Le previsioni economiche tra il 2015 e il 2017 offrono un quadro meno buio sulla situazione. Il peggio è passato?

Scritto da Andrea Casavecchia

Il prodotto interno lordo dovrebbe tornare a crescere dopo gli anni di depressione che abbiamo vissuto. Calcola l’Istat che ci sarà una progressione dal +0.7 del 2015 al +1.3 del 2017. Certo non abbiamo il passo dei migliori visto che gli Usa prevedono una progressione del 2,8%, l’area Euro nel suo complesso per l’anno in corso 1,6%.

È come se, mentre noi fossimo impegnati nell’inversione di marcia, i nostri compagni di viaggio fossero già sull’altra carreggiata della strada nella corsia di sorpasso.

Il miglioramento è dovuto alle mutate condizioni globali che vede un rallentamento dei Paesi di nuova industrializzazione (Cina, Brasile e così via) e una crescita dei Paesi cosiddetti avanzati. Così anche l’Italia si accoda al cambiamento del clima.

C’è stata, inoltre, una combinazione favorevole: diminuzione del costo delle materie prime, diminuzione del valore dell’Euro che aiuta le nostre esportazioni e allevia il peso sui conti del nostro debito. Entrambe i fattori hanno sostenuto la ripresa della spesa delle famiglie.

Il lavoro però è ancora un’emergenza. Le stesse previsioni Istat ci dicono che perché il tasso di disoccupazione possa scendere sotto il 12% bisognerà attendere il 2017.

Nelle nostre condizioni l’inerzia non è sufficiente.

Mario Deaglio su La Stampa segnalava le difficoltà della ripresa.

Scrive l’economista: «per l’economia italiana, per ora, siamo soltanto in presenza di un rimbalzo non di una ripresa: la ripresa poggia su modificazioni virtuose dei meccanismi produttivi e distributivi, mentre il rimbalzo, tipico delle situazioni in cui poco o nulla cambia nella struttura dell’economia – ha di regola, una durata breve». Deaglio indica alcuni indizi dell’incapacità di cambiare:
  • La forza delle corporazioni, che emerge secondo l’autore anche dalla sentenza della Corte Costituzionale a favore dei rimborsi per le pensioni più alte;
  • La difesa del modello tradizionale di istruzione contro un tentativo di riforma;
  • L’emorragia di capitale umano che porta i giovani più brillanti a emigrare.
Perché si passi da rimbalzo a ripresa non sono sufficienti semplici tamponi, serve gettare le basi su un nuovo sistema. Anche Emanuele Ferragina, giovane docente di Oxford, in “Chi troppo chi niente” sottolinea che per una ripresa vera nel nostro Paese occorre contrastare le disparità socio economiche presenti nella nostra società: «In un paese in cui le disuguaglianze galoppano in molti settori della vita sociale ed economica ma non c’è crescita da più di un decennio, ridistribuire la ricchezza e le opportunità non costituirebbe un ostacolo allo sviluppo economico, ma significherebbe accrescere invece la coesione sociale e l’efficienza del sistema –paese».

Secondo Ferragina una ripresa sarà concreta quando si riformeranno gli ordini professionali, il sistema pensionistico, gli ammortizzatori contro la disoccupazione, una riforma dello Stato in chiave federale; la chiave di volta sarà nella capacità di affrontare due questioni capitali per il nostro paese: il gap generazionale e quello territoriale.

Altrimenti non potremo mai andare sulla corsia di sorpasso.

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