Condividere significa entrare o chiamare a far parte di una comunità, acquisire o trasmettere coscienza dei suoi valori, delle sue regole, dei significati degli strumenti che in essa vengono utilizzati. (http://www.labsus.org/2015/03/la-banale-imprescindibilita-della-condivisione/)

Antonio Putini

Volete una prova dell’imprescindibilità della condivisione? Semplice, state leggendo questi miei pensieri, che sono stato in grado di formulare ed esprimere attraverso un particolare codice condiviso che ci permette di comunicare. Quanti riflettono sulla potenza di quell’insieme di segni e foni legati a significati condivisi che rendono possibile la comunicazione? Quanti, al di fuori degli addetti ai lavori, sono soliti soffermarsi sul ruolo svolto dall’atto del condividere per quella modalità espressiva che chiamiamo lingua? Allo stesso modo, è solo condividendo una stessa interpretazione delle relazioni fra segni e suoni e fra segni e oggetti (materiali e immateriali) che musica e matematica possono essere considerati linguaggi globali.

Il mondo è un sistema di codici condivisi: la musica, la matematica, i linguaggi di programmazione, gli ordinamenti giuridici…ogni gruppo sociale, indipendentemente dalla sua numerosità, si fonda su insiemi di “regole” condivise. Condividere significa infatti entrare o chiamare a far parte di una comunità, acquisire o trasmettere coscienza dei suoi valori, delle sue regole, dei significati degli strumenti che in essa vengono utilizzati, fino a sviluppare linguaggi e atteggiamenti che permettono di essere riconosciuti da altri come simili.


Anche per competere c’è bisogno di condivisione

Musica, linguaggio, matematica, ma non solo…la condivisione è alla base di ogni fenomeno sociale, persino di quelli che, a prima vista, sembrano fondarsi su valori diametralmente opposti. Prendiamo, ad esempio, la dimensione agonistica, lo spirito competitivo che regna in una qualsiasi disciplina sportiva: pensate a una gara dei 100 metri, la prova regina dell’atletica. Cosa accadrebbe se un corridore partisse prima dello start, o si presentasse con un mezzo a motore per “facilitarsi” il compito di competere? Verrebbe escluso, dunque marginalizzato, per non aver osservato delle regole condivise.

Il mercato: l’istituzione per eccellenza dell’economia capitalista, inclusa la sua versione post-industriale, il capitalismo finanziario. Cosa rimarrebbe del mercato e della concorrenza se non si attribuisse un valore condiviso al medium simbolico che permette gli scambi, il denaro? Cosa accadrebbe se si alterassero le informazioni di società quotate compiendo un gesto deliberato di inosservanza delle regole condivise? Semplice, avremmo un altro caso Lehman Brothers o un nostrano caso Parmalat.


Fare a meno dell’imprescindibilità

In questa “artefatta” dicotomia fra competizione e condivisione, fra gioco a somma zero e gioco a somma positiva, finora ha prevalso nettamente il primo termine della diade, in forza di un’egemonia culturale tuttora agente che ha instillato nella società modelli umani – etici e comportamentali – pregni di richiami a una dimensione competitiva “alleggerita” dalla sua componente di condivisione. Competizione e aggressività hanno dunque finito con il dominare le rappresentazioni della politica, dell’economia e, più in generale, della società.

Questo modello di coesistenza competitiva e di sviluppo aggressivo tende a rimuovere alcuni fatti, a sminuire la centralità di alcune inclinazioni umane a favore di altre, a distogliere l’attenzione sulla loro presenza per mettere in risalto, al contrario, il lato più ferino delle interazioni, declinato nei canoni della contemporaneità attraverso la dimensione egotica, la supremazia dell’io rispetto al “noi”. Così nei modi e nelle forme con cui l’individuo percepisce la collettività accade un po’ quello che possiamo rintracciare per ciò che attiene la sua dimensione individuale: immerso in un’alienante quotidianità, affogato nelle sue routines competitive, l’individuo perde di vista la centralità di azioni e funzioni tanto banali quanto imprescindibili, di ordine vitale. Restituire un ordine appropriato al concetto di condivisione, all’interno di un sistema economico e culturale che sembra averne dimenticato la centralità, significa dunque permettere un rimodellamento del sistema stesso, in grado di mitigarne le distorsioni e di risparmiarlo da esiti radicali: il primato assoluto, totalitario e totalizzante, di una dimensione individualistica fondata sulla sola logica del profitto.


Per una declinazione “politica” della condivisione

Quanto vale nella dimensione economica vale a maggior ragione in quella politica e amministrativa. Pensiamo alle democrazie contemporanee. Si stanno trasformando, non c’è dubbio. Le spinte, anche in questo caso, possono essere lette in chiave dicotomica: da un lato le contestazioni dominanti esposte in chiave populistica, con appelli a guide dirette, tanto istintive quanto generaliste, nelle quali il concetto di rappresentanza scompare in forza, nella migliore delle ipotesi, di plenarie di “minuspotenziari” adibiti a ugole del popolo; dall’altro le ferme rivendicazioni di un utopismo mite, promosso, ad esempio, attraverso le pagine e le proposte di questo e di tanti altri ambienti fisici e digitali, che proprio attraverso il concetto di condivisione, si prefiggono lo scopo di pensare e agire forme di politica co-decisa e collaborativa in grado di coordinare funzioni istituzionali e ruoli di cittadinanza. Circa i possibili risultati delle prime non mi dilungherò. La storia offre molteplici esempi di esiti degenerativi. Quanto al secondo, è importante mettere in evidenza due aspetti: l’insistere su un’alleanza, piuttosto che su una fusione, fra istituzioni e cittadini; e la concezione di condivisione come atto collaborativo fra portatori di esperienze complementari.

Un’alleanza implica il mutuo riconoscimento dei soggetti che la siglano, dunque preserva in qualche modo i ruoli, determinandone semmai un migliore coordinamento ai fini del raggiungimento dello scopo per cui la si stringe. La declinazione di condivisione in chiave “collaborativa” implica poi il far riferimento non solo all’atto, sempre più diffuso, di tramite, o collettore, di conoscenze, informazioni, opinioni che l’individuo è chiamato a rivestire in forza di una logica della condivisione “disimpegnata” in rete; ma anche, e soprattutto, alla condizione di motore agente, all’assunzione di impegno civico, di collaborazione. Il richiamo al concetto di alleanza, e la dimensione dinamica racchiusa nell’idea di condivisione quale venirsi incontro di cittadini e istituzioni propria di queste esperienze, iscrive l’impegno dell’amministrazione condivisa all’interno di una “filosofia della condivisione”, racchiusa nel concetto di relianza elaborato da Edgar Morin. Agire individualmente in base al legame (relier) e all’alleanza (alliance) che si percepisce avere con l’altro, con la propria comunità, con la società. Relianza come sintesi di una dimensione solidaristica in opposizione alla frammentarietà e alla divisione. L’azione dunque nella consapevolezza della compresenza. D’altra parte, può sembrare banale, ma agire in forza della consapevolezza della sussistenza di un legame con un mio simile lontano e sconosciuto non è forse un altro modo per descrivere un co-housing globale?

Partner della formazione

ConfiniOnline fa rete! Attraverso la collaborazione con numerosi enti profit e non profit siamo in grado di rivolgere servizi di qualità a costi sostenibili, garantendo ampia visibilità a chi supporta le nostre attività. Vuoi entrare anche tu a far parte del gruppo?

Richiedi informazioni