Qualità. E' la parola d'ordine, il punto di partenza per un radicale cambio di direzione nelle politiche del territorio, la chiave imprescindibile quando si parla di turismo, infrastrutture, città, investimenti nell'innovazione. Perché la capacità di valorizzare le qualità del territorio italiano è una chiave imprescindibile per rispondere alle sfide della globalizzazione. Coste e turismo sostenibile, energie rinnovabili e infrastrutture integrate, politiche capaci di fare del paesaggio un valore aggiunto dello straordinario insieme di città, beni storici e artistici, culture materiali e immateriali che rende unico il Belpaese. E' questo il "piano d'azione" che Legambiente ha discusso oggi a Roma nel corso del convegno nazionale "Paesaggio: futuro italiano prossimo" insieme al Ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli, al presidente della Commissione ambiente della Camera dei deputati Ermete Realacci, ai presidenti di ANCE e COLDIRETTI, al presidente del Consiglio superiore Beni Culturali Salvatore Settis, a importanti urbanisti e studiosi, a rappresentanti delle istituzioni e degli enti locali. "Il paesaggio italiano rischia di essere completamente stravolto da un processo di diffusione insediativa e di occupazione di suoli senza paragoni nella storia. E il patrimonio di bellezza, fatto di natura e arte, di genio urbanistico e architettonico, rischia di rimanere isolato in un mare di case, capannoni, infrastrutture senza nessun criterio basati su un'idea vecchia e sbagliata di sviluppo. Un'idea che, per promuovere la competitività economica, riteneva necessario garantire la massima libertà di localizzazione e incentivi alle imprese, anche in barba alla legalità - ha dichiarato durante il convegno Francesco Ferrante, direttore generale di Legambiente -. Basti pensare al record mondiale di tre condoni edilizi in vent'anni. Occorre una svolta decisa, che rilanci il nostro Paese a partire dalla tutela e dalla valorizzazione del territorio, unico e irriproducibile fattore di competitività rispetto alle sfide sociali ed economiche della globalizzazione". I numeri dei processi in corso sono impressionanti: oltre 3.231.000 nuovi appartamenti costruiti nell'ultimo decennio, il più lungo ciclo edilizio espansivo dagli anni della ricostruzione post bellica. Nel solo 2006 sono state edificate 331mila unità abitative, di cui 30mila abusive - un dato che non si registrava da almeno vent'anni - e 7.044 capannoni nel corso dell'anno 2005. Un ciclo del cemento che produce effetti devastanti nei confronti del paesaggio: con oltre 6.000 cave attive e circa 10.000 abbandonate lungo tutta la penisola. Uno dei fenomeni di trasformazione del paesaggio italiano di cui meno si parla, regolato ancora da una Legge nazionale del 1927, con molte Regioni ancora senza piani, norme o censimenti, che produce guadagni considerevoli e che spesso è gestito dalle ecomafie. Finora i Comuni hanno potuto scegliere se dare autorizzazioni alle attività estrattive senza alcun riferimento paesaggistico o normativo. E visto che il bilancio di molti di loro si regge ancora sui proventi dati dagli oneri di urbanizzazione o dalle attività di estrazione, non è difficile capire come abbiano agito. Sanare gli effetti delle tante trasformazioni, della colonizzazione sconnessa e dell'occupazione di suolo per fermare il degrado ambientale dei tanti paesaggi italiani: è questo, dunque, il primo obiettivo da perseguire. "Per noi vuol dire mettere mano a un vero e proprio Piano d'azione per il paesaggio, per rafforzare la tutela e contaminare con la chiave della qualità gli interventi sul territorio - ha aggiunto Edoardo Zanchini, responsabile nazionale per il Territorio di Legambiente -. Occorre andare oltre la Legge Galasso, perché l'attuale assetto dei poteri in materia non sta funzionando bene. L'assenza in molte Regioni di piani paesaggistici e la totale indeterminatezza degli stessi ha lasciato una assoluta discrezionalità a chi dovrebbe valutare la compatibilità dei progetti. La vicenda di Monticchiello ha reso eclatante il problema di tanti Comuni a cui le Regioni hanno trasferito il potere di autorizzazione in materia paesaggistica, per cui decidono sia della compatibilità urbanistica che di quella paesaggistica, ma senza riferimenti. E' evidente che in una situazione di questo tipo i Comuni sono un anello troppo debole per le pressioni delle lobby del cemento. Perché oggi gli oneri di urbanizzazione per le nuove costruzioni o per le attività estrattive rappresentano una opportunità per ripianare i bilanci dopo le riduzioni dei trasferimenti di questi anni". Su questo si basa, in sintesi, la proposta di Legambiente che, per cominciare, identifica alcune priorità. 1. Rivedere il Codice dei beni culturali nella parte che riguarda le autorizzazioni paesaggistiche e le deleghe ai Comuni. Non si tratta di tornare a una centralizzazione delle competenze in materia di tutela del paesaggio, ma al contrario di lavorare su accordi e percorsi condivisi perché non si possano avere trasferimenti di competenze in assenza di riferimenti certi e di piani concordati tra Ministero dei Beni Culturali e Regioni. 2. Avviare una nuova stagione di piani paesaggistici regionali come richiesto dalla Convenzione europea del Paesaggio. Perché permette di andare oltre i limiti della Legge Galasso e di ragionare in termini di obiettivi di qualità per i diversi paesaggi, di elaborare piani che comprendano tutto il territorio, non solo le aree di qualità, di varare politiche e interventi di valorizzazione e riqualificazione delle zone degradate. Oggi solo la Sardegna ha approvato un Piano secondo le indicazioni della Direttiva europea. 3. Fissare un vincolo di inedificabilità delle aree costiere. Valido per tutte le zone rimaste libere - come ha fatto la Sardegna -, così da concentrare l'attenzione sulla risistemazione dei tessuti edilizi, dei centri e delle aree portuali. 4. Intervenire contro la piaga dell'abusivismo edilizio. Occorre demolire gli ecomostri che costellano i litorali del nostro Paese e intervenire anche contro tutti gli abusi ai danni del territorio, rivedendo la normativa per dare più efficacia ai poteri dei sindaci e dei prefetti. 5. Puntare sulle città come priorità nelle politiche nazionali, riqualificando e integrando le periferie. Occorre mettere in atto una politica che si occupi dei centri urbani. Il degrado delle città origina infatti in primo luogo dalla mancanza di strategie per quanto riguarda l'edilizia residenziale pubblica, la riqualificazione dei tessuti più compromessi e il nodo della mobilità. 6. Approvare le linee guida per i progetti di impianti di energia rinnovabile. Oltre al clamoroso ritardo sul fronte delle energie alternative, nel nostro Paese mancano totalmente regole per l'approvazione dei progetti (previste dal DL 387/2003), con la conseguenza che in alcune Regioni vigono limiti prossimi al divieto per realizzare impianti eolici e fotovoltaici, in altre si decide in maniera del tutto discrezionale o con complicazioni assurde. 7. Progettare e realizzare infrastrutture utili e integrate nel paesaggio. Un obiettivo che resta ancora un miraggio in un contesto come quello italiano in cui negli ultimi decenni sono stati costruiti ponti, viadotti e strade di pessima qualità e che ha un sistema ferroviario gravemente insufficiente. Dove le differenze con il resto d'Europa in materia sono macroscopiche, se si pensa che all'estero la capacità di un'opera pubblica di integrarsi con il territorio è una condizione basilare. Basta guardare alla vicina Francia, dove è stato introdotto il "debat public" per le grandi infrastrutture e una percentuale fissa di spesa per integrare le opere nel paesaggio, e dove per le nuove linee TGV vengono spesi 10 milioni di euro a km a fronte dei 32 milioni "necessari" in Italia.

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