In Italia il percorso che porta le nuove generazioni all’indipendenza rispetto alla famiglia d’origine ha subito un patologico allungamento dei tempi: le tappe fondamentali (fine degli studi, ingresso nel mondo del lavoro, formazione del nucleo familiare) sono posticipate sempre di più a causa dell’incertezza delle prospettive.

Scritto da Lorenzo Agostini (volontario SCN)

Nei Paesi mediterranei (Spagna, Italia, Portogallo e Grecia) per motivi di carattere culturale e socio-economico il rapporto di convivenza tra genitori e figli tende ad essere stretto e duraturo; contrariamente, nei Paesi nord europei (Gran Bretagna, Germania, Paesi Bassi, Svezia), con modelli di welfare più avanzati, i giovani hanno la possibilità di essere autonomi con largo anticipo.

Le condizioni economiche giocano senz’altro un ruolo fondamentale ma in Italia sono mancate per troppo tempo quelle politiche attive a sostengono dei giovani nella fase di entrata nel mondo del lavoro o tra un’occupazione e l’altra. Oggi le remunerazioni basse e discontinue impediscono di fare progetti di vita, mentre il mercato del lavoro è ingessato e poco dinamico, anche nei settori della ricerca e dello sviluppo tecnologico che riguardano i giovani più da vicino. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni nel 2014 in Italia ha raggiunto il livello record del 44,2%. Antichi clientelismi e processi di mobilità spesso assenti impediscono ai giovani di mettere in gioco le proprie competenze. Non c’è da stupirsi dunque se i Neet tra gli under 30 in Italia siano in costante crescita. Secondo l’Istat, nel 2013, in Italia oltre 2.435 giovani (il 26,0 per cento della popolazione tra i 15 e i 29 anni) risultano fuori dal circuito formativo e lavorativo, con un’incidenza più elevata tra le donne (27,7 per cento) rispetto agli uomini (24,4 per cento).

Il nostro sistema di welfare è nettamente squilibrato a scapito dei giovani e delle famiglie. Il mercato del lavoro è caratterizzato da un lato da bassi salari e rischi elevati per i giovani, dall’altro da una più marcata stabilità del posto di lavoro per i più anziani. Questa sperequazione rischia di disincentivare la formazione del capitale umano perché non premia l'istruzione e il talento: non sarà un caso che l’università italiana registra il tasso di abbandono tra i più alti dei paesi europei, con cifre sconfortanti soprattutto nel Meridione.

La recente crisi finanziaria ha acuito questi problemi producendo effetti disastrosi quali la mancanza di ridistribuzione della ricchezza e la cancellazione di migliaia di posti di lavoro. Se a questo poi aggiungiamo il fatto che l’Italia, assieme alla Grecia, continua a non avere una misura universale importante come il reddito minimo garantito (non adeguandosi così alla raccomandazione di Bruxelles sul sostegno pubblico ai disoccupati) il quadro appare ancora più preoccupante.

Secondo il Rapporto Giovani 2013 dell’Istituto Giuseppe Toniolo ben il 66,6% dei giovani percepisce la propria famiglia d’origine come “il rifugio dal mondo”. Questo dato, però, non deve portare alla semplicistica conclusione che ai “giovani bamboccini” non piaccia accogliere le sfide della vita, quanto piuttosto alla considerazione che molti di loro hanno assorbito il grande clima di sfiducia che caratterizza il nostro Paese. Diventa dunque cruciale offrire alle nuove generazioni un contesto in cui chi ha voglia di impegnarsi e voglia di fare abbia ragionevoli possibilità di farcela. Ma se la famiglia continua a rimanere l’unico paracadute a disposizione, è difficile che i giovani spicchino il volo.

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