La visione neoclassica della natura umana riguarda solo pochi individui, anche se d’élite. In Giappone la ricerca che li individua: «Sono il 7%».
di Luca Aterini
La teoria economica neoclassica ha un eroe che agisce all’interno di tutti i modelli che rappresentano la cornice del suo mondo: è l’agente (perfettamente) razionale e massimizzante la propria utilità, il cosiddetto homo oeconomicus. Per lungo tempo gli accademici, e dunque i comuni mortali, hanno pedissequamente creduto alla sua effettiva esistenza nel mondo reale; con l’avvento di nuovi e diversi modelli economici e delle neuroscienze, anche se forse sarebbe bastato affacciarsi alla finestra, il mito dell’homo oeconomicus è adesso in declino, rimanendo comunque arroccato all’interno di cocciute fortezze.
L’homo oeconomicus continua insomma a far danni, ma si pensava iniziasse a fare la fine dei draghi o delle manticore, relegate in libri… di fantasia. I mostri però tornano sempre, e stavolta spuntano fuori dal Giappone: in una recente ricerca (In Search of Homo economicus) rilanciata su Psychology Today da Peter Ubel, scienziato comportamentale e professore di Business and Public Policy alla Duke University «dimostra che l’homo economicus costituisce solo una minoranza della popolazione, ma una minoranza con una vasta gamma di insoliti tratti della personalità, tra i quali un tocco di psicopatia».
Per individuare quali dei 446 cittadini di Tokyo coinvolti nell’esperimento corrispondessero all’identikit che Ubel dà dell’homo oeconomicus, ovvero una «creatura di egoismo freddamente calcolato, che massimizza spassionatamente i suoi interessi anche se questo va a scapito di altri», i ricercatori giapponesi hanno condotto alcuni test basati su due giochi noti a psicologi ed economisti: il dilemma del prigioniero e il gioco del dittatore. In entrambi i casi in ballo c’erano dei soldi, e la possibilità di gestirli in modo più o meno generoso, cooperativo e intelligente.
I risultati raccolti sperimentalmente suddividono così le persone osservate: mentre il 25% circa è stato individuato come particolarmente cooperativo, il 9% è stato etichettato come “quasi-homo oeconomicus”, e solo il 7% ha raggiunto il poco invidiabile appellativo di homo oeconomicus, il temibile abitante dei libri di microeconomia. La fetta restante degli esseri umani osservati – ossia circa il 59%, definito come «ordinary people» – ha invece avuto una condotta considerata nella norma.
L’esperimento non è però fermato qui. I ricercatori hanno compilato un profilo psicologico degli homo oeconomicus, e sono giunti a conclusioni interessanti. Questi soggetti sono generalmente «persone intelligenti, guidate dalla voglia di eccellere e di dominare gli altri, e sono in grado di controllare i proprio impulsi e di lavorare per a lungo termine al raggiungimento dei propri obiettivi». Sono dunque delle persone capaci, guardate attraverso il metro di giudizio comune nella nostra società, e con probabilità di raggiungere posizioni di successo: «In altre parole, l’homo economicus è il componente-tipo dell’élite sociale ed economica». Il fatto che tali soggetti dimostrino anche, nelle parole di Ubel, «tratti psicopatici», e credano che «il successo nella vita richiede la manipolazione di altre persone […] curandosi poco dell’altrui benessere», beh non è rassicurante.
Sono gli alfieri di un comportamento del tutto anti-cooperativo, anche quando sarebbe proficuo per entrambe le parti adottarne uno (proprio come in casi simili al dilemma del prigioniero), della specie che è così facile ritrovare in sedi di assoluta importanza, come i summit che decidono le sorti del cambiamento climatico o l’esaurimento delle risorse naturali. Ma sono anche gli stessi atteggiamenti, per restare molto vicini a noi, che portano i falchi europei dell’austerità a voler sbranare il resto delle colombe che gli svolazzano intorno (Italia compresa), anche a costo di morir con loro.
«Gli elettori hanno ripetutamente mandato a casa i politici al potere – sottolinea su Project Syndicate il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz – contenti della direzione dell’economia, ma alla fine il nuovo governo continua sullo stesso percorso dettato da Bruxellese, Francoforte e Berlino. Il problema non è la Grecia. È l’Europa. Se l’Europa non cambia – se non riforma l’Eurozona e continua con l’austerity – una forte reazione popolare sarà inevitabile. Forse la Grecia ce la farà questa volta. Ma questa follia economica non potrà continuare per sempre. La democrazia non lo permetterà. Ma quanta altra sofferenza dovrà sopportare l’Europa prima che torni a parlare la ragione?». Per abbreviare il calvario, prima del prossimo summit dei leader europei si potrebbe eliminare dal dibattito quanti corrispondano all’identikit dell’homo oeconomicus disegnato in Giappone: sarebbe interessante scoprire in quanti rimarrebbero attorno al tavolo.
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