L’impresa sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma. E’ questo il titolo che abbiamo scelto di dare alla terza edizione del Rapporto Iris Network, da oggi
liberamente disponibile su questo sito.
Tornare a fare politica, anche per l’impresa sociale. Potrebbe suonare come uno slogan provocatorio, ma crediamo che per molti imprenditori impegnati a soddisfare “l’interesse generale” delle comunità, delle famiglie e dei cittadini possa essere una buona notizia.
Il terzo settore, e con esso l’impresa sociale, è infatti al centro del progetto di riforma strutturale del Paese, nella convinzione che senza l’apporto di questi soggetti sia molto difficile garantire continuità e qualità nella fornitura di beni e servizi di interesse collettivo. Il riconoscimento di questa posizione di centralità non è retorico e non è ricollegabile ad alcun disegno di “smantellamento del pubblico”.
L’impresa sociale, infatti, rappresenta – soprattutto grazie alla cooperazione sociale – una risorsa affidabile in alcuni settori chiave del welfare; un interlocutore importante che nel corso degli anni ha contribuito ad arricchire le forme e i modelli attraverso cui si esercita una funzione pubblica incardinata non solo sulla Pubblica Amministrazione, ma anche su libere iniziative di cittadini che danno corpo alla sussidiarietà.
Forti di realizzazioni che ci sono invidiate a livello internazionale è importante non sedersi sugli allori, lavorando invece per allargare ulteriormente il perimetro dell’impresa sociale, nella consapevolezza – sorretta dai dati di questo rapporto – che esiste un “potenziale da sbloccare” nel campo dell’economia sociale e anche all’interno dell’economia di mercato. Si sta infatti facendo strada una “via italiana” alla creazione di valore condiviso basata su filiere territoriali composte da piccole e medie imprese eccellenti, associazionismo nonprofit, istituzioni locali e imprenditoria sociale. Un sistema che evolve trasversalmente alle forme giuridiche e ai comparti, con l’obiettivo di incorporare nella produzione economica elementi di valore sociale e ambientale, non come semplici esternalità ma come veri e propri fattori di competitività.
In questo quadro l’impresa sociale è chiamata non a consolidare ma soprattutto a cambiare, inaugurando una nuova fase di resilienza che chiama in causa la propria organizzazione e i legami tra questa e i suoi stakeholder. La riforma normativa va proprio in questa direzione: rendere più attrattiva l’impresa sociale migliorando la sua capacità di combinare una molteplicità di risorse da investire per realizzare iniziative che producono un impatto positivo e misurabile. Quello della valutazione è un tema che solleva non pochi e legittimi interrogativi rispetto alla sua effettiva implementazione e sostenibilità, ma che non può essere ulteriormente differito. L’intento, infatti, è di rendere più rendicontabili le imprese sociali affinché possano far valere le loro peculiarità a livello di governance e di redistribuzione della ricchezza. Solo in questo modo sarà possibile qualificare l’interlocuzione con i diversi soggetti, in primis con i cittadini che usufruiscono dei beni e servizi prodotti, ma che spesso contribuiscono a coprodurli e a cofinanziarli.
Un’impresa sociale riformata secondo queste linee guida sarà in grado di sviluppare ulteriormente il suo già importante contributo di creazione di occupazione e, più in generale, di propensione all’imprenditorialità, in particolare tra le persone più giovani. Sono i soggetti più colpiti dalla crisi, ma al tempo stesso quelli in possesso di competenze e motivazioni di alto livello che non vanno sprecate, anche per contribuire a rinnovare un pezzo importante del nostro “made in Italy”.
Paolo Venturi (Aiccon)
Flaviano Zandonai (Iris Network)
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