La riforma del Terzo Settore attua finalmente l’art. 118 ultimo comma anche sul piano legislativo. (Scopri di più su: http://www.labsus.org/2015/05/il-terzo-settore-trova-il-suo-ancoraggio-nella-sussidiarieta-e-interesse-generale/)

Gregorio Arena

Se la missione dei soggetti che compongono il Terzo Settore consiste nell’attuare la sussidiarietà mediante attività di interesse generale, si può ragionevolmente sostenere che fra tali attività rientrano anche quelle di cura dei beni comuni materiali e immateriali.

Il disegno di legge delega sulla riforma del Terzo Settore deve ancora completare il suo iter parlamentare, ma una cosa è già chiara. Quando la riforma sarà approvata, essa rappresenterà quella legge attuativa del principio costituzionale di sussidiarietà che finora mancava per completare il sistema delle fonti in questa materia.

Dal 2001 al 2014 il principio di sussidiarietà è stato presente nel nostro ordinamento unicamente attraverso l’art. 118, ultimo comma della Costituzione. Da quel momento e fino all’anno scorso il principio di sussidiarietà è stato inconsapevolmente applicato da migliaia di cittadini, come dimostrano i casi pubblicati nel nostro sito, ma è stato invece ignorato sul piano istituzionale, perché la carenza di fonti normative diverse dalla Costituzione ne rendeva assai difficile l’applicazione da parte delle amministrazioni pubbliche, in particolare di quelle locali.


Finalmente una legge sulla sussidiarietà

Labsus ha cercato di supplire a questa carenza redigendo insieme con il comune di Bologna il Regolamento sull’amministrazione condivisa, che dal febbraio 2014 ad oggi è stato adottato da 40 comuni, mentre altri 70 lo stanno adottando. Ma, per quanto un regolamento comunale possa essere un ottimo strumento sul piano operativo, una legge ovviamente è un’altra cosa, tanto più una legge che ambisce a disciplinare un intero, importantissimo settore della nostra società come quella sul Terzo Settore ora in discussione. E gli effetti dal punto di vista dell’attuazione del principio di sussidiarietà saranno ancora più significativi quando saranno emanati i decreti delegati.

La riforma del Terzo Settore può dunque essere letta anche come uno dei modi con cui lo Stato “favorisce”, come dispone l’art. 118, ultimo comma, le “autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale”, creando quegli strumenti legislativi che finora sono mancati. Ciò non soltanto faciliterà l’applicazione del Regolamento sull’amministrazione condivisa, che da un certo momento in poi potrà fare riferimento sia alla Costituzione, sia ad una o più leggi, ma produrrà alcune conseguenze importanti dal punto di vista della individuazione dei soggetti che compongono il mondo del Terzo Settore.


Gli incerti confini del Terzo Settore

Le discussioni che a volte si ascoltano nei convegni su quali siano i criteri per individuare i soggetti che fanno parte del Terzo Settore e quelli che ne sono fuori ricordano molto le discussioni fra i giuristi del secolo scorso sui criteri per individuare gli enti pubblici. Comunque, per quanto criteri si potessero affastellare, qualche ente rimaneva sempre fuori.

La verità è che il mondo del Terzo Settore (così come a suo tempo quello degli enti pubblici) è una galassia così variegata, così frastagliata, così complicata da rendere molto difficile creare una griglia di criteri distintivi capace di contenere al suo interno tutti i soggetti del Terzo Settore italiano.

Ma adesso il legislatore nel disegno di legge offre una definizione del Terzo Settore che fa perno su un criterio cruciale, il perseguimento dell’interesse generale: “Per Terzo Settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità” (art. 1, comma 1°).


Un’endiadi per identificare il Terzo Settore

Il Terzo Settore è un “complesso” di “enti”. Ente vuol dire letteralmente “ciò che è”, quindi il Terzo Settore è un complesso di entità, di soggetti che hanno tre caratteristiche fondamentali: sono soggetti privati, perseguono finalità civiche e solidaristiche e lo fanno senza scopo di lucro.

Le tre caratteristiche sono tutte e tre essenziali e l’una rinvia all’altra, per cui se ne manca anche soltanto una l’ente non appartiene al Terzo Settore.

Innanzitutto, la precisazione che i soggetti del Terzo Settore sono privati è importante perché le finalità che essi perseguono sono più simili agli obiettivi assegnati dalle leggi alle pubbliche amministrazioni che non a quello che perseguono i soggetti privati che operano sul mercato, cioè il profitto nell’ambito di un sistema fondato sulla concorrenza.

Detto in altri termini, gli enti del Terzo Settore sono soggetti privati particolari, che operano per finalità molto diverse da quelle degli altri soggetti privati, cioè per “finalità civiche e solidaristiche”.

L’espressione “finalità civiche e solidaristiche” è un’endiadi, cioè una figura retorica che si usa per esprimere una cosa sola con due termini. In questo caso i due termini rinviano a due concetti distinti ma complementari, che insieme danno appunto vita ad un concetto unico, quello che identifica la finalità complessiva del Terzo Settore.


Finalità civiche e solidaristiche

Il primo termine, finalità civiche, fa riferimento a ciò che è proprio del buon cittadino. Si parla infatti di senso civico, di civismo, di educazione civica, di benemerenze civiche per identificare comportamenti e sentimenti positivi, che identificano coloro che stanno nella comunità in maniera rispettosa delle regole e delle esigenze degli altri. Sotto questo profilo, i volontari sono sicuramente buoni cittadini, dotati di senso civico in abbondanza, quindi affermare che il Terzo Settore persegue finalità civiche è coerente con ciò che i volontari sono e fanno.

Il secondo termine dell’endiadi, finalità solidaristiche, è fondamentale per integrare e completare il primo termine dal punto di vista dell’appartenenza al Terzo Settore, perché si può essere buoni cittadini, dotati di molto senso civico, senza necessariamente essere anche solidali. Le finalità solidaristiche sono quelle che distinguono i volontari (e dunque il Terzo Settore) dagli altri cittadini, perché se c’è un tratto distintivo del volontariato questo è appunto la solidarietà verso i membri della comunità in condizioni di difficoltà.


Finalità di interesse generale

Gli enti che compongono il Terzo Settore sono dunque soggetti privati dotati di senso civico e di spirito di solidarietà, due caratteristiche entrambe non egoistiche. Tant’è vero (e questa è la terza caratteristica fondamentale che secondo il legislatore identifica il Terzo Settore) che questi soggetti privati agiscono senza scopo di lucro.

Si può quindi dire che il Terzo Settore è un complesso di soggetti privati costituiti in maniera specifica per perseguire senza scopo di lucro finalità civiche e solidaristiche che, in quanto non egoistiche, sono di interesse generale. Detto in altri termini, il Terzo Settore è composto da soggetti privati che, a differenza degli altri soggetti privati, perseguono l’interesse generale, non il proprio interesse, inteso come interesse sia delle associazioni del Terzo Settore sia delle persone che ne fanno a vario titolo parte.

Non sempre purtroppo questo è vero, perché per una legge “naturale” delle organizzazioni qualunque struttura, grande o piccola, prima o poi tende a diventare autoreferenziale, cioè a dare la priorità agli interessi di chi opera al suo interno rispetto a quelli di coloro i cui interessi l’organizzazione dovrebbe tutelare. Vale per i ministeri come per gli ordini religiosi, ma vale anche per le organizzazioni del Terzo Settore.


Cittadini attivi strutturali

L’ancoraggio all’interesse generale diventa quindi ancora più importante per evitare che i soggetti del Terzo Settore perdano di vista il motivo per cui esistono. E infatti forse non a caso il legislatore ribadisce questo ancoraggio nella seconda parte della definizione, dove afferma che tali soggetti “… in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità”.

Dire che i soggetti del Terzo Settore attuano il principio di sussidiarietà promuovendo e realizzando attività di interesse generale è come dire che questi soggetti sono cittadini attivi che applicano l’art. 118 ultimo comma della Costituzione. E poiché lo fanno non in forma temporanea o contingente, come potrebbe farlo un comitato informale di cittadini in un quartiere, ma “in coerenza con i propri statuti”, quindi in maniera strutturale, si potrebbe concludere dicendo che attuare la sussidiarietà mediante attività di interesse generale è la missione dei soggetti che compongono il Terzo Settore.


Si conferma l’assetto tripolare

Questa conclusione porta a due conseguenze rilevanti. In primo luogo, è un’ulteriore conferma di quanto dicevamo in un editoriale nel giugno del 2014 a proposito del possibile passaggio della società italiana dalla tradizionale bipolarità Stato-mercato (interesse pubblico-interesse privato) ad un assetto tripolare, in cui oltre ai soggetti portatori di interessi pubblici e di interessi privati entrano in gioco anche i soggetti portatori dell’interesse generale, cioè, nella nostra interpretazione dell’art. 1 della riforma, i soggetti che compongono il Terzo Settore.

La seconda conseguenza riguarda le attività di cura condivisa dei beni comuni, attualmente disciplinate solo dal Regolamento che Labsus sta promuovendo da mesi. Se la missione dei soggetti che compongono il Terzo Settore consiste nell’attuare la sussidiarietà mediante attività di interesse generale, si può ragionevolmente sostenere che fra tali attività rientrano, oltre a quelle di cura delle persone in condizioni di disagio tradizionalmente svolte dal Terzo Settore, anche quelle di cura dei beni comuni materiali e immateriali.

Se questo è vero, la legge di riforma del Terzo Settore e i relativi decreti attuativi potranno nel sistema delle fonti porsi “a monte” del Regolamento, fornendo una ulteriore legittimazione, questa volta sul piano legislativo, al modello dell’amministrazione condivisa.


Cosa manca per la cura dei beni comuni

Per rafforzare tale legittimazione sarebbe però necessario integrare l’art. 5, comma 1° del disegno di legge delega, riguardante le attività di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso, con un riferimento esplicito alle attività di cura dei beni comuni. Questo articolo contiene infatti un elenco dettagliato di principi e criteri direttivi per il riordino e la revisione organica della disciplina vigente sul Terzo Settore. Fra questi, sarebbe opportuno introdurre un ulteriore principio che preveda la promozione nell’ambito del Terzo Settore delle attività di cura condivisa dei beni comuni materiali e immateriali, in quanto beni delle comunità locali di cui esse possono godere ma di cui sono responsabili nei confronti del resto dell’umanità, presente e futura.

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