Non ha avuto le prime pagine dei giornali (e non ce le aspettavamo), ma quello di domenica scorsa è stato un bel Primo Marzo: partecipato, sentito, creativo. Dal Brennero fino alle campagne del meridione, dalle province fino ad alcune aree metropolitane, la
Rete Primo Marzo è riuscita, anche quest’anno, a dar vita a eventi e iniziative diversi nell’approccio ma tutti riconducibili all’
appello lanciato e già pubblicato su queste pagine. In alcune città più grandi si sono prodotte anche iniziative di massa. (
http://www.corrieredellemigrazioni.it/2015/03/07/primo-marzo-2015-molto-bene/)
Stefano Galieni
Casa, lavoro, salute e ricordo degli scomparsi in mare sono state le parole d’ordine che hanno portato in Piazza del Duomo a Milano centinaia di persone, dalle 15 alle 18 della domenica. I musicisti che hanno portato i ritmi e le melodie di mezzo mondo si sono alternati agli interventi propriamente politici e alle performance, come quella che ha visto sventolare lenzuola azzurre per il cimitero Mediterraneo. La richiesta comune è stata quella di vedere una sinistra unita per modificare le leggi, per intervenire a garanzia del diritto alla casa (si sono raccolte 120 firme per impedire la vendita delle case popolari dell’Erp: una metodologia attraverso cui si offre il diritto di prelazione con sconti per chi acquista ma, poi, permette di cacciare le persone non in grado di acquistare l’immobile). Si è anche protestato contro la legge assurda che impone 10 anni di residenza continuativa per chi, da straniero, vuole entrare nelle graduatorie dell’edilizia pubblica. Il sindaco, invitato con una
lettera, non ha potuto partecipare ma ha risposto con una sua missiva letta dal palco.
A
Modena, con il convegno Diritti + conoscenza = pace, tenendo totalmente fede alle motivazioni che hanno dato origine al Primo Marzo si sono voluti indicare gli antidoti a quei conflitti asimmetrici che, invece, si vanno generando in Europa e non solo. Nella città emiliana si è tenuto prima un presidio in cui esponenti della Cgil hanno distribuito un volantino, con dati tratti dal sito del
ministero dell’Interno, in cui venivano evidenziati i passi avanti fatti in questi ultimi due anni in materia di immigrazione. Durante il convegno che ne è seguito (sala strapiena) hanno suscitato interesse gli interventi del parlamentare Khalid Chaouki, che è intervenuto a proposito di una legge – continuamente sballottata e rinviata in nome di altre priorità – per la riforma delle norme sulla cittadinanza, e quello dell’europarlamentare Cécile Kyenge.
Entro la fine dell’anno al parlamento europeo dovrà pervenire un rapporto di carattere generale sulle problematiche dell’immigrazione, per la prima volta affrontata con un ottica globale e non ripartita fra i singoli Stati. Una questione di carattere soprattutto umanitario che come tale dovrà trovare delle soluzioni e delle prospettive. A dirigere la realizzazione di questo rapporto saranno due rappresentanti di Strasburgo: la maltese del Partito Popolare Europeo, Roberta Metzola, e per il gruppo Socialista Democratico proprio l’italiana Kyenge.
La poesia di chi invece, giunto da lontano, scrive e sogna in lingua italiana è stato il leit motiv del Primo Marzo Poetry Slam a
Genova, nella Sala della Poesia dello splendido Palazzo Ducale. Un avvenimento culturale di alto livello che ha voluto presentare un volto spesso sottaciuto dell’immigrazione: quello di chi produce cultura e arte.
Un tema che è stato ripreso anche a Padova dagli attivisti di Global Project che, al Centro Sociale Pedro, hanno dato vita a un reading con Massimo Carlotto. Il testo, La via del pepe, una finta fiaba africana per europei benpensanti, è servito a portare in scena un racconto magico ma al contempo reale: quello dei viaggi della speranza di uomini, donne e bambini, in cui la dimensione spazio-temporale viene azzerata per lasciare posto ai vissuti di queste persone, spesso naufragate nel Mare Nostrum.
E’ la storia di Amal, un giovane che ha attraversato un pezzo di Africa a piedi per raggiungere la Libia, dove si è imbarcato sul Firouz, un vecchio peschereccio che ora trasporta donne, bambini e uomini fino a Lampedusa. Come troppo spesso accade, l’imbarcazione è colata a picco ma Amal è l’unico che non annega, perché stringe nel pugno i cinque grani di pepe donati da nonno Boubacar, che servono a tenere lontana la morte.
Di diritti, legati alla necessità di accogliere meglio le persone che arrivano in fuga da guerre si è discusso anche a
Pescara nella sede della Cgil dove, insieme all’Associazione A Buon Diritto, si è organizzata la proiezione del film Terra di transito di Paolo Martino. Una sala stracolma (150 persone) in cui oltre a ripercorrere, dopo il film, la storia del Primo Marzo sono intervenuti due ragazzi eritrei, ospiti di uno Sprar a L’Aquila gestito dall’Arci. «Ci hanno narrato con voce incerta la loro odissea, il loro viaggio e anche l’arrivo in un paese, il nostro, che stenta ad organizzarsi per l’accoglienza. – racconta Lucia Polidori, della Rete Primo Marzo – E’ stato un momento di continuità molto intenso tra il documentario e le persone presenti in sala. Era come se non ci fosse soluzione di continuità tra la storia di Rahel, protagonista del film, e noi tutti. Anche in questo caso, abbiamo preferito che si esprimessero nella propria lingua, il tigrino. Una mediatrice del coordinamento ha tradotto in italiano. Ci sono stati, poi, gli interventi di alcuni lavoratori immigrati senegalesi e nigeriani di Pescara che hanno denunciato le criticità, le lungaggini e le contraddizioni legate al rinnovo del permesso di soggiorno. La nota più bella dell’incontro – continua – è stata proprio la moltiplicazione di lingue, la condivisione di linguaggi diversi che, grazie alla volontà di incontro, convivevano nello steso spazio assicurando a tutti la libertà di esprimersi e di essere capiti, la libertà di essere riconosciuti nella propria identità e nel proprio vissuto. Una torre di Babele riuscita».
Ancora da un altro film, Io sto con la sposa, forse molto più noto, si è invece partiti a
Firenze per una affollata iniziativa, organizzata non solo dal Comitato Fiorentino del Primo Marzo ma anche da una serie di associazioni locali e nazionali, da sempre impegnate sull’immigrazione. Era presente il co-ideatore del film, Tareq Al Jabr, e il tema su cui si è focalizzato l’incontro era quello dei corridoi umanitari e del Regolamento Dublino.
In serata si è presentata la raccolta firme promossa dalla Cild (Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili) indirizzata al Primo Ministro Matteo Renzi per il rispristino di Mare Nostrum, il cui lancio ufficiale si è poi svolto il 3 marzo a Roma.
Un tema catalizzante è stato ovviamente quello della libertà di circolazione. Al valico del Brennero, attivisti di associazioni italiane, austriache e tedesche hanno simbolicamente bloccato il passaggio stradale per rendere l’idea di cosa significa, per alcuni, quella frontiera che per i cittadini dell’Unione Europea non esiste. Il posto non è stato scelto a caso: si tratta - come evidenziato dagli organizzatori, gli attivisti della
Fondazione Alexander Langer Stiftung - di «uno dei confini interni dell’Europa, che mette a fuoco alcuni nodi problematici della politica e della pratica d’asilo e d’accoglienza europea». Da qui passano i profughi intercettati in altri paesi e rispediti in Italia a causa del Regolamento Dublino.
Ma laddove non è la frontiera a fermare le persone, interviene la difficoltà a regolarizzare la propria posizione ottenendo asilo, protezione umanitaria o qualche forma di permesso di soggiorno. Si aprono allora le porte dei Centri di Identificazione ed Espulsione che, per quanto si siano rivelati fallimentari, continuano ad essere considerati luoghi in cui investire risorse. Contro la riapertura del Cie di
Palazzo S. Gervasio, in provincia di Potenza, molti attivisti si sono mobilitati il primo marzo e molti migranti si sono presentati vestiti o “dipinti” di giallo (colore ormai legato proprio a questa giornata). Vogliono che i 2,5 milioni di euro, che il ministero dell’Interno intenderebbe impiegare nella reclusione di chi è senza documenti, vengano invece usati per accogliere in condizioni dignitose chi lavora nei campi, per garantire loro salari decenti, per combattere caporalato e lavoro nero.
Lo sfruttamento sul lavoro, rimanendo al Sud è rimasto un tema sentito, fra quelli che nel 2010 diedero origine alla iniziativa e che ancora oggi coinvolge numerosi cittadini migranti. Nel foggiano, a Borgo Mezzanone per l’esattezza, non ci sono state iniziative di mobilitazione ma si è ridato impulso ad una campagna estremamente interessante, su cui il Corriere delle Migrazioni intende tornare con maggiore attenzione.
Un gruppo di attivisti che fanno riferimento alla Rete locale hanno iniziato mesi fa le pratiche per l’acquisto di una casa cantoniera, con annesso terreno, per farne una scuola di inclusione sociale per minori e adulti. Hanno ancora bisogno di fondi per completare l’acquisto, e la burocrazia non li facilita, ma hanno utilizzato questo Primo Marzo proprio per sollecitare i cittadini alle sottoscrizioni. Il loro progetto è ambizioso: vogliono far convergere in appuntamenti di incontro e di formazione anche esperti delle diverse tematiche. Il centro sarà una
“Scuola-villaggio” intitolata ad
Iqbal Masih, il bambino pakistano che pagò con la vita la determinazione nel voler organizzare una lotta sindacale contro lo sfruttamento minorile, ma interesserà non solo i migranti quanto i tanti cittadini costretti a vivere in una condizione di grave degrado urbanistico. E con il lavoro tornano, seppur declinate con diversa gravità rispetto a 6 anni or sono, due temi imprescindibili: quello della guerra e quello del razzismo.
Ampio risalto hanno poi trovato le iniziative incentrate attorno al tema della guerra.
Trieste, città di confine, che da sempre considera questo un elemento estremamente sensibile della propria storia passata, non poteva ignorare il presente. Chi arriva in Europa, non solo in Italia, per sfuggire a tante persecuzioni e conflitti, troppo spesso è percepito come un “pericoloso clandestino”, magari un potenziale terrorista, vista l’islamofobia dilagante. Bene hanno fatto quindi, proprio a Trieste , a denunciare tale urgenza.
Hanno detto
#MaiconSalvini a Roma oltre 30 mila persone in un corteo splendido, colorato e meticcio il 28 febbraio. Non c’è stato un Primo Marzo nella capitale: gli antirazzisti, i migranti e i rifugiati, quelli che non si sono sentiti rappresentati da un comizio fondato sulla chiusura e sul ritorno al passato, come quello proposto dal leader leghista e dai suoi alleati, hanno dato vita a un immenso serpentone che, partendo dalla ormai significativa Piazza Vittorio, hanno raggiunto la centralissima Campo De’ Fiori. Ma si era in troppi e in piazza non ci si entrava, perciò si è tornati verso il Colosseo. Gli slogan, sprezzanti e anche duri verso la xenofobia dell’altra piazza, si confondevano con gli sfottò tipicamente romani, canzoni e slogan irridenti che hanno trasformato una giornata che ha realizzato un momento intenso e plurale di partecipazione, necessario ma non sufficiente per ripartire.
Stefano Galieni