Enrico Letta: «Che errore la scelta di abbandonare il nucleare Ma non è tutto perduto» ROMA - Corrado Clini, direttore generale del ministero dell'Ambiente, assicura che tutto sarà risolto entro febbraio. Il deferimento dell'Italia alla Corte europea di giustizia (insieme a Francia e Germania) per i ritardi nell'attuazione degli obblighi del Protocollo di Kyoto rischia tuttavia di creare in Italia un nuovo grosso problema. Il decreto che porterà al piano nazionale delle emissioni entro febbraio richiamato da Clini forse potrà soddisfare Bruxelles, ma rischia di non essere risolutivo. Perché dietro il problema tecnico, la normativa per la creazione del mercato nazionale delle emissioni in ritardo, ci sono palesi difficoltà economiche e dunque politiche. Il Protocollo per la riduzione delle emissioni nocive che entra in vigore il 16 febbraio, accettato dall'Italia e dall'Unione Europea, poi dal Giappone e dalla Russia, ma non dagli Stati Uniti e dall'Australia che si rifiutano di farlo, rischia infatti di costare moltissimo all'industria e ai consumatori italiani, attraverso le bollette energetiche. Sicuramente di più, data la nostra struttura industriale, di quanto non costerà agli altri paesi europei. «Da 0,3 a 0,4 punti di pil l'anno, cioè 5 miliardi di euro» ha detto ieri all'Aspen Institute l'amministratore delegato dell' Enel, Paolo Scaroni. Un conto molto salato per onorare l'impegno preso dall'Italia con l'adesione al Protocollo di ridurre del 6,5% le proprie emissioni inquinanti rispetto ai valori del '90. Cifre rispetto alle quali le sanzioni che rischiano a partire da marzo circa mille imprese italiane per il mancato avvio del mercato «dei fumi» potrebbero sembrare trascurabili. Nella maggioranza cresce il dubbio di essersi imbarcati in un'impresa improba. «Il trattato di Kyoto o è globale o non è. Peggio, è controproducente perché nuoce all'economia dei paesi che lo applicano. Un fenomeno che ha origini globali non può essere risolto localmente» ha detto ieri, sempre all'Aspen, il vicepresidente di Forza Italia, Giulio Tremonti. L'opposizione, che attribuisce a sè stessa e a Romano Prodi il merito dell'entrata in vigore del Protocollo, teme il peggio e accusa il governo. «Ha ratificato il Protocollo, ma si comporta come se non ci fosse» dicono i Ds. Mentre Enrico Letta della Margherita lancia una provocazione: «Fu un errore abbandonare il nucleare» ma sarebbe «un errore ripartire oggi da capo». Il nucleare comunque non è perduto perché «esiste la possibilità di lavorarci fuori dall'Italia nella logica degli accordi internazionali». Mario Sensini Corriere della Sera, 20 gennaio 2005

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