il valore di ogni bene sia rappresentato in definitiva dal prezzo che siamo disposti a pagare: è il fondamento dell’economia classica (marginalista). Se abbiamo fame, l’utilità del pane è molto alta e con essa anche il valore che gli attribuiamo; al contrario se abbiamo già due chili di pane nella dispensa, diamo una scarsissima utilità ad un pane aggiuntivo e non lo compriamo. In sostanza il valore di ogni bene è la rappresentazione delle singole utilità di ognuno, semplicemente sommate.

Lo scambio di due beni avviene quando le utilità dei due soggetti trovano un punto in comune e tale scambio avviene (o avveniva?) attraverso la mediazione della moneta e quindi della finanza, la quale, un tempo faceva parte della categoria dei servizi che, appunto, dovevano supportare l’incremento degli scambi di beni e la produzione. Da qui l’idea, a cui fino ad oggi abbiamo creduto ciecamente, della subalternità della finanza all’economia reale e il prezzo dei beni ne fissava l’utilità del singolo.

Oggi, questa costruzione logica, apparentemente perfetta, è ancora vera? La finanza ha assunto una dimensione tale per cui vive di luce propria, vive in quanto la moneta stessa è il bene primario e non è più lo strumento di mediazione necessario allo scambio di beni; le parti si sono invertite. Nel mondo, 9 transazioni su 10 hanno natura puramente finanziaria, solo una ha un controvalore di beni o servizi; lo strapotere della finanza è di tutta evidenza. Il denaro è diventato una merce esso stesso ma con una caratteristica che lo distingue da tutte le altre: non ha bisogno di null’altro che di se stesso. Non di lavoro, non di materie prime, non di leggi, e neppure dello Stato, in esso si identifica il concetto di “potere” del nuovo secolo, mentre ancora nel ‘900 la raffigurazione del “potere” era rappresentata dai capitani industriali; i “padroni del vapore” sono stati soppiantati dai finanzieri.

Il denaro vale più delle merci, così queste hanno perso il loro originario valore di scambio, espresso in moneta, a vantaggio del denaro; con le merci ha perso valore l’economia reale e con essa il lavoro. Di contro tutto è subordinato alla finanza: economia reale (delle cose), lavoro, legislazione, organizzazione sociale, la stessa vita delle persone e degli Stati. A seguito di questo processo l’identificazione del concetto di utilità con quello di prezzo si è definitivamente rotta: l’utilità del bene è rimasta costante, ma è diminuito il valore dei beni reali espresso in denaro e con esso anche il prezzo del lavoro necessario per la fruibilità del bene stesso.

Tuttavia, proprio perché l’utilità dei beni è rimasta inalterata ed il prezzo è diminuito, non conviene più attuare lo scambio utilizzando la mediazione della moneta, che, come dicevamo, ha assunto un valore superiore a quello del bene; diventa invece più conveniente l’autoproduzione, il baratto e l’utilizzo di altre forme para-monetarie di cui c’è un gran fiorire in tutto il mondo.

Con l’autoproduzione si ha un ulteriore vantaggio di non poco conto: poiché lo scambio avviene senza la mediazione monetaria, non esiste la contabilizzazione dello scambio stesso e quindi non esiste né la rilevazione, né l’imposizione fiscale. Quanti ortaggi mangiano gli italiani? Siamo sicuri che le rilevazioni Istat siano rispondenti al vero? Oppure una fetta sempre maggiore di persone attua l’autoproduzione che sfugge ad ogni rilevazione ma lascia inalterata l’utilità?

Ormai l’autoproduzione di energia elettrica o di acqua calda sul tetto di casa si calcola che sia l’equivalente di almeno quattro vecchie centrali termoelettriche. Anche in questo caso non c’è scambio monetario, quindi niente fiscalità, niente contabilizzazione con la conseguente contrazione nominale del Prodotto interno lordo, ma l’utilità che il singolo ne trae è la stessa, anzi maggiore, rispetto a comprare l’energia pagandola in denaro. Stesso ragionamento vale per milioni di famiglie che si riscaldano direttamente con la legna del bosco e la domanda è in aumento costante; si estende la cessione di benefit non monetari come pagamento di prestazioni lavorative. Tre piccoli esempi che testimoniano la diminuita circolazione monetaria per molte tipologie di beni che in questa sede sarebbe troppo lungo elencare e una apparente diminuzione del Pil, ma una uguale se non maggiore utilità per strati sempre più larghi di cittadini.

Tuttavia l’autoproduzione e lo scambio di merci è possibile che si sviluppi solo a certe condizioni:
  • un livello tecnologico maturo che consenta la comunicazione rapida
  • una distribuzione della popolazione diffusa su tutto il territorio e non concentrata in poche aree urbane
  • una tipologia abitativa che abbia due caratteristiche principali: la contiguità o la vicinanza ad aree verdi utilizzabili e abitazioni mono o bi-familiari.
  • una diffusa proprietà della casa
  • un concentramento in piccoli borghi ben identificabili e di cui ognuno si senta membro attivo della comunità.
Tutte queste caratteristiche sono presenti in Italia e questo è il motivo principale del trasferimento in 40 anni di ben 10 milioni di persone dai centri urbani ai borghi circostanti. Il 16% della popolazione italiana si è trasferito in un flusso costante e silente che ancora non viene percepito. Tutto ciò si va ad aggiungere ad una già scarsa urbanizzazione rispetto agli altri paesi europei. Riferisce l’Istat che nel 1971 il 21% della popolazione viveva nelle grandi città, nel 2011 solo il 16,6% e la fuga sta continuando.

Il trasferimento di popolazione è il miglior indice di “speranza di benessere” che possiamo osservare. Tale trasferimento non ha solo una valenza sociologica, ma anche economica e si avvia a trasformarsi in culturale e politica.

Il “borgo” non rappresenta più una scelta individuale ed in fondo “bucolica” per una vita migliore, ma potrebbe diventare un modello di vita per intere collettività con precise caratteristiche e finalità: una di queste è senza dubbio la diminuzione costante e sempre più estesa dell’utilizzo del denaro negli scambi economici. Per ora è solo un campanello di allarme per i magnati della finanza, ma potrebbe diventare qualcosa di molto più pericoloso nel lungo periodo.

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