Da una collaudata griglia teorica emergono le soluzioni per far funzionare il Regolamento. Parte I. (
http://www.labsus.org/2015/04/sei-elementi-essenziali-per-costruire-lamministrazione-condivisa-1/)
Gregorio Arena
Proposte molto pratiche per costruire l’amministrazione condivisa, superando le resistenze e valorizzando tutte le risorse disponibili.
In qualunque organizzazione, pubblica o privata, piccola o grande, centrale o locale, sono sempre presenti sei elementi. E sono elementi strutturali, nel senso che se ne manca anche uno soltanto, l’organizzazione non può svolgere i propri compiti. Intorno a questi sei elementi sono costruite tutte le amministrazioni pubbliche, ivi comprese le amministrazioni locali.
L’amministrazione condivisa è un modello nuovo di amministrazione, con principi e strumenti nuovi. Ma laddove possibile, cerchiamo di applicare anche a questo nuovo modello i principi e gli strumenti del Diritto amministrativo tradizionale. Pertanto i sei elementi che nella teoria tradizionale devono essere presenti in ogni amministrazione possono costituire la griglia intorno a cui costruire anche l’amministrazione condivisa, applicando il principio costituzionale di sussidiarietà. Questi elementi sono: funzioni, organizzazione, procedure, personale, mezzi e comunicazione. In questo articolo esamineremo il ruolo fondamentale dei primi due, cioè le funzioni e l’organizzazione, nel buon funzionamento dell’amministrazione condivisa.
L’esame degli altri quattro elementi, onde evitare un’eccessiva lunghezza di questo articolo, già abbastanza lungo così, sarà rinviato ad un successivo intervento.
I cittadini, soggetti costituenti
Le funzioni nell’amministrazione condivisa sono svolte sia dai cittadini attivi sia dall’amministrazione. La sussidiarietà è infatti un principio relazionale e l’amministrazione condivisa, che di tale principio è la traduzione sul piano amministrativo, è anch’essa per definizione un modello fondato sulla collaborazione fra due soggetti, entrambi indispensabili affinché l’amministrazione condivisa possa esistere e quindi, di conseguenza, entrambi indispensabili affinché la sussidiarietà sia concretamente realizzata.
Sono infatti i cittadini e le amministrazioni (in particolare i comuni), i soggetti che fanno vivere quel principio e che dunque fanno vivere la Costituzione. Essi sono, a tutti gli effetti, soggetti “costituenti”, soggetti della Costituzione vivente. Ma, fra i due, quelli veramente indispensabili sono i cittadini.
Se infatti i cittadini non realizzano quelle “autonome iniziative per lo svolgimento di attività di interesse generale” di cui parla l’art. 118, ultimo comma, l’amministrazione pubblica non ha nulla da “favorire”, secondo quanto prescrive la Costituzione. Detto in altri termini, la sussidiarietà è un principio costituzionale che per vivere ha bisogno di noi cittadini. Se noi ci attiviamo, l’amministrazione pubblica può “favorire” le nostre attività di interesse generale e quindi la sussidiarietà vive e produce i suoi effetti.
Ma se noi non ci attiviamo, l’amministrazione da sola non può far vivere la sussidiarietà. Può e deve svolgere i propri compiti sulla base del paradigma tradizionale, ma questa è un’altra cosa rispetto all’amministrazione condivisa.
I cittadini attivi non svolgono funzioni amministrative
Quando i cittadini si attivano, non svolgono funzioni amministrative, ma risolvono problemi. Detto in altri termini, non si sostituiscono alle amministrazioni per svolgere funzioni attribuite ad esse dalle leggi, bensì individuano un problema che riguarda la comunità di cui fanno parte e, insieme con altri cittadini e con l’amministrazione, lo risolvono.
Da quanto s’è detto derivano due conseguenze. In primo luogo, che i cittadini attivi possono intervenire in qualunque campo e fare qualsiasi cosa sia utile alla comunità, salvo esercitare poteri pubblici. Non possono pertanto autorizzare, ordinare, proibire, concedere, sanzionare, né svolgere in generale attività che comportino l’uso del potere amministrativo.
In secondo luogo, potendo intervenire a tutto campo, quando i cittadini attivi si rapportano con l’amministrazione comunale non “rispettano”, per così dire, le sfere di competenza degli uffici. Se un gruppo di abitanti di un quartiere del centro storico propone al comune di prendersi cura di una piazzetta al cui interno c’è uno spazio verde, in questo loro intervento sono coinvolti diversi uffici, da quello che si occupa del centro storico al verde pubblico, dalla manutenzione degli arredi (panchine, etc.) al decoro, e probabilmente altri ancora.
Interessi pubblici e interesse generale, una tensione
Nell’amministrazione pubblica tradizionale, giustamente, ogni ufficio è responsabile per la tutela di uno specifico interesse pubblico. A volte si ha un’eccessiva frammentazione delle competenze con problemi di coordinamento fra i vari uffici, ma si tratta di una distorsione di un modello organizzativo che normalmente garantisce maggiore efficienza e professionalità.
Da un lato, dunque, ci sono uffici ciascuno dei quali è competente per il perseguimento di uno specifico interesse pubblico e solo di quello. Dall’altro ci sono cittadini che, intervenendo per curare i beni comuni del territorio in cui vivono, realizzano l’interesse generale.
Si crea una tensione nel rapporto fra i responsabili di uffici che per legge sono settoriali e cittadini che per loro natura possono intervenire a tutto campo. Ma il problema è solo organizzativo, non funzionale, perché in realtà anche l’amministrazione, nel suo insieme, persegue l’interesse generale.
Non scoraggiare i cittadini attivi
E qui infatti entra in gioco il secondo elemento strutturale, l’organizzazione dell’amministrazione condivisa, grazie alla quale la complessità della struttura amministrativa, inevitabile in un Paese avanzato come il nostro, non viene fatta gravare sui cittadini attivi. Questi ultimi infatti, come più volte abbiamo detto, non sono supplenti dell’amministrazione, bensì suoi alleati.
Non sono nemmeno amministrati, che si presentano di fronte all’amministrazione per ottenere l’emanazione di un provvedimento (un’autorizzazione, una concessione…), né utenti, che chiedono l’erogazione di un servizio. Non chiedono, danno. Portano risorse preziose in termini di tempo, esperienze, idee, competenze, relazioni.
Le portano all’amministrazione per collaborare nell’interesse generale, ma queste risorse non sono dell’amministrazione né per l’amministrazione, sono della comunità e per la comunità. I cittadini attivi si impegnano per vivere meglio, per sé stessi e per gli altri membri della comunità, non per “fare un favore” all’amministrazione, quindi non devono essere scoraggiati dall’impatto con la complessità della burocrazia comunale.
Lo sportello unico dell’amministrazione condivisa
L’amministrazione, come dispone la Costituzione, deve “favorirli”, facilitando la loro preziosa assunzione di responsabilità nell’interesse generale. E il modo migliore per favorirli, dal punto di vista organizzativo, consiste nel creare fra i cittadini attivi e gli uffici del comune un interfaccia amichevole, facile, semplice e intuitivo, come le icone che ormai costituiscono l’interfaccia con i nostri computer o smartphone.
L’interfaccia amichevole dei cittadini attivi con l’amministrazione comunale è un ufficio specializzato nei rapporti con i cittadini attivi. Una sorta di sportello unico dell’amministrazione condivisa, con un suo spazio ben visibile sul sito internet del comune e uno o più addetti formati in modo specifico per svolgere tale funzione di raccordo.
Se il comune è troppo piccolo oppure non ha personale sufficiente per potersi permettere un ufficio specializzato (caso ormai frequentissimo), si può applicare la logica dell’alleanza, tipica dell’amministrazione condivisa, anche a questo ufficio. Si può cioè immaginare un ufficio condiviso fra più comuni contigui, con personale preso a turno da ciascun comune.
Le RAC e gli uffici itineranti
Si stanno sviluppando in questi mesi in alcune realtà locali delle Reti per l’Amministrazione Condivisa (RAC) formate da comuni i cui territori comprendono beni comuni per i quali i confini amministrativi non hanno significato. Sono comuni che sorgono intorno allo stesso lago, oppure lungo lo stesso fiume, oppure in una valle ben delimitata, e così via. In questi casi si potrebbe creare un ufficio itinerante per l’amministrazione condivisa, con base presso il comune più grande, che periodicamente si installa negli uffici degli altri comuni della RAC e apre il suo sportello ai cittadini attivi degli altri comuni.
In realtà gran parte della procedura che porta alla sottoscrizione di un patto di collaborazione avviene online, attraverso il sito del comune. Ma è fondamentale garantire in ogni momento la possibilità di un incontro fra i cittadini proponenti e il funzionario preposto all’ufficio per l’amministrazione condivisa; per questo motivo l’ufficio, se gestito da più comuni insieme, deve essere itinerante.
Cittadini attivi anche fuori dal proprio comune
Da questa soluzione che sembra meramente organizzativa può derivare un’interessante modifica al Regolamento. Supponiamo che intorno ad un lago vi siano tre comuni, che tutti e tre adottino in contemporanea il Regolamento e decidano di dotarsi di un ufficio per l’amministrazione condivisa itinerante e gestito insieme da tutti e tre. A quel punto potrebbero introdurre nel testo dei rispettivi regolamenti una disposizione secondo la quale i cittadini del proprio comune possono stipulare patti di collaborazione per la cura dei beni comuni ricadenti nel territorio degli altri due comuni, rendendo così concretamente evidente quello che da tempo andiamo dicendo, cioè che i beni comuni non soltanto non hanno colore politico, ma nemmeno conoscono confini.
In sostanza, in questo caso vi sarebbero tre comuni con tre Regolamenti identici, un unico ufficio per i rapporti con i cittadini attivi e un unico grande oggetto di cura, i beni comuni presenti nel territorio di tutti e tre i comuni.
Un ufficio “condiviso” per l’amministrazione condivisa
Tornando all’ufficio per i rapporti con i cittadini attivi, la logica dell’alleanza si può applicare oltre che ai rapporti fra amministrazioni anche ai rapporti con le organizzazioni della società civile. Se infatti l’obiettivo del Regolamento consiste nel liberare le energie presenti nelle nostre comunità locali, allora perché non utilizzare parte di queste energie per far funzionare l’ufficio pubblico che ha un ruolo centrale nell’applicazione del Regolamento? In sostanza, perché non immaginare che tale ufficio sia anch’esso “condiviso” grazie alla presenza al suo interno di esponenti della società civile organizzata?
La presenza di organizzazioni del Terzo Settore in Italia è capillare, ovunque vi sono organizzazioni di volontariato i cui dirigenti potrebbero coadiuvare il funzionario responsabile dell’ufficio per i rapporti con i cittadini attivi nel comune in cui tali organizzazioni operano. Ovviamente le loro funzioni e le loro responsabilità andrebbero disciplinate con attenzione, anche per evitare l’assunzione di ruoli impropri o asimmetrie informative. Ma basterebbe per esempio prevedere una turnazione annuale nella presenza di tali dirigenti all’interno dell’ufficio, insieme con il massimo di trasparenza di tutte le attività, per ridurre tali rischi.
Ci vuole una legittimazione politica e amministrativa forte
Un altro aspetto essenziale dell’ufficio per i rapporti con i cittadini attivi riguarda la sua legittimazione politica e amministrativa. Che sia all’interno di un comune oppure, tanto più, se itinerante fra più comuni, è indispensabile che il responsabile di questo ufficio sia investito ufficialmente di poteri e rango tali da consentirgli di superare le inevitabili resistenze interne nei confronti dei patti di collaborazione e della loro attuazione.
Questo ufficio, come s’è detto, è (o meglio, dovrebbe essere) l’interfaccia amichevole fra i cittadini attivi e la complessità della burocrazia comunale. Ma se non ha poteri sufficienti a ottenere le risposte che i cittadini attivi si aspettano dall’amministrazione in cambio della propria disponibilità a prendersi cura dei beni comuni, il responsabile di questo ufficio rischia di essere stritolato fra la rabbia di cittadini delusi, da un lato e la resistenza di una burocrazia diffidente dall’altro.
Il responsabile dell’ufficio per i rapporti con i cittadini attivi dovrebbe essere in grado, una volta sottoscritto un patto di collaborazione, di ottenerne il rispetto non solo e non tanto da parte dei cittadini (che si suppone abbiano tutto l’interesse a rispettare gli impegni presi, visto che sono loro che hanno preso l’iniziativa), quanto da parte degli altri uffici del comune.
Per ottenere questo risultato è indispensabile, come s’è detto, una forte legittimazione da parte sia del vertice politico (sindaco e giunta), sia del vertice amministrativo (direttore generale). A tutti i dipendenti comunali deve essere spiegato molto chiaramente che l’attuazione del Regolamento e quindi la collaborazione con i cittadini attivi sono una priorità assoluta per i politici al vertice del comune, che su questo impegnano la propria credibilità al momento della rielezione.