Dopo l’ennesima deludente Cop (Conferenza delle Parti) della
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutasi a Lima in Perù si è ormai avviato il percorso che condurrà alla decisiva Cop di Parigi del dicembre 2015.
di Gianfranco Bologna
La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici fu sottoposta alla firma dei Governi in occasione del grande Earth Summit Onu di Rio de Janeiro del 1992 ed era stata concepita apposta per agire concretamente cercando di evitare cambiamenti climatici ritenuti pericolosi, dovuti all’intervento umano.
Sono però passati ormai 22 anni da allora e, secondo il più autorevole programma internazionale di ricerca sul ciclo del carbonio, il
Global carbon project, nel 2014 abbiamo avuto il livello più elevato di emissioni di biossido di carbonio mai registrato nella storia umana (40 miliardi di tonnellate) e l’anno precedente (il 2013), abbiamo raggiunto la più alta concentrazione di biossido di carbonio nella composizione chimica dell’atmosfera, 395 ppm (parti per milioni di volume), negli ultimi 800.000 anni. Una cifra che è del 43% più elevata della concentrazione esistente agli inizi della Rivoluzione Industriale nel 1750, che era di circa 277 ppm.
Nel 2016, nell’ambito della Commissione internazionale di stratigrafia dell’Unione internazionale di scienze geologiche
un apposito e autorevolissimo working group, presieduto dal noto geologo dell’università britannica di Leicester, Jan Zalasiewicz, si esprimerà formalmente sull’ufficializzazione, nell’ambito del Geological time scale, di un nuovo periodo geologico definito Antropocene, distinto dall’Olocene (il periodo geologico in cui ci troviamo, e che è iniziato circa 11.000 anni fa). L’
Antropocene, proposto per la prima volta dal premio Nobel per la Chimica Paul Crutzen nel 2000,
come abbiamo più volte illustrato in questa rubrica, dovrebbe costituire veramente un vero e proprio “battito di ciglia” nella storia del nostro pianeta Terra, essendo probabilmente definibile dall’inizio della Rivoluzione industriale ad oggi (un periodo brevissimo di più di un paio di secoli e mezzo).
Il working group ha effettuato un importante riunione a Berlino che ha avuto luogo nell’ottobre scorso, dove i partecipanti hanno discusso a fondo dei temi centrali utili a far sì che possa essere descritto formalmente il nuovo periodo geologico dell’Antropocene. Si sono quindi discussi argomenti relativi all’attuale documentazione stratigrafica significativa per poter individuare un nuovo periodo geologico e per poterne definire i “confini” rispetto al periodo precedente, l’Olocene. Si è discusso poi il fatto se l’Antropocene possa essere considerato un’unità della storia della Terra o, piuttosto, un’unità della storia dell’umanità. Si è poi parlato sull’utilità di considerare lìAntropocene come un’unità di tempo o come un’unità di materiali segnati dall’intervento umano, che possano essere visualizzati dagli geoscienziati o da altre comunità scientifiche.
Altri ulteriori e interessanti approfondimenti si sono avuti sul fatto di definire l’Antropocene un’Epoca o un’Età geologica, sulla possibilità di individuare quello che viene definito un “early Anthropocene”, quindi un “primo Antropocene” legato sopratutto agli effetti ambientali e ai cambiamenti globali prodotti dalla rivoluzione agricola, tema che è stato sempre molto caro e meritoriamente approfondito da un grande paleoclimatologo, William Ruddiman, professore emerito all’università di Virginia, autore, tra l’altro, dell’ottimo volume “L’aratro, la peste e il petrolio. L’uomo e il clima” pubblicato nel 2007 dall’università Bocconi e nel quale riporta i risultati delle sue ricerche in merito. Si è parlato quindi anche della necessità di definire al meglio l’inizio dell’Antropocene, e si sono poi approfondite le dimensioni e le evidenze dell’Antropocene in tutti i sistemi naturali del pianeta.
La comunità scientifica internazionale negli anni Novanta dello scorso secolo, già ricercava, scriveva e parlava degli Human dominated ecosystems, cioè degli ecosistemi dominati dall’intervento umano. Ben noto resta il paper pubblicato su “Science” nel 1997 da grandi ecologi come Peter Vitousek, Pamela Matson, Jane Lubchenco e Jerry Melillo dal titolo “Human Domination of Earth’s Ecosystems”, una vera pietra miliare in questi studi.
Ormai le ricerche ci dicono chiaramente che l’intervento umano sta continuamente cambiando i sistemi biofisici della Terra, la chimica e la climatologia dell’atmosfera e degli oceani, l’estensione delle coperture di neve, del permafrost, dei ghiacci marini, dei ghiacciai e dei volumi oceanici, dell’intero ciclo idrologico. Sta modificando la superficie delle terre emerse e i loro ecosistemi, nelle loro strutture, nei loro processi, nelle loro funzioni. Attualmente l’intervento umano costituisce la forza maggiore nel movimento dei sedimenti a livello mondiale, una forza superiore a quella prodotta dal ghiaccio, dal vento e dall’acqua.
Anche il “Living Planet Report 2014”, il rapporto biennale del Wwf sullo stato del pianeta, alla sua decima edizione (scaricabile dal sito del
Wwf internazionale o da quello del
Wwf Italia, dove è possibile scaricare anche la sintesi in italiano) ricorda che negli ultimi 10.000 anni, nell’Olocene, abbiamo approfittato di una situazione abbastanza stabile dal punto di vista ambientale e climatico e ciò ha reso possibile alle comunità umane di arrivare sino alle moderne società attuali e al livello di civiltà sin qui raggiunto. Ma ora il mondo è entrato in nuovo periodo geologico, l’Antropocene appunto, nel quale la conoscenza scientifica ci dimostra chiaramente che le attività umane costituiscono la causa maggiore di cambiamento su scala planetaria. Oggi, ci ricorda il Living Planet Report, non possiamo escludere la possibilità di raggiungere “punti critici” che possono repentinamente, e in maniera irreversibile, modificare le condizioni di vita sulla Terra.
Tutte le ricerche sul
Global environmental change mirano a comprendere meglio le dinamiche interconnesse dei sistemi naturali con i sistemi sociali da noi creati, e sono ormai molto ricche le indagini relative all’individuazione formale di questo nuovo periodo geologico, l’Antropocene.
Oggi esistono ben tre riviste scientifiche referate sull’Antropocene.
“The Anthropocene Review” è pubblicata da Sage ed è una rivista transdisciplinare che edita tre numeri l’anno;
“Anthropocene” è pubblicata dalla nota casa editrice scientifica Elsevier, che pubblica numerose altre riviste scientifiche, e la terza è
“Elementa. Science of the Anthropocene” i cui numeri sono accessibili a chiunque dal sito internet.
Recentemente la prestigiosa Geological society di Londra ha pubblicato un interessante volume dal titolo “A Stratigraphic Basis for the Anthropocene” che in parte deriva anche dalle relazioni che furono presentate in un importante meeting sul tema realizzato nel maggio 2011 proprio a Londra alla Geological Society.
Insomma il mondo della ricerca e della conoscenza è in fermento per individuare questo nuovo periodo geologico, ma noi dobbiamo essere seriamente preoccupati di ciò che stiamo provocando ai sistemi naturali che sono la base della nostra stessa esistenza, del nostro sviluppo e del nostro benessere. La situazione globale richiede risposte urgenti, fattive e ispirate alla massima creatività e innovazione. Non possiamo aspettare oltre. Il 2015 è l’anno della Cop di Parigi sul cambiamento climatico e dell’approvazione formale dei nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, che caratterizzeranno l’agenda globale dello sviluppo per almeno i prossimi 15 anni. Sarebbe un errore imperdonabile non essere capaci di dare risposte significative a queste sfide di tutta l’umanità.
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