Qualche considerazione su primavera araba, terrorismo di ritorno e ruolo
del Vecchio Continente dopo gli attacchi jihadisti di Tunisi. (
http://www.limesonline.com/la-tunisia-e-il-tempo-delle-scelte-in-europa/76477)
di Lorenzo Declich
Il vero obiettivo dei jihadisti
Il
commando, secondo le ricostruzioni, aveva provato a entrare in
parlamento. Non riusciendoci ha preso di mira il museo del Bardo, che è
adiacente al parlamento. Il dettaglio non è secondario. Le ipotesi su
una strategia precostituita mirante a colpire “il turismo”, pur
plausibile, troverebbe una parziale smentita se la ricostruzione fosse
valida. Piuttosto, come si ricorda da più parti, colpire luoghi simbolo
come il Bardo, notoriamente frequentati da turisti per lo più
occidentali, è nel DNA delle organizzazioni terroristiche di matrice
islamica fin dalla nascita del terrorismo qaidista. Questo è un segnale
che non può essere ignorato.
Chi è stato?
Via twitter
alcuni esponenti dello Stato Islamico si sono subito congratulati con
gli attentatori, ma era avvenuto lo stesso anche dopo la strage a
Charlie Hebdo: ciò fa parte, almeno per ora, del capitolo
“jihad elettronico”
e non dimostra che all’attentato corrisponda l’inizio di una serie di
operazioni preparate a tavolino che prendano di mira in particolare la
Tunisia. Ovviamente, l’ipotesi non deve essere scartata, viste le
minacce – provenienti da una formazione,
Ansar al-sharia,
che oggi si trova nel “regno di mezzo” nella battaglia per l’egemonia
fra al Qaida e lo Stato Islamico – apparse sul web prima dell’attentato.
Lo stile dell’attacco ricorda in molti punti
quello di Parigi
che, invece, è stato rivendicato da al-Qaida in Yemen. Lo differenzia
la genesi dell’individuazione dell’obiettivo – a Parigi la redazione di
Charlie Hebdo era da tempo nel mirino dei terroristi, al contrario del
Bardo – e la (probabile) affiliazione degli attentatori: militanti di
una brigata tunisina di al Qaida nel Maghreb Islamico di ritorno da
Siria e Iraq che però, gradualmente, come in molti altri teatri, si
avvicinano alle posizioni dello Stato Islamico.
L’altra
differenza, non da poco, è che c’è un arresto avvenuto sul luogo
dell’attacco. Avremo probabilmente dunque, a differenza di altri casi,
diverse risposte su queste domande, che dovremo valutare con cura.
Il terrorismo di ritorno
Le
agenzie di stampa battevano a poche ore dall’attacco la notizia secondo
cui nella periferia nord della capitale era stata sgominata una cellula
terroristica. L’operazione aveva dato come risultato l’arresto di 7
persone, alcune delle quali reduci dalla Siria. L’attività della
cellula, secondo le forze di sicurezza tunisine, era legata al
reclutamento. È possibile che l’attacco al Parlamento e al Bardo sia un
contraccolpo di questa operazione.
È presto per dirlo, ma sta di
fatto che in Tunisia, molto più che altrove, vediamo per la prima volta
in atto gli effetti del tanto discusso
“terrorismo di ritorno“: jihadisti partiti per la Siria e l’Iraq tornano nel loro paese e organizzano attacchi patria.
Al
di là di questo dato fondamentale, è proprio il DNA dei terroristi a
spaventare di più. Le pratiche dell’indottrinamento appaiono ormai
perfettamente oliate: gli obiettivi sensibili sembrano essere rilevati
dai terroristi con automatismo, i luoghi-simbolo sono identificati e
colpiti come seguendo un algoritmo. A questo si aggiunge un’esperienza
“militare” senza precedenti nella storia qaidista: i punti deboli sono
individuati in maniera precisa, le dinamiche degli attacchi sfruttano
scientificamente le falle della sicurezza di un paese che, come nella
nostra Europa, mostra di voler vivere la propria libertà anche tenendo
aperto un museo.
Tunisi chiama Europa
Ma la Tunisia
non è in Europa. La sua esposizione ad attacchi del genere è
infinitamente maggiore per diversi motivi. È vulnerabile: la sua
economia, a differenza dei paesi confinanti, non può contare sulla
rendita petrolifera e si espone sempre più alle intemperie del mercato
globale in termini di investimenti e di mercato del lavoro. La sua
democrazia è giovanissima e fragile, anche se determinata grazie a un
processo costituente tutto sommato solido.
In
questa prospettiva le partecipatissime manifestazioni di ieri a Tunisi
rappresentano un punto di speranza. Ma se davvero democrazia e libertà
sono valori fondanti, è venuto il momento per l’Europa di dare a questo
paese il supporto di cui ha bisogno e che merita. Se aveva senso dire
“Je suis Charlie”, adesso ha senso dire “Je suis Bardo”.
Non
basta lo schema del prestito internazionale, dell’aiuto economico, né
l’assistenza nel campo della sicurezza. Serve investire sulla dimensione
politica e connettere davvero la Tunisia all’Europa. Questo attacco ci
segnala, drammaticamente, che il tempo sta per scadere.