Ferrante: «Oggi siamo a un bivio. Nel Green Act del governo ci sia il recupero di materia».
di Francesco Ferrante
E’ stato presentato oggi a Milano – dalla Fondazione Symbola presieduta da Ermete Realacci, insieme al Gruppo Kinexia di Pietro Colucci – il rapporto “Waste End. Economia circolare, nuova frontiera del made in Italy”.
Un rapporto assai interessante, non solo per la consueta messe di numeri aggiornati che lì si trovano grazie al lavoro dei ricercatori che hanno lavorato al rapporto – tra cui Duccio Bianchi – ma perché si delinea un modello industriale di gestione dei rifiuti nel quale «l’obiettivo ‘rifiuti zero’ non è oggi solo un orizzonte culturale, lontano per alcuni, ma una possibilità tecnologica in grado di dare forza e competitività alla nostra economia» come si legge nelle prime righe della premessa del rapporto.
Tanto più interessante la proposta e il modello disegnato, per la fonte da cui proviene : Realacci che ha un’importante carica istituzionale, e Colucci che è alla guida del più importante gruppo privato attivo nel campo della gestione dei rifiuti.
Perché il modello “rifiuti zero”, se si esce dalla propaganda, può essere davvero perseguito e a portata di mano solo se si fanno scelte nette nelle politiche e se il sistema economico raccoglie fino in fondo la sfida della green economy che l’innovazione tecnologica – anche nel campo della gestione dei rifiuti – ha messo in campo.
Oggi siamo a un bivio: da una parte la conservazione che fa sì che ancora oggi quasi il 40% dei nostri rifiuti vadano sprecati e contribuiscano al consumo di territorio finendo in discarica, dall’altra la possibilità che grazie alla crescita della raccolta differenziata (che a livello nazionale ha superato il 40%) si possa percorrere la strada virtuosa del “recupero”.
Certo, se è vero che – come si dice nel rapporto – che il sussistere di (ormai) ingiustificati incentivi al recupero di energia e la presenza di inceneritori affamati di rifiuti (purchessia, anche tal quali) costituisce un ostacolo concreto allo svilupparsi del mercato del recupero di materia, andrebbero fatte scelte diverse – se non opposte – da quelle inserite, in questa materia nel recente Sblocca-Italia (in cui si voleva sbloccare l’ incenerimento a fini energetici). Forse invece una cosa che andrebbe messa nel Green Act – speriamo imminente – sono quelle facilitazioni per il recupero di materia che avevamo provato a inserire tra le norme sin già dalla scorsa legislatura.
Vanno invece valorizzate le esperienze positive – Milano metropoli europea con la più alta percentuale di raccolta differenziata, la tanto vituperata Ama di Roma che estende a 700.000 abitanti in due anni la raccolta differenziata “porta a porta” – e più in generale questi, come Waste End, che in maniera intelligente e integrata si pone l’obiettivo, di differenziare tutto – a partire dall’organico – e recuperare tutto, azzerando finalmente il ricorso alla discarica.
Certo, e su questo ci vuol e altrettanta nettezza anche tra gli ambientalisti , gli impianti di smaltimento vanno realizzati. Ad esempio quelli di digestione anaerobica con produzione di biogas (che può diventare, a seconda delle situazioni, biometano da immettere in rete, o fonte per la produzione di energia elettrica) non sono il diavolo, anzi andrebbero sostenuti dalle organizzazioni di cittadini interessate a una gestione sostenibile dei rifiuti che produciamo.
L’economia circolare è il nostro futuro. Prima la imbocchiamo meglio potremo rispondere anche alle sfide che la persistente crisi occupazionale ci pone dal punto di vista della giustizia e dell’equità sociale.
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